Un interessante approfondimento dell'amico don Marino Neri.
Per iniziare bene la Quaresima
Luigi C.
Don Marino Neri, Schola Palatina, 17 Gennaio 2023
Statio è un sostantivo che deriva dal verbo sto e indica propriamente l’atto di fermarsi o di soggiornare; quindi, per estensione, assume il significato anche del luogo secondo i fini per cui si compie la sosta o il soggiorno. Così, per esempio, nel foro romano, nei pressi del tempio di Giuturna (Lacus Iuturnae), si trovano ancora le vestigia costantiniane della statio aquarum, la sede amministrativa degli acquedotti, che regolava la distribuzione dell’acqua; dove oggi sorge la basilica di S. Maria in Cosmedin a Roma vi era la statio annonae, il servizio pubblico preposto alla distribuzione di vivande al popolo romano; nel gergo militare, abbiamo le stationes, luoghi fortificati posti spesso presso confini, con valore di avvistamento e di difesa. Una parola dunque tipicamente romana che il cristianesimo antico assumerà per esprimere, insieme, l’atto penitenziale con cui purificare l’anima dal peccato, la celebrazione del suddetto atto e il luogo in cui tutto ciò avviene (chiese stazionali).
In modo particolare, vale la pena leggere quanto Massimo di Torino (IV-V sec.) afferma a proposito del digiuno quaresimale: «Così, dunque, anche noi dobbiamo completare con tutto l’impegno il cammino prefissato dei quaranta giorni e difenderci con l’osservanza dei digiuni, come fossero in un certo modo accampamenti (castra). I nostri digiuni, infatti, sono per noi come accampamenti che ci difendono dall’assalto diabolico. Perciò sono chiamati “stazioni” (stationes), perché, stando lì (stantes), e trattenendoci al loro interno, respingiamo le insidie dei nemici. […] Una sorta di muro è, dunque, il digiuno per il cristiano, inespugnabile per il diavolo, invalicabile per il nemico» (serm. 69, 1-2). E Isidoro di Siviglia (VI-VII sec.) ribadirà: «Il digiuno è chiamato anche statio, sul modello della statio militare, ossia del turno guardia» (etym. 6, 19, 66).
Dunque, risemantizzando un termine del lessico militare in ordine al definire un concetto proprio della nuova militia christiana, la statio esprime l’atto con cui un fedele compie una pratica a carattere marcatamente penitenziale, comprendente il digiuno e la preghiera. E come il soldato, stando stabilmente sulla torretta di guardia, avvista il nemico e dà l’allarme, così il cristiano, “montando la guardia” con l’astinenza e le preghiere, può difendersi dagli assalti spirituali del demonio.
Le celebrazioni stazionali a Roma
Va detto che, come ha ben notato Christine Mohrmann, a partire dal IV secolo, statio comincia a indicare soprattutto il luogo in cui si compiono queste celebrazioni penitenziali, nonché i riti stessi.
Nella Chiesa primitiva e quindi ancora in età patristica, vi era l’usanza di digiunare due giorni per settimana, il mercoledì per riparare al tradimento di Giuda, e il venerdì per unirsi spiritualmente alla morte del Signore. Se nell’Africa dei tempi di Tertulliano la statio non si concludeva con la Messa, dal IV secolo la pellegrina Egeria ci attesta che a Gerusalemme la statio culminava con la Messa celebrata dal vescovo. Roma conoscerà molto presto la pratica delle celebrazioni stazionali, già nel III secolo.
Ma è dal IV secolo con certezza, oltre un ventennio dopo l’editto costantiniano, che le stationes si tengono nei cosiddetti tituli, le chiese ove sono custodite le reliquie dei martiri della Fede.
L’importanza della statio si segnala soprattutto nel tempo di Quaresima, quando il cristiano è chiamato a præsidia militiæ christianæ sanctis inchoare ieiuniis (iniziare con santi digiuni le difese della milizia cristiana). La chiesa dove si celebrava la statio accoglieva i fedeli che, tra preghiere e canti, concludevano il rito assistendo alla Messa officiata dal Papa. Il lunedì, il mercoledì e il venerdì, a partire dal V secolo, diventeranno giorni di statio solenne: il popolo si riuniva in un’ecclesia ad collectam, partendo dalla quale in processione al canto di litanie e salmi (letania), si recava nella chiesa stazionale dove si celebrava l’Eucarestia.
Se non consta con certezza quando questa pratica quaresimale abbia assunto forma regolare – una prima notizia desunta dal Liber Pontificalis assegna a papa Ilaro l’arricchimento del servizio liturgico delle chiese stazionali romane –, va comunque ascritta all’opera di Gregorio Magno (VI sec.) il riordino delle chiese stazionali e l’incentivo a praticare con fervore questo pio esercizio penitenziale. Il sistema stazionale stabilito da Gregorio Magno trova completamento nell’VIII sec. per mano di Gregorio II, che doterà di chiese e celebrazioni anche i giovedì di Quaresima, rimasti esclusi dal primo catalogo gregoriano, in quanto giorno commemorativo dell’istituzione del sacerdozio e dell’Eucarestia, e dunque non penitenziale (così come il sabato e la domenica, almeno fino al IX secolo).
A partire dall’VIII secolo in poi cominciano a essere assegnate chiese stazionali per ogni principale celebrazione dell’anno liturgico, pertanto emancipandole dal solo periodo quaresimale. Se col periodo avignonese la prassi della statio di fatto si perde e successivamente riemerge solo in maniera sporadica nel corso dei secoli, dopo la caduta dello Stato pontificio e la perdita del potere temporale dei Papi (1870) ogni manifestazione religiosa pubblica non può essere celebrata lungo le vie della Città Eterna, costringendo alla temporanea scomparsa di questa significativa liturgia.
Le chiese stazionali e la Pontificia Accademia Collegium Cultorum Martyrum
Il progressivo ripristino delle stazioni, almeno quelle quaresimali, è stato dovuto all’opera di mons. Carlo Respighi, Magister della Pontificia Accademia Cultorum Martyrum, a partire dal 1931. Questa Accademia, fondata con la denominazione di Collegium Cultorum Martyrum il 2 febbraio 1879 dagli studiosi di antichità sacra M. Armellini, A. Hytreck, O. Marucchi ed E. Stevenson, ha lo scopo di promuovere il culto dei Santi Martiri e di approfondire l’esatta storia dei “testimoni della Fede” e dei monumenti ad essi collegati, fin dai primi secoli del cristianesimo. Qui di seguito si fornisce l’elenco delle chiese stazionali romane per il tempo quaresimale:
Mercoledì delle Ceneri: S. Sabina all’Aventino; Giovedì: S. Giorgio al Velabro; Venerdì: Ss. Giovanni e Paolo al Celio; Sabato: S. Agostino in Campo Marzio; Domenica I di Quaresima: S. Giovanni in Laterano; Lunedì: S. Pietro in Vincoli al Colle Oppio; Martedì: S. Anastasia (S. Teodoro) al Palatino; Mercoledì: S. Maria Maggiore; Giovedì: S. Lorenzo in Panisperna; Venerdì: Ss. XII Apostoli al Foro Traiano; Sabato: S. Pietro in Vaticano; Domenica II di Quaresima: S. Maria in Domenica alla Navicella; Lunedì: S. Clemente presso il Colosseo; Martedì: S. Balbina all’Aventino; Mercoledì: S. Cecilia in Trastevere; Giovedì: S. Maria in Trastevere; Venerdì: S. Vitale in Fovea; Sabato: Ss. Marcellino e Pietro al Laterano; Domenica III di Quaresima: S. Lorenzo fuori le Mura; Lunedì: S. Marco al Campidoglio; Martedì: S. Pudenziana al Viminale; Mercoledì: S. Sisto (SS. Nereo e Achilleo); Giovedì: Ss. Cosma e Damiano in Via Sacra; Venerdì: S. Lorenzo in Lucina; Sabato: S. Susanna alle Terme di Diocleziano; Domenica IV di Quaresima: S. Croce in Gerusalemme; Lunedì: Ss. Quattro Coronati al Celio; Martedì: S. Lorenzo in Damaso; Mercoledì: S. Paolo fuori le Mura; Giovedì: Ss. Silvestro e Martino ai Monti; Venerdì:S. Eusebio all’Esquilino; Sabato: S. Nicola in Carcere; Domenica V di Quaresima: S. Pietro in Vaticano; Lunedì: S. Crisogono in Trastevere; Martedì: S. Ciriaco (S. Maria in via Lata al Corso); Mercoledì: S. Marcello al Corso; Giovedì: S. Apollinare in Campo Marzio; Venerdì: S. Stefano al Celio; Sabato: S. Giovanni a Porta Latina; Settimana Santa-Domenica delle Palme: S. Giovanni in Laterano; Lunedì: S. Prassede all’Esquilino; Martedì: S. Prisca all’Aventino; Mercoledì: S. Maria Maggiore; Giovedì: S. Giovanni in Laterano; Venerdì: S. Croce in Gerusalemme; Sabato: S. Giovanni in Laterano; Domenica di Pasqua: S. Maria Maggiore.
Questo è l’itinerario tardoantico-altomedievale – e ancora oggi valido – per la conversione personale e per l’affermazione pubblica della Fede cattolica contro la deriva secolarista del mondo moderno: un modello romano tradizionale da imitare anche per le altre diocesi.
FONTE: Radici Cristiane n. 92
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