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domenica 31 marzo 2024

Le Sante Messe del tempo pasquale in dom Prosper Guéranger #3 il santo giorno della Pasqua

Continuiamo le meditazioni liturgiche tratte dall’Année Liturgique di dom Propser Guéranger (Le Mans 1841-1866) per il tempo pasquale: il santo giorno della Pasqua.

L.V.

IL SANTO GIORNO DELLA PASQUA

MESSA

L’ora di terza ha riunito nella Basilica tutti gli abitanti della città. Il sole, levatosi radioso, sembra riversi una luce più viva; l’impiantito della Chiesa è tutto cosparso di fiori.
Al di sotto dei mosaici dell’abside, il cui smalto scintilla di nuovo splendore, i muri sono tappezzati di drappi preziosi; ghirlande di foglie, come archi trionfali, si snodano in festoni tra le colonne della navata centrale, prolungandosi, poi, fino a quelle laterali; numerose lampade, alimentate dall’olio più puro, ardono intorno all’altare, sospese al ciborio; sorretto dalla sua elegante colonna, il cero pasquale, che dopo le prime ore di ieri sera non è stato più spento, innalza la sua fiamma sempre viva, imbalsamando l’aria del luogo santo col profumo di cui è impregnato. Simbolo misterioso della luce di Cristo, esso rallegra lo sguardo dei fedeli e sembra dire a tutti: «Alleluia! Il Cristo è risorto».
Ma ciò che più di ogni altra cosa interessa la folla è il folto gruppo dei neofiti in vesti bianche, simili agli Angeli che apparvero al sepolcro; ed è in queste nuove e nobili reclute, che più vivamente si riflette il mistero di Cristo uscito dalla tomba. Ancora ieri essi erano morti a causa del peccato; adesso, invece, sono ripieni di una vita nuova, che è il frutto della vittoria del Redentore sulla stessa morte. E fu un’idea felice della santa Chiesa quella di aver scelto per la loro rigenerazione lo stesso giorno, in cui l’Uomo Dio conquistò per noi l’immortalità.

La Stazione

A Roma, nei tempi scorsi, la stazione si teneva nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Con mirabile delicatezza, era stata designata per le sacre funzioni di quel giorno la regina di tutte le numerose chiese dedicate alla Madre di Dio.
E Roma faceva omaggio della solennità pasquale a colei che, più di ogni altra creatura, aveva diritto di provarne le gioie, sia per le angosce che il suo cuore materno aveva dovuto sopportare, sia per la sua fedeltà a conservare la fiducia nella risurrezione, durante le ore che il suo divino Figliuolo passò nel sepolcro.
Poi la cerimonia della Messa Papale fu trasferita alla Basilica di San Pietro, più vasta e più adatta alla folla dei fedeli che, venendo ad assistere a Roma alle solennità pasquali, vi rappresentano tutto il mondo cristiano.
Nondimeno il Messale Romano seguita a indicarci Santa Maria Maggiore come la chiesa della Stazione odierna; e le indulgenze sono restate le stesse in favore di coloro che prendono parte alle funzioni che vi si celebrano.

EPISTOLA (1Cor 5, 7-8) – Fratelli: togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolata! Celebriamo dunque la festa non con il vecchio lievito, né con il lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi della sincerità e di verità.

Dio aveva ordinato agli Israeliti di mangiare l’Agnello Pasquale con pane azzimo, ossia senza lievito, insegnando loro per mezzo di questo simbolo che, prima di cibarsi di quel pasto misterioso, dovevano rinunciare alla vita passata, le cui imperfezioni erano raffigurate dal lievito. Noi Cristiani, attratti da Cristo verso questa vita nuova di cui Egli ci ha aperto la via risuscitando per primo, dobbiamo, d’ora in poi, tendere solo ad opere pure, ad azioni sante, azzimo destinato ad accompagnare l’Agnello Pasquale, che diviene oggi nostro nutrimento.

Per accrescere la gioia dei fedeli, la Santa Chiesa aggiunge ai suoi canti ordinari un’opera poetica nella quale si respira il più vivo entusiasmo verso il Redentore uscito dalla tomba. Questa è stata chiamata SEQUENZA, perché è quasi una continuazione e un prolungamento del canto dell’Alleluia. Viene attribuita a Wippon (†1050), cappellano degli imperatori Corrado II ed Enrico III.

Alla vittima pasquale, dedichino inni i cristiani.
L’Agnello ha redento le pecore,
Cristo innocente ha riconciliato col Padre i peccatori.
La morte e la vita si sono battute in un duello mirabile.
Il Signore della vita, morto, regna vivo.
«Raccontaci, o Maria, che hai visto sulla via?»
«Il sepolcro di Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto,
gli Angeli suoi testimoni, il sudario e le sue bende.
È risorto Cristo, mia speranza; e vi precederà in Galilea.»
Sappiamo che Cristo è veramente risorto da morte;
Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Alleluia.

La Santa Chiesa oggi prende da san Marco, preferendolo agli altri Evangelisti, il racconto della Risurrezione. Egli fu discepolo di san Pietro; a Roma scrisse il suo Vangelo, sotto l’ispirazione del Principe degli Apostoli. È quindi conveniente che in una simile solennità si oda, in certo modo, la voce di colui che il divino Risorto ha proclamato la Pietra fondamentale della sua Chiesa e il Pastore supremo delle sue pecorelle e dei suoi agnelli.

VANGELO (Mc 16, 1-7) – Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome, comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».

Il vincitore della morte

“Non è qui, perché è risorto”. Un morto, che delle mani pietose avevano steso là, su quella tavola di pietra, in quella grotta, ecco che si è levato e senza neppure manomettere la pietra che ne chiudeva l’ingresso, si è slanciato in una vita che non dovrà più aver fine. Nessuno gli ha portato soccorso; nessun profeta, nessun inviato da Dio si è chinato su quel cadavere per richiamarlo in vita. È lui stesso che, per virtù propria, è risuscitato. Per lui, la morte non è stata una necessità, ma l’ha subita perché l’ha accettata; e l’ha spezzata quando ha voluto. Oh! Gesù che potete beffarvi della morte, voi siete il Signore Dio nostro! Noi pieghiamo il ginocchio davanti al sepolcro vuoto, che la vostra presenza di qualche ora ha reso sacro per sempre.
Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ecco i lenzuoli, le bende che non hanno avuto il potere di fermarvi e che attestano il vostro volontario passaggio sotto il giogo della morte.
L’Angelo disse alle donne: «Voi cercate Gesù Nazareno che è stato crocifisso». Ricordo pieno di lacrime! L’altro ieri portarono qui le sue spoglie, livide, lacerate, sanguinanti. Quella grotta, la cui pietra è stata tolta violentemente dalla mano dell’Angelo, e che uno spirito celeste illumina ora di un chiarore abbagliante, aveva nascosto nella sua ombra la più desolata di tutte le madri; in essa avevano risonato i singhiozzi di Giovanni e dei due discepoli, i lamenti della Maddalena e delle sue compagne. Il sole spariva all’orizzonte: il primo giorno della sepoltura di Gesù stava per cominciare. Ma il Profeta aveva predetto: «A sera alberga il pianto e al mattino la gioia»¹.
Ed ecco che noi vi siamo giunti, a quel felice mattino, e grande è la nostra gioia, o Redentore, nel vedere che quella stessa tomba dove noi vi accompagnammo con sincero dolore, non è più ora che il trionfo della vostra vittoria. Sono dunque guarite quelle piaghe che baciammo con amore, rimproverandoci di esserne la causa! Voi vivete, immortale, più gloriosamente che mai; e perché non abbiamo voluto morire al peccato, mentre voi morivate proprio per espiare i peccati, volete che noi viviamo ora con voi eternamente e che la vostra vittoria sia pure la nostra; che la morte per noi come per voi, non sia che un passaggio e che ci renda un giorno intatto e radioso questo corpo, che la tomba non riceverà più d’ora in avanti che quale deposito. Gloria, lode e amore sia dunque a voi, che vi siete degnato non soltanto di morire, ma anche di risuscitare per noi!

Antichi riti

Nel Medioevo, alla Messa Papale, mentre il Pontefice recitava l’orazione segreta, i due Cardinali-Diaconi più giovani si staccavano dai loro colleghi e, ricoperti della dalmatica bianca, andavano a mettersi ciascuno a una estremità dell’altare, col volto rivolto verso il popolo. Rappresentavano così i due angeli che facevano la guardia al sepolcro del Salvatore e che apparvero alle pie donne, annunziando la risurrezione del maestro. Questi due diaconi rimanevano là in silenzio fino al momento in cui il Papa lasciava l’altare, all’Agnus Dei, per risalire in trono, dove si sarebbe poi comunicato.
A Santa Maria Maggiore si seguiva anche un altro uso: quando il Pontefice, dopo la frazione dell’Ostia, indirizzava ai fedeli il suo augurio di pace, con le consuete parole: Pax Domini sit semper vobiscum, il coro non rispondeva come nei giorni ordinari Et cum spiritu tuo. La tradizione racconta che in questa solennità, e nella medesima Basilica, san Gregorio Magno celebrava un giorno il divino Sacrificio; appena pronunciate queste parole, un coro di angeli gli rispose con una melodia così soave che le voci umane ammutolirono, non osando di unirsi al celeste concerto. L’anno seguente, senza osare di rispondere al Pontefice, si attese che le angeliche voci si facessero nuovamente sentire: attesa che durò per diversi secoli; ma il prodigio che Dio aveva operato una volta per il suo servo Gregorio non si ripeté mai più.
Finalmente ecco giungere il momento in cui la folla dei fedeli si avvicinerà alla Comunione. L’antica chiesa delle Gallie in tale istanza indirizzava il suo richiamo a tutta la moltitudine che desiderava il pane di vita. Questa antifona venne conservata nelle nostre Cattedrali, anche dopo l’introduzione della Liturgia Romana, per opera di Pipino e Carlo Magno; ed essa non fu abolita completamente che in seguito alle innovazioni del secolo XVIII. Il canto che l’accompagnava si ispirava alla maestà del mistero odierno: noi ne riportiamo qui le parole, con l’intento di aiutare i fedeli ad accostarsi con maggiore rispetto a quella mensa, ove l’Agnello Pasquale sta per donarsi.

Popoli venite; avvicinatevi al mistero immortale;
venite a gustare la sacra libazione.
Avanziamo con timore, con fede, con le mani pure;
veniamo a unirci a colui che è prezzo della nostra penitenza:
l’Agnello offerto in sacrificio a Dio suo Padre.
Adoriamolo, glorifichiamolo e, insieme agli Angeli, cantiamo Alleluia.

Usi romani

A Roma, il Papa scende i gradini del trono e, sorreggendo sulla fronte la triplice corona, si siede sulla sedia gestatoria, portata a spalla dai servi di palazzo, e avanza nella navata centrale. Poi, giunto al luogo prestabilito, ne discende e s’inginocchia umilmente. Allora, dall’alto delle tribune della cupola, alcuni sacerdoti, indossanti la stola, mostrano al Pontefice ed al popolo il santo legno della Croce e il velo chiamato della Veronica, sul quale sono impressi i lineamenti del Salvatore, sfigurati com’erano durante la salita al Calvario. Questo ricordo dei patimenti e delle umiliazioni dell’Uomo-Dio, evocato al momento stesso in cui il suo trionfo sulla morte è stato proclamato con tanto splendore, mette in risalto una volta di più la gloria e la potenza del divino Risorto, e ricorda a tutti con quale amore e fedeltà si è degnato compiere la missione che aveva accettato per la nostra salvezza. E proprio oggi, non dice egli stesso ai discepoli di Emmaus: «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24, 26).
La cristianità intera in questo momento rende onore alle sue sofferenze e alla sua gloria nella persona del Capo visibile. Dopo aver passato qualche istante in umile adorazione, il Pontefice, messa nuovamente la tiara, rimonta sulla sedia gestatoria ed è condotto verso la galleria superiore, dall’alto della quale impartirà la benedizione apostolica a tutta la folla immensa adunatasi nella piazza di San Pietro.

Benedizione dell’agnello

Si è ancora conservato l’uso di far benedire un agnello e di mangiarne la carne il giorno di Pasqua. E noi vi diamo qui, quale completamento dei riti della Pasqua Cristiana, la preghiera che la Chiesa usa per questa benedizione. I fedeli conosceranno con piacere questa antica formula che ci riporta ad altri costumi, e chiederanno a Dio il ritorno a quella semplicità e a quella fede pratica che davano un significato così profondo e una grandiosità così solida anche agli avvenimenti di minore importanza della vita dei nostri avi:

O Dio, che nel giorno della liberazione del vostro popolo dal giogo dell’Egitto, avete ordinato per mezzo del vostro Mosè che s’immolasse un Agnello, quale figura di Nostro Signore Gesù Cristo, e che avete comandato che si segnassero col sangue di questo agnello le porte delle case; degnatevi benedire e santificare questa creatura di carne, della quale noi, vostri servitori, desideriamo far uso a vostra gloria, per festeggiare la risurrezione del medesimo Gesù Cristo Signor nostro, che vive e regna con voi nei secoli dei secoli. Amen.

Benedizione delle uova

La carne degli animali non era l’unico nutrimento interdetto ai cristiani dalla legge quaresimale, la quale proibiva anche le uova, nella loro qualità di cibo da essi prodotto. Tale prescrizione non è più in vigore ai giorni nostri, ma prima che la Chiesa facesse questa nuova concessione alla debolezza attuale, era necessario che ogni anno una dispensa più o meno estesa venisse a rendere legittimo l’uso di un alimento universalmente proscritto durante la quaresima. Le Chiese orientali hanno conservato assai meglio tale disciplina e non conoscono questo genere di dispense. Nella loro gioia di ricuperare un cibo la cui sospensione era stata penosa, i fedeli domandavano alla Chiesa di benedire le prime uova che sarebbero riapparse sulla mensa pasquale. Ed ecco la preghiera che la Chiesa impiegava per corrispondere al loro desiderio:

La grazia della tua benedizione, o Signore, discenda su queste uova affinché esse siano un nutrimento salubre per i tuoi fedeli, che le mangeranno in azione di grazia della Risurrezione Gesù Cristo nostro Signore, che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Che sia dunque lieto il convito pasquale benedetto dalla Chiesa nostra Madre; e che accresca, per mezzo della sua santa libertà, l’allegrezza di questo giorno! Le solennità religiose devono essere, tra i cristiani, feste di famiglia; ma, durante tutto il ciclo liturgico, non ve n’è nessuna che sia paragonabile a questa, da noi attesa così a lungo e che ci ha portato, al medesimo tempo, la misericordia del Signore che perdona e la speranza dell’immortalità.

PREGHIAMO

O Dio, che in questo giorno per mezzo del tuo Unigenito hai debellato la morte e ci hai riaperto le porte dell’eternità; fa’ che col tuo aiuto si adempiano le buone aspirazioni della grazia.

¹ Sal 29 (30), 6.

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