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giovedì 28 marzo 2024

Il crollo della liturgia e la crisi della Chiesa: il punto di vista della sociologia

Sandro Magister ha pubblicato nei giorni scorsi sul blog Diakonos.be la recensione dell'ultimo volume del prof. Luca Diotallevi: “La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019”, edito da Rubbettino, che mostra in termini impietosi il grado drammatico raggiunto dalla crisi della Chiesa, rilevando il crollo della partecipazione liturgica e pronosticandone l'ulteriore, tragica riduzione.

Da parte sua, Magister fa notare che, secondo alcune interessanti indicazioni del libro - che richiedono di essere approfondite e sviluppate - il fenomeno è connesso anche a «una mutazione dei riti offerti ai fedeli», che Diotallevi chiama «performance-centered rituals», scrivendo altresì che «per le liturgie cattoliche una spinta in questo senso potrebbe essere venuta dalla progressiva spettacolarizzazione delle liturgie vaticane verificatasi nel corso degli ultimi tre pontificati, dalla sostanziale deregolamentazione di sempre più vasti settori dell’offerta liturgica, come anche da molte delle soluzioni adottate dal clero nel corso dei ‘lockdown’ intervenuti per contrastare la sindemia da Covid». Non vorremmo aver frainteso, ma ci pare proprio che, quantomeno stando alla sintesi proposta da Magister, l'illustre studioso, esaminando la situazione in termini sociologici, punti inesorabilmente il dito sullo stato della liturgia riformata, se non sulla stessa riforma liturgica, e ne predichi il sostanziale fallimento - per di più proprio sul piano pastorale, che avrebbe dovuto esserne il punto di forza. Quanto alla risposta della Chiesa italiana all'emergenza Covid, su questo blog si sfonda una porta aperta!

Non basta. Magister rileva altresì che, per Diotallevi, in Italia lo svuotamento delle parrocchie a vantaggio di offerte religiose d’altro tipo, quali i movimenti ecclesiali spesso tra loro in competizione, avrebbe prodotto come una moltiplicazione dei “cattolicesimi”, e sarebbe stato non un rimedio ma proprio una delle cause del declino della partecipazione alla Messa. Col che, risulterebbe fallimentare non solo la riforma liturgica, ma addirittura l'intero impianto della pastorale postconciliare, perlomeno in Italia.

Ce n'è abbastanza, dunque, per invogliarci alla lettura sia del breve pezzo di Magister - che vi proponiamo qui di seguito - sia del libro di Diotallevi.

Enrico Roccagiachini

L’Italia non fa più eccezione. A messa ci vanno i vecchi e tra un po’ nemmeno loro

“Sine dominico non possumus”, senza la messa domenicale non possiamo vivere, dissero i martiri di Abitene arrestati nel 305 per aver sfidato il divieto imperiale di celebrare l’eucaristia.

I cristiani erano allora una piccola minoranza dei cittadini dell’impero. E anche oggi lo sono, nell’Occidente più secolarizzato. Ma mentre allora erano in crescita impetuosa, oggi accade il contrario, il loro numero si riduce sempre di più.

Si riduce anche in Italia, che è una delle nazioni più studiate per il suo legame specialissimo con il papa, e che ancora all’inizio di questo secolo era ritenuta una “eccezione” in controtendenza, nel generale inaridirsi della fede cristiana.

Ed è proprio questo calo della partecipazione degli italiani alla messa domenicale l’oggetto analizzato da Luca Diotallevi – professore allo Università di Roma Tre e sociologo della religione dei più affermati e originali, discepolo del grande Niklas Luhmann – nel suo ultimo libro con titolo: “La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019”, edito da Rubbettino.

La messa domenicale è l’indicatore sociologico più naturale della partecipazione alla vita della Chiesa. Ebbene, anche per l’Italia non c’è “eccezione” che tenga. La presenza alla messa è in calo ininterrotto nell’intero arco di tempo preso in esame da Diotallevi sulla scorta delle annuali rilevazioni dell’ISTAT, l’istituto nazionale di statistica: dal 1993 al 2019, con accelerazione del declino dal 2005 in poi, e con ulteriore decrescita nel 2020 e 2021.

In cifre si passa del 37,3 per cento della popolazione che assiste alla messa domenicale nel 1993 al 23,7 per cento nel 2019, con un calo di un terzo e con l’avvertenza che le partecipazioni alla messa dichiarate sono più numerose di quelle reali.

Se poi si incrocia questo dato generale con il sesso e le età, il declino si manifesta ancora di più.

Le donne che sono sempre state molto più numerose degli uomini nell’assistere alla messa domenicale, stanno disertandola a un ritmo ancor più veloce, al punto che nelle età giovanili e nelle prime età adulte non c’è ormai più alcuna differenza numerica tra i due sessi.

Quanto all’età di chi assiste alla messa, in passato le presenze maggiori venivano rilevate nelle età infantili e adolescenziali, con un calo nelle età giovanili e adulte e un ritorno in chiesa nelle età più avanzate.

Ma oggi non è più così. Il declino iniziale si fa sempre più rapido e anticipato, sia per i maschi che per le femmine, e anche il successivo picco negativo si fa più precoce, più profondo e soprattutto più duraturo, perché la successiva ripresa di presenza alla messa è ormai tenue se non assente, per i nati dopo il 1950.

Il risultato è che se oggi gli anziani, per lo più donne, hanno ancora una presenza cospicua e visibile alle messe domenicali, in un vicino futuro non sarà più così. Una volta usciti di scena questi anziani, saranno molti di meno quelli che li rimpiazzeranno. Al punto che Diotallevi prevede che presto, in Italia, la presenza alla messa domenicale “si ridurrà a un valore prossimo al 10 per cento della popolazione, il che in molte aree del Paese corrisponderebbe a un valore effettivo a una sola cifra”.

E non è tutto, perché al calo numerico della partecipazione alla messa domenicale si accompagna anche una mutazione dei riti offerti ai fedeli. Diotallevi li chiama “performance-centered rituals” e scrive che “per le liturgie cattoliche una spinta in questo senso potrebbe essere venuta dalla progressiva spettacolarizzazione delle liturgie vaticane verificatasi nel corso degli ultimi tre pontificati, dalla sostanziale deregolamentazione di sempre più vasti settori dell’offerta liturgica, come anche da molte delle soluzioni adottate dal clero nel corso dei ‘lockdown’ intervenuti per contrastare la sindemia da Covid”.

Ciò si inserisce, a giudizio di Diotallevi, in una evoluzione del cattolicesimo italiano verso “una forma di religione a bassa intensità”, priva di una rilevanza extra-religiosa in campo politico, economico, scientifico, accademico, fatto salvo il dedicarsi ad attività caritative di volontariato di alcuni degli attuali frequentatori della messa domenicale.

Il tutto su uno sfondo di “allentamento dei legami comunitari di tipo ecclesiale, a vantaggio di una deriva congregazionialistica e di ‘democratization of religion’”.

In particolare, Diotallevi sostiene che in Italia l’avvenuto abbandono della struttura territoriale delle parrocchie a vantaggio di una moltiplicazione di offerte religiose d’altro tipo, ad esempio i movimenti ecclesiali spesso tra loro in competizione, in una sorta di moltiplicazione dei “cattolicesimi”, è stato non un rimedio ma proprio una delle cause del declino della partecipazione alla messa.

Nel libro di Diotallevi queste valutazioni critiche sono condensate in rapidi cenni. Eppure sono di grande interesse e stimolano ulteriori approfondimenti, per chi voglia esplorare questo “scientificamente preziosissimo caso italiano“.