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venerdì 19 gennaio 2024

I nuovi media della radio, della televisione e dei social network al servizio della Tradizione

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 998 pubblicata da Paix Liturgique il 16 gennaio, in cui si riporta l'intervento di Jean-Pierre Maugendre, presidente dell’associazione Renaissance Catholique, in occasione dell'8º incontro Pax Liturgica, tenutosi a Roma, presso il Pontificio Istituto Patristico Augustinianum, il 27 ottobre 2023, che ha preceduto il 12º pellegrinaggio internazionale Populus Summorum Pontificum.

L.V.


Padre, Abati, Signore e Signori, cari Amici, grazie per essere qui e anche per aver rinunciato alla vostra siesta romana per venire ad ascoltare alcune parole, forse più austere delle precedenti, sul tema che mi è stato chiesto di trattare: i nuovi media della radio, della televisione e dei social network al servizio della Tradizione.

Alcuni di questi «nuovi media» non sono così nuovi come la radio e la televisione. E poi sono arrivati i famosi social network. Probabilmente non sono il profano più competente per trattare questo argomento, essendo solo un modesto dilettante in questi campi, ma cercherò di farlo sforzandomi di essere metodico. In sostanza, vi offrirò le parole di un laico impegnato che è ben consapevole di essere solo un membro della Chiesa insegnata e non della Chiesa docente, come lo era mons. Athanasius Schneider O.R.C. questa mattina.

I. Che cos’è la Tradizione?

Alcune riflessioni per aiutarci a capire che cos’è la Tradizione, non necessariamente in modo molto teologico, ma forse in modo più sociologico, visto da un laico. Per me la Tradizione nella Chiesa è fedeltà, resistenza e opera della Chiesa.

A) Tradizione come fedeltà

Questa fedeltà ha senso solo se siamo ben consapevoli che la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo, prima di essere la Chiesa del Papa, chiunque esso sia, Pietro, Paolo, Giacomo o Giovanni. Ecco alcune citazioni per rafforzare questa convinzione:
  • nel XVII secolo, mons. Jacques Bénigne Bossuet, Vescovo di Meaux, disse: «La Chiesa è Gesù Cristo diffuso e comunicato»;
  • nel XV secolo, Santa Jeanne d’Arc disse: «Credo che Gesù Cristo e la Chiesa siano la stessa cosa»;
  • e infine il venerabile Papa Pio XII, il 29 giugno 1943, nella lettera enciclica Mystici corporis Christi: la Chiesa è definita come il Corpo mistico di Cristo.

Questa nozione di fedeltà si riferisce quindi al fatto che la Tradizione ci lega a Cristo attraverso la mediazione degli apostoli.

Il dramma con cui ci confrontiamo oggi, che ci piaccia o no, è che in un certo modo e sotto certi aspetti il Concilio Vaticano II ha segnato una rottura, di cui non sta a noi misurare qui la gravità, l’estensione e le modalità, ma che molti hanno osservato. Una rottura reale o apparente nella trasmissione di ciò che la Chiesa ci ha dato da Cristo stesso e dagli Apostoli negli ultimi duemila anni.

Ecco alcuni elementi a sostegno di questa intuizione, scelti tra un gran numero di altri:
  • un libro di uno storico francese abbastanza noto, cattolico impegnato, François Huguenin, il cui titolo è il seguente La grande conversion, l’Eglise et la liberté, de la révolution à nos jours [La grande conversione, la Chiesa e la libertà, dalla Rivoluzione ai giorni nostri: N.d.T.], in cui spiega che la dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae contraddice innegabilmente un’enciclica, come la lettera enciclica Libertas di Papa Leone XIII, e l’insegnamento dei Papi dopo la Rivoluzione, da Papa Pio VI ed il servo di Dio Papa Pio VII in poi;
  • e ancora, un estratto di un libro molto letto in Francia, pubblicato ormai tre anni fa, scritto da un sociologo e storico, Guillaume Cuchet, con il seguente titolo Comment notre monde a cessé d’être chrétien [Come il nostro mondo ha smesso di essere cristiano: N.d.T.]. In esso analizza il modo in cui la società francese si è scristianizzata dal 1965 – questa è la data che prende in considerazione, la fine del Concilio. Cito: «Questa rottura all’interno della predicazione cattolica ha creato una profonda discontinuità nei contenuti predicati e vissuti della religione su entrambe le sponde degli anni Sessanta. È così evidente che un osservatore esterno potrebbe legittimamente chiedersi se, al di là della continuità di un nome e dell’apparato della teoria dei dogmi, si tratti ancora davvero della stessa religione».
Guillaume Cuchet non è un teologo, non disseziona testi. È un sociologo. Osserva ciò che accade. Guarda come si viveva negli anni Sessanta e come si vive oggi, e in particolare si interessa alla questione della liturgia. Il sociologo si chiede, al di là della permanenza dell’apparato, se si tratta davvero della stessa religione;
  • e infine, abbiamo tutti in mente l’affermazione del card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che nel marzo 2023, a proposito della Messa, ha detto: «La teologia della Chiesa è cambiata».

Mons. Athanasius Schneider O.R.C., lo ha citato questa mattina nella sua opera sul Credo. Compendium of the catholic faith, la nostra fedeltà è secondo il Commonitorium di San Vincent de Lérins, è fedeltà a ciò che è sempre, ovunque e da tutti creduto. Questa fedeltà non è un’invenzione, una creazione, un libero esame protestante; è una fedeltà a un patrimonio che ci è stato tramandato.

B) Tradizione come resistenza

Ma la Tradizione è anche una forma di resistenza, basata su quanto detto in precedenza: un certo numero di cose credute da tutti oggi non lo sono più. Questa resistenza è stata cristallizzata dalla riforma liturgica. Questa riforma è ciò che vede il parrocchiano medio. I grandi dibattiti teologici sulla salvezza degli infedeli ecc. non interessano alla signora Michu [la casalinga media: N.d.T] e non la riguardano. D’altra parte, ciò che accade a Messa la domenica, lei lo vede, lo sa e si sente preoccupata.

Questa resistenza si è quindi cristallizzata intorno alla riforma liturgica. Ha assunto forme diverse, tra cui la protesta di laici e non laici, la resistenza intellettuale, come quella della bellissima figura di Cristina Campo, che ha avuto un ruolo molto attivo nella stesura del Breve esame critico del Novus Ordo Missae, poi firmato dal card. Alfredo Ottaviani e dal card. Antonio Bacci. E ancora – e qui mi permettete di fare un piccolo cocorico – con quello che credo sia stato uno dei maggiori poli di questa resistenza intellettuale, la Francia. Lois Salleron ha citato San Paolo VI. San Paolo VI visitò Saint Louis des Français il 31 maggio 1964 e disse loro: «La Francia è il forno dove si cuoce il pane intellettuale di tutta la Cristianità». È dura per la nostra umiltà, ma queste sono le parole di un Sommo Pontefice…

In realtà, questa tradizione intellettuale francese si spiega storicamente con il fatto che, nel complesso, dalla Rivoluzione francese in poi le autorità pubbliche sono state molto contrarie alla religione cattolica. I Cattolici francesi hanno una cultura di resistenza alle autorità pubbliche, il che non significa che non ci siano state persecuzioni anticattoliche in altri Paesi, come il Giuseppinismo, il Kulturkampf e il Marchese di Pombal in Portogallo.

Non sto dicendo che solo in Francia i Cattolici sono stati perseguitati, sto dicendo che c’è stata una continuità per due secoli che ha dato ai Cattolici francesi una mentalità, un’abitudine a resistere alle autorità, quelle politiche e poi anche quelle religiose.

Nel 1892, quando Papa Leone XIII, nella sua lettera enciclica Au milieu des sollicitudes, chiese ai Cattolici di mobilitarsi per la Repubblica, un certo numero di loro si rifiutò, rifiutando così le urgenti direttive del Sommo Pontefice.

Un altro episodio fu la condanna dell’Action Française dal 1926 al 1939, quando per tredici anni un certo numero di Cattolici, non i meno pii e ferventi, furono privati dei sacramenti per ordine del Sommo Pontefice. E così, quando su altri temi e in altri ambiti, quarant’anni dopo, un Cattolico, o i suoi figli, sono nuovamente chiamati a opporsi ai Vescovi e al Sommo Pontefice, lo fanno più facilmente.

Questa resistenza è anche una resistenza pratica, quella delle migliaia di sacerdoti che hanno continuato a celebrare la Santa Messa tradizionale.

E poi c’è stata la resistenza di due Vescovi: mons. Antônio de Castro Mayer, Vescovo di Campos, che appena promulgata la riforma liturgica nel 1970 (era obbligatoria dal 1971), scrisse al Sommo Pontefice dicendogli che era responsabile davanti a Dio del gregge che gli era stato affidato e che, per il bene delle anime, la riforma non sarebbe stata applicata nella sua Diocesi. Permettetemi di riferirvi questo, visto che stiamo lavorando alla pubblicazione in Francia dell’opera Credo di mons. Athanasius Schneider, che è molto illuminante, e che dice che il Vescovo non è il direttore di un ramo il cui direttore generale è il Sommo Pontefice. L’altro Vescovo è stato mons. Marcel François Lefebvre, fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X.

Ma potremmo anche citare la lettera inviata da seimila sacerdoti della Fraternità di Sant’Antonio Maria Claret in Spagna al Sommo Pontefice, che non ha mai avuto seguito.

C) Anche la Tradizione è un’opera della Chiesa

Jean Madiran ha insistito sul fatto che le nostre lamentele, la nostra apparente disobbedienza, non sono mai state una rivolta. Sono una resistenza a un abuso di potere. Non sono una rivolta; siamo figli della Santa Chiesa. Quando Sant’Atanasio fu scomunicato da Papa Filiberto nel 357, al tempo della crisi ariana, rimase un figlio della Chiesa: espresse il suo rifiuto, ma non fu una rivolta. La nostra resistenza non è mai una rivolta.

II. Il contesto generale del nostro tema intorno ai media

Negli ultimi decenni, quali sono state le caratteristiche del clima generale nel mondo e nella Chiesa? Questo è anche il titolo di un libro di mons. Athanasius Schneider di prossima pubblicazione, Le printemps annoncé n’est jamais arrivé [La primavera annunciata non è mai arrivata: N.d.T.], la primavera preannunciata nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II Gaudet Mater Ecclesia di San Giovanni XXIII, in cui egli castigava i «profeti di sventura».

Successe che la stragrande maggioranza dei Cardinali, dei Vescovi, dei sacerdoti e dei laici, con diversi gradi di entusiasmo, si affidarono all’autorità legittima o a coloro che venivano presentati come tali, cioè il Papa e il Concilio. Era un riflesso cattolico. Questo era lo stato d’animo della stragrande maggioranza della Chiesa docente e della Chiesa insegnata: la gente seguiva il proprio Parroco.

Ma una cosa è certa: possiamo aprire vasti dibattiti sul Concilio Vaticano II, sul post-Concilio, sullo spirito del Concilio e su tutto quello che vogliamo, ma c’è un argomento su cui non c’è dibattito e che ci riunisce oggi in particolare, ed è il desiderio di San Paolo VI di veder scomparire la Santa Messa tradizionale. Lo disse fin dall’inizio: questa Messa sarebbe scomparsa. A sessant’anni di distanza, abbiamo il diritto e il dovere di fare un bilancio. Sarebbe sorprendente se si trattasse semplicemente di due eventi coincidenti: il 1965, la fine del Concilio Vaticano II e l’inizio della desertificazione delle chiese. C’è stata una massiccia scristianizzazione delle persone e delle istituzioni, soprattutto nell’Europa occidentale. Mi ha colpito molto un’inchiesta pubblicata questa settimana in Francia sull’Ungheria. L’Ungheria, che viene dipinta come il bastione del Cristianesimo per molti aspetti, che è guidata da un protestante, Viktor Orbán, un calvinista, che ha una legislazione favorevole alla famiglia che include riferimenti all’Ungheria cristiana, a Santo Stefano e a tutto il resto nella sua Costituzione, sta anche assistendo a un crollo del numero di persone che si considerano protestanti o cattoliche.

In Francia, nel 1965, il 25 per cento della popolazione praticava la religione. Oggi si pensa che sia meno del 2 per cento. C’è una protestantizzazione delle credenze. In un libro appena pubblicato, mons. Marc Marie Max Ailliet, Vescovo di Bayonne, Le temps des saints, cita questo sondaggio: solo il 57 per cento dei frequentatori abituali della chiesa, cioè di coloro che vanno a Messa ogni domenica o, secondo la nuova definizione, una volta al mese, crede nella resurrezione dei morti; in altre parole, il 43 per cento non ci crede. Vanno a Messa ogni domenica ma non credono nella risurrezione dei morti. È un po’ sconvolgente.

Inoltre, mi sembra che forse non si dia abbastanza importanza al mancato rispetto della legge morale naturale da parte dei Cattolici. È paradossale che Paesi con un tasso molto alto di pratica regolare – 25 per cento, 30 per cento, 35 per cento della popolazione (Spagna, Italia, Portogallo) – abbiano i tassi di natalità più bassi d’Europa. Ciò solleva la questione se questi frequentatori abituali della chiesa stiano vivendo l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla trasmissione della vita.

C’è poi la banalizzazione e l’orizzontalità della liturgia. E poi ci sono le nuove riforme in corso, il Sinodo sulla sinodalità, il Cammino sinodale in Germania. E ancora, e ancora, e ancora. Sono passati sessant’anni da quando tutto è crollato, eppure andiamo avanti. Ma c’è una novità: oggi le domande e le resistenze sono pubbliche, cosa che non accadeva cinquant’anni fa, quando quasi tutti obbedivano. Come me, avete seguito le domande e i dubbi presentati dai card. Raymond Leo Burke, card. Walter Brandmüller, card. Joseph Zen Ze-kiun S.D.B. e card. Robert Sarah all’apertura del Sinodo.

Questo è qualcosa di profondamente nuovo. Vi rimando alla conclusione di un libro fondamentale, che vale per la Francia come per altri Paesi, Les crises du clergé français contemporain, di Paul Vigneron. Paul Vigneron conclude il suo libro con la domanda che dovremmo porci di fronte a questo disastro: «Sì, forse siamo sulla strada sbagliata da molto tempo». Chi oggi, tra il personale ecclesiastico, si porrà la domanda, di fronte al disastro che stiamo vivendo, se alla fine non siamo stati sulla strada sbagliata per cinquant’anni? Dobbiamo essere umili, soprattutto quando siamo al comando.

Quando chiediamo ai giovani pellegrini del Pellegrinaggio di Pentecoste, persone che si uniscono alle comunità tradizionali, troviamo tre forti aspirazioni:
  1. la prima è l’aspirazione alla trascendenza, alla bellezza. Nella Santa Messa tradizionale c’è una solennità, una bellezza, si vede che ci stiamo allontanando dall’orizzontalità quotidiana. Questa è un’aspirazione della natura umana e, soprattutto, quando abbiamo provato tutto, a partire dai piaceri della vita, può venire alla luce la famosa frase di Sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, o mio Dio, e il nostro cuore è turbato quando non riposa in Te», che è ciò che un certo numero di giovani sta scoprendo dopo aver provato tutto nella società dei consumi e delle libertà portate dalla rivoluzione del maggio 1968;
  2. la seconda è essere esigenti. Ci viene in mente la famosa frase «le cose valgono quanto costano». Una religione non esigente non risponde all’aspirazione della natura umana, che è quella di elevarsi, di rivolgersi a Dio e di sapere nel profondo che dobbiamo darci i mezzi per dominare la nostra natura ferita;
  3. la terza è un bisogno di coerenza: Cristo, che è veramente la Via, la Verità e la Vita, colui che dà senso alla nostra vita e colui che deve regnare sulle società per renderle il meno inabitabili possibile.

Mi sembra che la liturgia romana tradizionale risponda alle sue aspirazioni.

III. Il nuovo ambiente mediatico

Affinché i media svolgano un ruolo in una società, sono necessarie tre cose:
  1. un pubblico;
  2. risorse materiali;
  3. persone e talenti.

A ) Un pubblico

Poco fa ho parlato del fallimento dell’aggiornamento post-conciliare. Sappiamo quanto successo ha avuto il Pellegrinaggio di Pentecoste, con quindicimila persone e un’età media di 21 anni, anche se troppe persone hanno dovuto iscriversi pochi giorni prima del pellegrinaggio.

Anche lo sviluppo delle scuole cattoliche non convenzionate è un fenomeno estremamente importante, dal momento che l’istruzione statale si sta sviando e l’istruzione cattolica convenzionata non trasmette più la fede.

Anche negli Stati Uniti, il racconto di mons. Joseph Edward Strickland sulla Diocesi di Tyler parla in modo simile di famiglie cattoliche che si riuniscono intorno alle parrocchie tradizionali.

Questo pubblico è composto da coloro che hanno mantenuto accesa la fiaccola della Tradizione. Sempre più spesso – come abbiamo sentito questa mattina – si tratta di convertiti, di giovani. Credo sia importante notare che questo pubblico è sempre esistito, ma è stato ostracizzato, come nell’antica Atene, dove era la peggiore delle punizioni: chi non voleva più vivere tra i barbari veniva mandato via. I Cattolici fedeli alla Tradizione sono sempre esistiti, ma finora sono stati ostracizzati.

Nel dicembre 1980, un numero di Itinéraires, la rivista fondata da Jean Madiran, riportava un sondaggio sulla Messa realizzato da Michael Davies per una pubblicazione britannica. Alla domanda «A quale Messa preferireste assistere, supponendo che siano tutte permesse?», risposero 15mila persone:
  • Messa in inglese nella traduzione attuale = 1.635 o 12 per cento delle risposte;
  • Messa in inglese in una traduzione migliore = 1.045 o 7 per cento delle risposte;
  • Messa in latino nel nuovo rito = 847 o 6 per cento;
  • Messa in latino nel rito tradizionale = 10.622, cioè il 75 per cento.

Era il 1980. E questo 75 per cento, nel 1980, non aveva voce in capitolo. Non sono rappresentati da nessuno, o quasi. Sono scomparsi dallo schermo radar, nessuno si interessa a loro. Più vicino a noi, vi rimando ai numerosi sondaggi condotti da Paix Liturgique, dove ovunque, in ogni Paese, alla domanda degli ultimi quindici anni: «Parteciperebbe alla Santa Messa tradizionale se fosse celebrata nella sua Parrocchia?», in ogni Paese del mondo, il 40-50 per cento degli intervistati che frequentavano la chiesa ha risposto che vi avrebbe partecipato.

In realtà, quella che Pierre Debray in Francia ha chiamato la Chiesa silenziosa è sempre esistita: il 75 per cento di cui si parla o il 40 o 50 per cento di cui si parla hanno continuato a esistere dopo il Concilio Vaticano II, ma sono stati ostracizzati. Ma arriva un momento, ed eccoci qui, in cui, per varie ragioni su cui torneremo, la realtà corrisponde alla rappresentazione che se ne fa. In altre parole, quando il 50 per cento delle persone dice: «Andrei alla Santa Messa tradizionale se fosse celebrata nella mia Parrocchia, ma nessuno me ne parla mai», si finirà per capire, per convinzione o per ragioni commerciali, che c’è un pubblico e che ci sono persone che sarebbero interessate se gliene si parlasse.

B) Risorse materiali

Gli approcci sono essenzialmente due.
  1. c’è il peso preponderante delle autorità pubbliche. In un Paese come la Francia, la maggior parte dei canali televisivi è di proprietà dello Stato (France 2, 3, 4, 5, France Info). Che siate d’accordo o meno, sono i contribuenti a pagare le persone, alcune delle quali vi sputano addosso tutto il giorno;
  2. e poi c’è il secondo approccio ai media: gruppi privati il cui obiettivo è fare soldi. Prendiamo Patrick Le Lay, amministratore delegato di TF1 nel 2004. Fondamentalmente, il compito di TF1 è quello di aiutare la Coca Cola a vendere il suo prodotto, per esempio. Patrick Le Lay dice: «Quello che si vende alla Coca Cola è il tempo disponibile del cervello umano. Faccio un programma in modo che la gente venga a guardarlo e poi, nel bel mezzo del programma, inserisco qualcosa per la Coca Cola, e siccome c’è molta gente che guarda il programma, la Coca Cola mi paga molto. Non sono qui per aiutare le persone, non sono qui per edificarle, sono qui per fare in modo che più persone possibile guardino il programma in modo che la Coca Cola mi paghi il più possibile» è una rielaborazione di una vecchia idea, Emile Girardin, quando fondò la stampa nel 1836, che è un quotidiano, disse la stessa cosa: faremo pubblicità in modo che i giornali costino meno.

Ma poi c’è Internet: l’arrivo di Internet ha ridotto notevolmente il pubblico per il lavoro creativo da un lato e per le trasmissioni dall’altro.

C) Il talento

E poi c’è il talento. A questo proposito, vorrei fare una distinzione tra due tipi di media: i mass media e i media alternativi.

Per quanto riguarda il talento, la Chiesa ha sempre avuto talento nel comunicare: pensiamo a San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, che ha distribuito opuscoli e materiale stampato per ricattolicizzare la regione dello Chablais. San Massimiliano Kolbe; tra le due guerre, il Cavaliere dell’Immacolata ebbe una tiratura di ottocentomila copie.

In Francia, gli Assunzionisti fondarono il quotidiano La Croix nel 1883.

I mass media si rivolgono al grande pubblico. Storicamente, alcuni Tradizionalisti, nel senso più ampio del termine, hanno avuto accesso ai media tradizionali. Basti pensare a Gustave Corsao in Brasile, che scriveva per O Globo, un importante mezzo di comunicazione di massa. Si pensi anche alle rubriche di padre Bruckberger su L’Aurore, in Francia, e a quelle di Louis Salleron su Carrefour, che aveva porte aperte anche a Le Monde, dove poteva trasmettere articoli.

A poco a poco, queste persone sono scomparse. In altre parole, il sistema li ha messi da parte e non è stato più possibile per loro avere accesso alla stampa tradizionale. Tuttavia, c’è stato un ritorno alla realtà, che vorrei caratterizzare con una frase di Charles Péguy: «Bisogna sempre dire ciò che si vede, ma soprattutto bisogna sempre vedere ciò che si vede, il che è più difficile».

E a poco a poco, negli ultimi decenni, c’è stato un ritorno alla realtà. Un riconoscimento della realtà. Guardate come si è allargata la lotta condotta da un settimanale come Valeurs Actuelles, per esempio. Da qualche settimana Valeurs Actuelles ha un nuovo editorialista settimanale su Internet, padre Danziec. In un settimanale come Valeurs Actuelles, fondato da un noto franco mâcon, ogni settimana c’è una rubrica religiosa su Internet scritta da un sacerdote che difende la tradizione cattolica.

C’è anche una certa forma di quella che potremmo definire una «droitarizzazione» del Figaro con Figaro Vox e gli autori che vi sono invitati: articoli di Rémi Branet, Pierre Manent e anche le rubriche religiose di Jean-Marie Guénois, senza dimenticare naturalmente il lavoro svolto da Michel De Jaeger a Figaro Histoire e Figaro Hors-Série.

Inoltre, è arrivato sulla scena un nuovo attore, il Gruppo Bolloré, con il suo canale televisivo Cnews, il suo settimanale Paris Match, il suo quotidiano Le Journal du Dimanche e la sua stazione radiofonica Europe 1. Questo ha permesso di prendere posizioni che non sono state prese in considerazione. Ciò ha permesso di assumere posizioni che, pur non essendo tradizionaliste in senso stretto, erano comunque favorevoli alla Chiesa e al patrimonio culturale e di civiltà. Si pensi al programma di Aymeric Pourbaix En quête d’Esprit, alle belle figure storiche ospitate da Padre Thomas e al recentissimo programma condotto da Philippe de Villiers.

Per quanto riguarda Paris Match, ha fatto scandalo la copertina del 7 luglio con una bella foto di Sua Eminenza il card. Robert Sarah, che era con noi questa mattina. Da qui lo sciopero dei giornalisti sul tema «Abbasso lo zucchetto». E… una delle migliori vendite dell’anno: 110 mila vendite. Il che torna a quanto dicevo prima: questo mercato esiste e un certo numero di persone, per convinzione o per motivi economici, vi si rivolge. Un mercato non è mai trascurato: ci sono sempre persone che si interessano ad esso, prima o poi.

Il canale EWTN, fondato da Madre Angelica negli Stati Uniti, ha 230 milioni di spettatori, opera 24 ore su 24 ed è stato fondato nel 1981.

Per quanto riguarda i media alternativi, essi si basano economicamente su siti a pagamento, ma i loro costi sono molto inferiori a quelli dei media tradizionali. Inoltre, in società libere come gli Stati Uniti, è possibile avere fondazioni o donatori che rendono questi siti economicamente sostenibili. Mi riferisco a The Remnant, The Pillar, Mass of the Ages e Life site news di Michael Matt. Gli organizzatori di Life site news hanno iniziato come difensori della vita umana innocente, ma hanno cominciato gradualmente a perdere la strada e poi hanno deciso che, alla fine, erano solo i Trad a essere interessati. Così sono diventati Trad.

Rorate caeli, OnePeterFive, e in Italia Correspondance européenne, Messa in latino, e tutti i siti di Una Voce, per non parlare di tutti i siti vaticanisti, quelli di Sandro Magister, Edouard Pentin, Aldo Maria Valli. In Francia, questa corrente tradizionale è rappresentata da Radio Courtoisie, una radio libera fondata nel 1987 da Jean Ferré. C’è anche il Club des Hommes en noir in L’Homme Nouveau, il sito e le newsletter Paix Liturgique di Christian Marquant, il Salon Belge di Guillaume de Thieulloy, Riposte Catholique, il sito web della nostra associazione Renaissance Catholique, TV Liberté, con il notiziario religioso che conduco, “Terre de Mission”, TV Liberté che ha 800.000 abbonati. C’è anche il sito di notizie della Società San Pio X gestito dall’Abbé Lorans, un sito di alta qualità e sempre molto ben fatto.

Per concludere, vorrei condividere con voi la mia convinzione, con i miei capelli grigi – ma ho ancora i capelli, il che è già positivo! – che la situazione sia molto migliore rispetto a 50 anni fa. Perché 50 anni fa ci si chiedeva: il filo della nostra tradizione nazionale e religiosa non si spezzerà? Oggi sappiamo che non si spezzerà. Sappiamo che le battaglie che si combattono contro di noi sono solo azioni di retroguardia. Il desiderio dei giovani di bontà, di standard elevati, di trascendenza, di verità e di bellezza, di fronte al crollo dei miraggi della società dei consumi, significa che il futuro ci appartiene.

C’è anche uno sviluppo inesorabile, che l’analisi un po’ sociologica che ho appena fatto ci assicura, ma soprattutto la fiducia nella Provvidenza. Difendiamo la realtà e la verità, che alla fine esce sempre dal pozzo. A volte è un po’ bagnata, ma esce.

Internet ci permette di raggiungere persone che non metterebbero mai piede in una chiesa. Il che ci permette di dire di Internet quello che Esopo diceva del linguaggio: che è la peggiore e la migliore delle cose. Internet significa siti porno, è vero, ma significa anche che l’oratore di questa mattina sta scoprendo la Messa romana tradizionale.

Quindi, per concludere, credo che su questi mezzi di comunicazione dobbiamo condividere un amore ardente per la vera libertà. È la verità che ci renderà liberi, e la nostra vocazione è quella di essere uomini liberi. E poi un amore ardente per le anime ci permetterà, con la grazia di Dio, di trovare i modi per raggiungerle.

Vorrei porre questa conferenza e tutta la nostra giornata sotto la protezione di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, che, in modo soprannaturale, ha saputo coniugare la difesa della verità con un vero amore e una dolcezza per le anime.

Dibattito

D. - Pensa che la difficoltà con la Messa tradizionale abbia a che fare con l’abbandono della nozione di Chiesa come Corpo Mistico a favore della Chiesa come Popolo di Dio?

R - Certo, è molto impressionante: oggi si denigra la celebrazione della Messa privata, pur sapendo che è una Messa per tutta la Chiesa, e si rende praticamente obbligatoria la concelebrazione, soprattutto nelle congregazioni religiose. Credo pienamente che un certo numero di errori sulla Messa derivi da errori sulla natura della Chiesa.

D. - I blog sono certamente uno dei media contemporanei più influenti nel mondo tradizionale. Ma alcuni ritengono che i blog vengano utilizzati per assumere un ruolo di insegnamento che non appartiene ai laici.

R - Ho due idee in proposito. La prima è che è relativamente difficile seguire degli approfondimenti su un blog. Un documento di 30, 40, 100, 200 o 300 pagine non trova spazio su un blog. E credo che ci siano diversi argomenti che meritano una lunga trattazione. Se la nostra cultura è quella dello zapping, ci sono argomenti che non approfondiremo perché non è questo lo scopo di un blog. È pensato per suscitare interesse, ma dovrebbe sempre rimandare a un libro.

La seconda è che ho notato che in un Paese come la Francia, ma penso che sia così anche in altri Paesi, i laici hanno una libertà di espressione molto maggiore rispetto ai sacerdoti, perché i sacerdoti diocesani e quelli delle comunità non possono esprimere tutto, mentre i laici non hanno nulla da temere dal vescovo. È anche positivo che i sacerdoti possano esprimersi, magari non a proprio nome, ma in collaborazione con i laici. Per esempio, io scrivo diversi testi su temi religiosi, ma chiedo sempre a un sacerdote di leggerli per me. Il sacerdote non firma, lo faccio io. È anche un buon modo per collaborare a questa crisi tra laici e clero.

D - Lei ha detto che i blog o le nuove forme di media non permettono l’approfondimento. Non è importante oggi, soprattutto per i giovani, cercare di utilizzare questi media per dire loro che devono leggere? Parlo per la mia esperienza di insegnante: anche gli alunni delle scuole d’élite non leggono più molto. Non è forse il caso che chi gestisce questi media dica ai giovani di leggere, perché anche il migliore di questi blog non permette di approfondire e c’è un calo notevole della cultura religiosa?

R - Ha perfettamente ragione, dobbiamo riportare la gente sui libri. Due piccoli aneddoti:
  1. ho citato Jean Madiran. Madiran, quando aveva 16 o 17 anni, racconta in uno dei suoi libri che una o due volte alla settimana andava alla biblioteca del suo villaggio. La prima volta tornava con sei libri. La seconda volta, quella settimana, restituiva i sei libri e ne prendeva altri sei;
  2. e poi faccio la guerra ai miei figli perché non passino tre ore al giorno sui social network. Ricordo la mia prima lezione alla Sorbona: “La conoscenza è un frutto, quindi la sua radice è amara”. I genitori hanno una responsabilità. I genitori devono leggere. Sappiamo per esperienza che non è perché i genitori leggono che i figli leggono, ma il fatto che i genitori leggano aumenta la probabilità che lo facciano anche i figli.

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