Luigi C.
Il Timone, 14 Marzo 2024
In un’intervista concessa a The Pillar, l’arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone ha spiegato perché vede la necessità di celebrare la testimonianza dei martiri del comunismo in tutto il mondo e cosa pensa possano insegnare alla Chiesa sulla persecuzione. Tutto il XX secolo è segnato dalla persecuzione di cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici per mano dei regimi totalitari marxisti. E oggi in Paesi come la Cina e il Nicaragua la storia è tutt’altro che conclusa, essendo la libertà religiosa fortemente minacciata.
Queste osservazioni sono sopraggiunte perché l’Istituto Benedetto XVI dell’Arcidiocesi di San Francisco ha lanciato un nuovo progetto con l’obiettivo di commemorare i martiri del comunismo e non solo: «Queste ideologie totalitarie marxiste, prendono manifestazioni diverse, ma sono tutte sullo stato che controlla e opprime le persone che esprimerebbero obiezioni. Il comunismo è la forma più esplicita e assume anche altre forme», spiega Cordileone. «Ci piace chiamare [il nazismo, ndr] ideologia di destra, ma ricordiamo che [si tratta di, ndr] nazionalsocialismo», quindi, prosegue l’arcivescovo, «ancora una volta è essenzialmente la stessa cosa».
Il primo lancio del progetto si chiama “Martiri del comunismo”: «La gente potrebbe pensare che sia strano vederla in questo modo. […] La Chiesa ha sempre classificato i martiri in base alla loro nazionalità: i martiri coreani, i martiri vietnamiti, i martiri cinesi, i martiri messicani. Ma questo è un po’ diverso. Li raggruppiamo perché sono tutti vittime di questo tipo di ideologia che perseguita la Chiesa e perseguita i leader della Chiesa che sono disposti a parlare contro coloro che vengono danneggiati dal regime».
«C’è un impatto particolare sulla Chiesa», risponde l’arcivescovo, «la Chiesa è sempre quella presa di mira da questi regimi perché la Chiesa è disposta a dare voce ai senza voce e a difendere i poveri. E i poveri tendono ad avere fede e si fidano della Chiesa». Alla domanda se la fede possa sconfiggere i regimi totalitari Cordileone risponde portando l’esempio di san Giovanni Paolo II: «Ci ha mostrato [che il potere della fede, ndr] può rovesciare questi regimi brutali. È l’unica cosa che ostacola questi dittatori», per questo si prefiggono l’obiettivo di «abbattere la Chiesa».
Talvolta le premesse dei governi a stampo marxista possano trarre in inganno in termini di solidarietà e dignità umana, per questo l’arcivescovo fa un distinguo importante tra ciò che offrirebbe un governo di stampo marxista e ciò che invece può offrire la Chiesa: «[Per la Chiesa, ndr] le persone non esistono per il bene dello Stato, […] la loro intera identità non è legata all’identità dello Stato». L’economia di mercato «se è svincolata dai principi, diventa anche disumanizzante e finisce per essere la stessa cosa: le persone sono usate come mezzi per un fine. Facciamo tutto il possibile per ottenere un profitto». Cita poi l’esempio dell’aborto, di come sia diventato anch’esso «un’industria da miliardi di dollari».
Senza svilire il ruolo sociale dell’uomo l’arcivescovo di San Francisco afferma che siamo «esseri spirituali, oltre che fisici, ma siamo anche esseri sociali» e per questo «elaboriamo la nostra salvezza nel contesto della società e il posto di lavoro è uno dei luoghi privilegiati in cui possiamo usare i nostri talenti, le nostre capacità e il nostro duro lavoro non solo per guadagnare denaro per mantenere le nostre famiglie, ma anche per contribuire al bene comune».
Parlando poi dei martiri del comunismo, risponde che quello a cui si ritiene più devoto è «padre Walter Ciszek». Proseguendo poi con altri nomi virtuosi: «I von Galen, i cardinali Mindszenty, i Karol Wojtyła, sono sempre stati miei grandi eroi». Si è soffermato poi su don Anton Lull, un sacerdote albanese, di cui ha sentito la testimonianza nel 1996 quando Giovanni Paolo II convocò tutti i sacerdoti del mondo ordinati quell’anno per festeggiare il suo 50esimo anniversario di sacerdozio, «è stato ordinato nel ‘46, poco prima di Natale», racconta, «fu arrestato dal regime comunista in Albania e imprigionato. Ed è lì che ha trascorso il suo secondo Natale come sacerdote. E per i 20 anni successivi, è stato in confinamento solitario per la maggior parte del tempo».
Della storia forte che condivise in quell’occasione, Cordileone ricorda che «era un uomo di grande gioia» nonostante fosse stato «picchiato, perseguitato e torturato», una volta rilasciato e avendo incontrato una delle guardie che lo aveva perseguitato disse di averlo «abbracciato e perdonato».
L’Istituto Benedetto XVI si prefigge l’obiettivo di arrivare con queste storie soprattutto ai giovani, i più bersagliati sugli insegnamenti alienanti del marxismo. «Si tratta soprattutto di educazione», spiega l’arcivescovo, «dobbiamo mantenere vivi questi ricordi e dobbiamo apprezzare queste eredità. Non possiamo lasciare che questi ricordi muoiano. Altrimenti, come dice il proverbio, “siamo destinati a ripeterlo”».
Essendo l’Istituto principalmente un centro per l’arte e la liturgia «utilizzeremo tutte le diverse aree dell’arte. La prima sarà una Messa che celebrerò a Miami il 15 marzo», racconta Cordileone. Non sarà una “semplice” Messa, ma una sorta di «evoluzione» del progetto: «Abbiamo ampliato il progetto in una Messa di requiem per i dimenticati – persone che sono dimenticate dalla società, o perché sono povere ed emarginate, come i senzatetto, o perché sono perseguitate dai governi, o perché sono tossicodipendenti, o qualunque sia la situazione, è una Messa di requiem per i dimenticati. E durante questa Messa verrà eseguito in anteprima questo inno ai martiri ucraini».