Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 998 pubblicata da Paix Liturgique il 16 gennaio, in cui si riporta l'intervento di Jean-Pierre Maugendre, presidente dell’associazione Renaissance Catholique, in occasione dell'8º incontro Pax Liturgica, tenutosi a Roma, presso il Pontificio Istituto Patristico Augustinianum, il 27 ottobre 2023, che ha preceduto il 12º pellegrinaggio internazionale Populus Summorum Pontificum.
L.V.
Padre, Abati, Signore e Signori, cari Amici, grazie per
essere qui e anche per aver rinunciato alla vostra siesta romana per venire ad
ascoltare alcune parole, forse più austere delle precedenti, sul tema che mi è
stato chiesto di trattare: i nuovi media della radio, della televisione e dei
social network al servizio della Tradizione.
Alcuni di questi «nuovi media» non sono così nuovi come
la radio e la televisione. E poi sono arrivati i famosi social network.
Probabilmente non sono il profano più competente per trattare questo argomento,
essendo solo un modesto dilettante in questi campi, ma cercherò di farlo
sforzandomi di essere metodico. In sostanza, vi offrirò le parole di un laico
impegnato che è ben consapevole di essere solo un membro della Chiesa insegnata
e non della Chiesa docente, come lo era mons. Athanasius Schneider O.R.C. questa mattina.
I. Che cos’è la Tradizione?
Alcune riflessioni per aiutarci a capire che cos’è la
Tradizione, non necessariamente in modo molto teologico, ma forse in modo più
sociologico, visto da un laico. Per me la Tradizione nella Chiesa è fedeltà,
resistenza e opera della Chiesa.
A) Tradizione come fedeltà
Questa fedeltà ha senso solo se siamo ben consapevoli che
la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo, prima di essere la Chiesa del Papa,
chiunque esso sia, Pietro, Paolo, Giacomo o Giovanni. Ecco alcune citazioni per
rafforzare questa convinzione:
- nel XVII secolo, mons. Jacques Bénigne Bossuet, Vescovo di Meaux, disse: «La Chiesa è Gesù Cristo diffuso e comunicato»;
- nel XV secolo, Santa Jeanne d’Arc disse: «Credo che Gesù Cristo e la Chiesa siano la stessa cosa»;
- e infine il venerabile Papa Pio XII, il 29 giugno 1943, nella lettera enciclica Mystici corporis Christi: la Chiesa è definita come il Corpo mistico di Cristo.
Questa nozione di fedeltà si riferisce quindi al fatto
che la Tradizione ci lega a Cristo attraverso la mediazione degli apostoli.
Il dramma con cui ci confrontiamo oggi, che ci piaccia o
no, è che in un certo modo e sotto certi aspetti il Concilio Vaticano II ha
segnato una rottura, di cui non sta a noi misurare qui la gravità, l’estensione
e le modalità, ma che molti hanno osservato. Una rottura reale o apparente
nella trasmissione di ciò che la Chiesa ci ha dato da Cristo stesso e dagli
Apostoli negli ultimi duemila anni.
Ecco alcuni elementi a sostegno di questa intuizione,
scelti tra un gran numero di altri:
- un libro di uno storico francese abbastanza noto, cattolico impegnato, François Huguenin, il cui titolo è il seguente La grande conversion, l’Eglise et la liberté, de la révolution à nos jours [La grande conversione, la Chiesa e la libertà, dalla Rivoluzione ai giorni nostri: N.d.T.], in cui spiega che la dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae contraddice innegabilmente un’enciclica, come la lettera enciclica Libertas di Papa Leone XIII, e l’insegnamento dei Papi dopo la Rivoluzione, da Papa Pio VI ed il servo di Dio Papa Pio VII in poi;
- e ancora, un estratto di un libro molto letto in Francia, pubblicato ormai tre anni fa, scritto da un sociologo e storico, Guillaume Cuchet, con il seguente titolo Comment notre monde a cessé d’être chrétien [Come il nostro mondo ha smesso di essere cristiano: N.d.T.]. In esso analizza il modo in cui la società francese si è scristianizzata dal 1965 – questa è la data che prende in considerazione, la fine del Concilio. Cito: «Questa rottura all’interno della predicazione cattolica ha creato una profonda discontinuità nei contenuti predicati e vissuti della religione su entrambe le sponde degli anni Sessanta. È così evidente che un osservatore esterno potrebbe legittimamente chiedersi se, al di là della continuità di un nome e dell’apparato della teoria dei dogmi, si tratti ancora davvero della stessa religione».
Guillaume Cuchet non è un teologo, non disseziona testi. È un sociologo. Osserva ciò che accade. Guarda come si viveva negli anni Sessanta e come si vive oggi, e in particolare si interessa alla questione della liturgia. Il sociologo si chiede, al di là della permanenza dell’apparato, se si tratta davvero della stessa religione;
- e infine, abbiamo tutti in mente l’affermazione del card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che nel marzo 2023, a proposito della Messa, ha detto: «La teologia della Chiesa è cambiata».
Mons. Athanasius Schneider O.R.C., lo ha citato questa mattina nella sua
opera sul Credo. Compendium of the catholic faith, la nostra fedeltà è secondo il
Commonitorium di San Vincent de Lérins, è fedeltà a ciò che è sempre, ovunque e da tutti
creduto. Questa fedeltà non è un’invenzione, una creazione, un libero esame
protestante; è una fedeltà a un patrimonio che ci è stato tramandato.
B) Tradizione come resistenza
Ma la Tradizione è anche una forma di resistenza, basata
su quanto detto in precedenza: un certo numero di cose credute da tutti oggi non
lo sono più. Questa resistenza è stata cristallizzata dalla riforma liturgica.
Questa riforma è ciò che vede il parrocchiano medio. I grandi dibattiti
teologici sulla salvezza degli infedeli ecc. non interessano alla signora
Michu [la casalinga media: N.d.T] e non la riguardano. D’altra parte, ciò che accade a Messa la domenica,
lei lo vede, lo sa e si sente preoccupata.
Questa resistenza si è quindi cristallizzata intorno alla
riforma liturgica. Ha assunto forme diverse, tra cui la protesta di laici e non
laici, la resistenza intellettuale, come quella della bellissima figura di
Cristina Campo, che ha avuto un ruolo molto attivo nella stesura del Breve
esame critico del Novus Ordo Missae, poi firmato dal card. Alfredo Ottaviani e dal card. Antonio Bacci. E
ancora – e qui mi permettete di fare un piccolo cocorico – con quello che credo
sia stato uno dei maggiori poli di questa resistenza intellettuale, la Francia.
Lois Salleron ha citato San Paolo VI. San Paolo VI visitò Saint Louis des Français il
31 maggio 1964 e disse loro: «La Francia è il forno dove si cuoce il pane
intellettuale di tutta la Cristianità». È dura per la nostra umiltà, ma queste
sono le parole di un Sommo Pontefice…
In realtà, questa tradizione intellettuale francese si
spiega storicamente con il fatto che, nel complesso, dalla Rivoluzione francese
in poi le autorità pubbliche sono state molto contrarie alla religione
cattolica. I Cattolici francesi hanno una cultura di resistenza alle autorità
pubbliche, il che non significa che non ci siano state persecuzioni
anticattoliche in altri Paesi, come il Giuseppinismo, il Kulturkampf e il
Marchese di Pombal in Portogallo.
Non sto dicendo che solo in Francia i Cattolici sono
stati perseguitati, sto dicendo che c’è stata una continuità per due secoli che
ha dato ai Cattolici francesi una mentalità, un’abitudine a resistere alle
autorità, quelle politiche e poi anche quelle religiose.
Nel 1892, quando Papa Leone XIII, nella sua lettera enciclica Au milieu des sollicitudes, chiese ai Cattolici di mobilitarsi per la Repubblica, un certo
numero di loro si rifiutò, rifiutando così le urgenti direttive del Sommo Pontefice.
Un altro episodio fu la condanna dell’Action Française
dal 1926 al 1939, quando per tredici anni un certo numero di Cattolici, non i
meno pii e ferventi, furono privati dei sacramenti per ordine del Sommo Pontefice. E così, quando su altri temi e in altri ambiti, quarant’anni dopo, un Cattolico, o i suoi figli, sono nuovamente chiamati a opporsi ai Vescovi e al Sommo Pontefice, lo fanno più facilmente.
Questa resistenza è anche una resistenza pratica, quella
delle migliaia di sacerdoti che hanno continuato a celebrare la Santa Messa tradizionale.
E poi c’è stata la resistenza di due Vescovi: mons. Antônio de Castro Mayer, Vescovo di Campos, che appena promulgata la riforma
liturgica nel 1970 (era obbligatoria dal 1971), scrisse al Sommo Pontefice
dicendogli che era responsabile davanti a Dio del gregge che gli era stato
affidato e che, per il bene delle anime, la riforma non sarebbe stata applicata
nella sua Diocesi. Permettetemi di riferirvi questo, visto che stiamo lavorando
alla pubblicazione in Francia dell’opera Credo di mons. Athanasius Schneider, che è
molto illuminante, e che dice che il Vescovo non è il direttore di un ramo il
cui direttore generale è il Sommo Pontefice. L’altro Vescovo è stato mons. Marcel François Lefebvre, fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Ma potremmo anche citare la lettera inviata da seimila sacerdoti della Fraternità di Sant’Antonio Maria Claret in Spagna al Sommo
Pontefice, che non ha mai avuto seguito.
C) Anche la Tradizione è un’opera della Chiesa
Jean Madiran ha insistito sul fatto che le nostre
lamentele, la nostra apparente disobbedienza, non sono mai state una rivolta.
Sono una resistenza a un abuso di potere. Non sono una rivolta; siamo figli
della Santa Chiesa. Quando Sant’Atanasio fu scomunicato da Papa Filiberto nel
357, al tempo della crisi ariana, rimase un figlio della Chiesa: espresse il
suo rifiuto, ma non fu una rivolta. La nostra resistenza non è mai una rivolta.
II. Il contesto generale del nostro tema intorno ai
media
Negli ultimi decenni, quali sono state le caratteristiche
del clima generale nel mondo e nella Chiesa? Questo è anche il titolo di un
libro di mons. Athanasius Schneider di prossima pubblicazione, Le printemps annoncé n’est
jamais arrivé [La primavera annunciata non è mai arrivata: N.d.T.], la primavera
preannunciata nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II Gaudet Mater Ecclesia di San Giovanni XXIII, in cui egli castigava i «profeti di sventura».
Successe che la stragrande maggioranza dei Cardinali, dei Vescovi, dei sacerdoti e dei laici, con diversi gradi di entusiasmo, si
affidarono all’autorità legittima o a coloro che venivano presentati come tali,
cioè il Papa e il Concilio. Era un riflesso cattolico. Questo era lo stato d’animo
della stragrande maggioranza della Chiesa docente e della Chiesa insegnata: la
gente seguiva il proprio Parroco.
Ma una cosa è certa: possiamo aprire vasti dibattiti sul
Concilio Vaticano II, sul post-Concilio, sullo spirito del Concilio e su tutto quello che
vogliamo, ma c’è un argomento su cui non c’è dibattito e che ci riunisce oggi
in particolare, ed è il desiderio di San Paolo VI di veder scomparire la Santa Messa tradizionale. Lo disse fin dall’inizio: questa Messa sarebbe scomparsa.
A sessant’anni di distanza, abbiamo il diritto e il dovere di fare un bilancio.
Sarebbe sorprendente se si trattasse semplicemente di due eventi coincidenti:
il 1965, la fine del Concilio Vaticano II e l’inizio della desertificazione delle chiese. C’è
stata una massiccia scristianizzazione delle persone e delle istituzioni,
soprattutto nell’Europa occidentale. Mi ha colpito molto un’inchiesta
pubblicata questa settimana in Francia sull’Ungheria. L’Ungheria, che viene
dipinta come il bastione del Cristianesimo per molti aspetti, che è guidata da
un protestante, Viktor Orbán, un calvinista, che ha una legislazione favorevole
alla famiglia che include riferimenti all’Ungheria cristiana, a Santo Stefano e
a tutto il resto nella sua Costituzione, sta anche assistendo a un crollo del
numero di persone che si considerano protestanti o cattoliche.
In Francia, nel 1965, il 25 per cento della popolazione praticava
la religione. Oggi si pensa che sia meno del 2 per cento. C’è una protestantizzazione
delle credenze. In un libro appena pubblicato, mons. Marc Marie Max Ailliet, Vescovo di
Bayonne, Le temps des saints, cita questo sondaggio: solo il 57 per cento dei
frequentatori abituali della chiesa, cioè di coloro che vanno a Messa ogni
domenica o, secondo la nuova definizione, una volta al mese, crede nella
resurrezione dei morti; in altre parole, il 43 per cento non ci crede. Vanno a Messa
ogni domenica ma non credono nella risurrezione dei morti. È un po’
sconvolgente.
Inoltre, mi sembra che forse non si dia abbastanza
importanza al mancato rispetto della legge morale naturale da parte dei Cattolici. È paradossale che Paesi con un tasso molto alto di pratica regolare – 25 per cento, 30 per cento, 35 per cento della popolazione (Spagna, Italia, Portogallo) – abbiano i
tassi di natalità più bassi d’Europa. Ciò solleva la questione se questi
frequentatori abituali della chiesa stiano vivendo l’insegnamento della Chiesa
sul matrimonio e sulla trasmissione della vita.
C’è poi la banalizzazione e l’orizzontalità della
liturgia. E poi ci sono le nuove riforme in corso, il Sinodo sulla sinodalità,
il Cammino sinodale in Germania. E ancora, e ancora, e ancora. Sono passati sessant’anni da quando tutto è crollato, eppure andiamo avanti. Ma c’è una novità: oggi
le domande e le resistenze sono pubbliche, cosa che non accadeva cinquant’anni fa,
quando quasi tutti obbedivano. Come me, avete seguito le domande e i dubbi
presentati dai card. Raymond Leo Burke, card. Walter Brandmüller, card. Joseph Zen Ze-kiun S.D.B. e card. Robert Sarah all’apertura del
Sinodo.
Questo è qualcosa di profondamente nuovo. Vi rimando alla
conclusione di un libro fondamentale, che vale per la Francia come per altri
Paesi, Les crises du clergé français contemporain, di Paul Vigneron. Paul
Vigneron conclude il suo libro con la domanda che dovremmo porci di fronte a
questo disastro: «Sì, forse siamo sulla strada sbagliata da molto tempo». Chi
oggi, tra il personale ecclesiastico, si porrà la domanda, di fronte al
disastro che stiamo vivendo, se alla fine non siamo stati sulla strada
sbagliata per cinquant’anni? Dobbiamo essere umili, soprattutto quando siamo al
comando.
Quando chiediamo ai giovani pellegrini del Pellegrinaggio
di Pentecoste, persone che si uniscono alle comunità tradizionali, troviamo tre
forti aspirazioni:
- la prima è l’aspirazione alla trascendenza, alla bellezza. Nella Santa Messa tradizionale c’è una solennità, una bellezza, si vede che ci stiamo allontanando dall’orizzontalità quotidiana. Questa è un’aspirazione della natura umana e, soprattutto, quando abbiamo provato tutto, a partire dai piaceri della vita, può venire alla luce la famosa frase di Sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, o mio Dio, e il nostro cuore è turbato quando non riposa in Te», che è ciò che un certo numero di giovani sta scoprendo dopo aver provato tutto nella società dei consumi e delle libertà portate dalla rivoluzione del maggio 1968;
- la seconda è essere esigenti. Ci viene in mente la famosa frase «le cose valgono quanto costano». Una religione non esigente non risponde all’aspirazione della natura umana, che è quella di elevarsi, di rivolgersi a Dio e di sapere nel profondo che dobbiamo darci i mezzi per dominare la nostra natura ferita;
- la terza è un bisogno di coerenza: Cristo, che è veramente la Via, la Verità e la Vita, colui che dà senso alla nostra vita e colui che deve regnare sulle società per renderle il meno inabitabili possibile.
Mi sembra che la liturgia romana tradizionale risponda
alle sue aspirazioni.
III. Il nuovo ambiente mediatico
Affinché i media svolgano un ruolo in una società, sono
necessarie tre cose:
- un pubblico;
- risorse materiali;
- persone e talenti.
A ) Un pubblico
Poco fa ho parlato del fallimento dell’aggiornamento
post-conciliare. Sappiamo quanto successo ha avuto il Pellegrinaggio di Pentecoste, con quindicimila persone e un’età media di 21 anni, anche se
troppe persone hanno dovuto iscriversi pochi giorni prima del pellegrinaggio.
Anche lo sviluppo delle scuole cattoliche non
convenzionate è un fenomeno estremamente importante, dal momento che l’istruzione
statale si sta sviando e l’istruzione cattolica convenzionata non trasmette più
la fede.
Anche negli Stati Uniti, il racconto di mons. Joseph Edward Strickland sulla Diocesi di Tyler parla in modo simile di famiglie cattoliche
che si riuniscono intorno alle parrocchie tradizionali.
Questo pubblico è composto da coloro che hanno mantenuto
accesa la fiaccola della Tradizione. Sempre più spesso – come abbiamo sentito
questa mattina – si tratta di convertiti, di giovani. Credo sia importante
notare che questo pubblico è sempre esistito, ma è stato ostracizzato, come
nell’antica Atene, dove era la peggiore delle punizioni: chi non voleva più
vivere tra i barbari veniva mandato via. I Cattolici fedeli alla Tradizione
sono sempre esistiti, ma finora sono stati ostracizzati.
Nel dicembre 1980, un numero di Itinéraires, la rivista
fondata da Jean Madiran, riportava un sondaggio sulla Messa realizzato da
Michael Davies per una pubblicazione britannica. Alla domanda «A quale Messa
preferireste assistere, supponendo che siano tutte permesse?», risposero 15mila persone:
- Messa in inglese nella traduzione attuale = 1.635 o 12 per cento delle risposte;
- Messa in inglese in una traduzione migliore = 1.045 o 7 per cento delle risposte;
- Messa in latino nel nuovo rito = 847 o 6 per cento;
- Messa in latino nel rito tradizionale = 10.622, cioè il 75 per cento.
Era il 1980. E questo 75 per cento, nel 1980, non aveva voce in
capitolo. Non sono rappresentati da nessuno, o quasi. Sono scomparsi dallo
schermo radar, nessuno si interessa a loro. Più vicino a noi, vi rimando ai
numerosi sondaggi condotti da Paix Liturgique, dove ovunque, in ogni Paese,
alla domanda degli ultimi quindici anni: «Parteciperebbe alla Santa Messa tradizionale se
fosse celebrata nella sua Parrocchia?», in ogni Paese del mondo, il 40-50 per cento degli intervistati che frequentavano la chiesa ha risposto che vi avrebbe
partecipato.
In realtà, quella che Pierre Debray in Francia ha
chiamato la Chiesa silenziosa è sempre esistita: il 75 per cento di cui si parla o il 40
o 50 per cento di cui si parla hanno continuato a esistere dopo il Concilio Vaticano II, ma sono
stati ostracizzati. Ma arriva un momento, ed eccoci qui, in cui, per varie
ragioni su cui torneremo, la realtà corrisponde alla rappresentazione che se ne
fa. In altre parole, quando il 50 per cento delle persone dice: «Andrei alla Santa Messa
tradizionale se fosse celebrata nella mia Parrocchia, ma nessuno me ne parla
mai», si finirà per capire, per convinzione o per ragioni commerciali, che c’è
un pubblico e che ci sono persone che sarebbero interessate se gliene si
parlasse.
B) Risorse materiali
Gli approcci sono essenzialmente due.
- c’è il peso preponderante delle autorità pubbliche. In un Paese come la Francia, la maggior parte dei canali televisivi è di proprietà dello Stato (France 2, 3, 4, 5, France Info). Che siate d’accordo o meno, sono i contribuenti a pagare le persone, alcune delle quali vi sputano addosso tutto il giorno;
- e poi c’è il secondo approccio ai media: gruppi privati il cui obiettivo è fare soldi. Prendiamo Patrick Le Lay, amministratore delegato di TF1 nel 2004. Fondamentalmente, il compito di TF1 è quello di aiutare la Coca Cola a vendere il suo prodotto, per esempio. Patrick Le Lay dice: «Quello che si vende alla Coca Cola è il tempo disponibile del cervello umano. Faccio un programma in modo che la gente venga a guardarlo e poi, nel bel mezzo del programma, inserisco qualcosa per la Coca Cola, e siccome c’è molta gente che guarda il programma, la Coca Cola mi paga molto. Non sono qui per aiutare le persone, non sono qui per edificarle, sono qui per fare in modo che più persone possibile guardino il programma in modo che la Coca Cola mi paghi il più possibile» è una rielaborazione di una vecchia idea, Emile Girardin, quando fondò la stampa nel 1836, che è un quotidiano, disse la stessa cosa: faremo pubblicità in modo che i giornali costino meno.
Ma poi c’è Internet: l’arrivo di Internet ha ridotto
notevolmente il pubblico per il lavoro creativo da un lato e per le
trasmissioni dall’altro.
C) Il talento
E poi c’è il talento. A questo proposito, vorrei fare una
distinzione tra due tipi di media: i mass media e i media alternativi.
Per quanto riguarda il talento, la Chiesa ha sempre avuto
talento nel comunicare: pensiamo a San Francesco di Sales, patrono dei
giornalisti, che ha distribuito opuscoli e materiale stampato per
ricattolicizzare la regione dello Chablais. San Massimiliano Kolbe; tra le due
guerre, il Cavaliere dell’Immacolata ebbe una tiratura di ottocentomila copie.
In Francia, gli Assunzionisti fondarono il quotidiano La Croix nel
1883.
I mass media si rivolgono al grande pubblico.
Storicamente, alcuni Tradizionalisti, nel senso più ampio del termine, hanno
avuto accesso ai media tradizionali. Basti pensare a Gustave Corsao in Brasile,
che scriveva per O Globo, un importante mezzo di comunicazione di massa. Si
pensi anche alle rubriche di padre Bruckberger su L’Aurore, in Francia, e a
quelle di Louis Salleron su Carrefour, che aveva porte aperte anche a Le Monde,
dove poteva trasmettere articoli.
A poco a poco, queste persone sono scomparse. In altre
parole, il sistema li ha messi da parte e non è stato più possibile per loro
avere accesso alla stampa tradizionale. Tuttavia, c’è stato un ritorno alla
realtà, che vorrei caratterizzare con una frase di Charles Péguy: «Bisogna
sempre dire ciò che si vede, ma soprattutto bisogna sempre vedere ciò che si
vede, il che è più difficile».
E a poco a poco, negli ultimi decenni, c’è stato un
ritorno alla realtà. Un riconoscimento della realtà. Guardate come si è
allargata la lotta condotta da un settimanale come Valeurs Actuelles, per
esempio. Da qualche settimana Valeurs Actuelles ha un nuovo editorialista
settimanale su Internet, padre Danziec. In un settimanale come Valeurs
Actuelles, fondato da un noto franco mâcon, ogni settimana c’è una rubrica
religiosa su Internet scritta da un sacerdote che difende la tradizione
cattolica.
C’è anche una certa forma di quella che potremmo definire
una «droitarizzazione» del Figaro con Figaro Vox e gli autori che vi sono
invitati: articoli di Rémi Branet, Pierre Manent e anche le rubriche religiose
di Jean-Marie Guénois, senza dimenticare naturalmente il lavoro svolto da
Michel De Jaeger a Figaro Histoire e Figaro Hors-Série.
Inoltre, è arrivato sulla scena un nuovo attore, il
Gruppo Bolloré, con il suo canale televisivo Cnews, il suo settimanale Paris
Match, il suo quotidiano Le Journal du Dimanche e la sua stazione radiofonica
Europe 1. Questo ha permesso di prendere posizioni che non sono state prese in
considerazione. Ciò ha permesso di assumere posizioni che, pur non essendo
tradizionaliste in senso stretto, erano comunque favorevoli alla Chiesa e al
patrimonio culturale e di civiltà. Si pensi al programma di Aymeric Pourbaix En
quête d’Esprit, alle belle figure storiche ospitate da Padre Thomas e al
recentissimo programma condotto da Philippe de Villiers.
Per quanto riguarda Paris Match, ha fatto scandalo la
copertina del 7 luglio con una bella foto di Sua Eminenza il card. Robert Sarah,
che era con noi questa mattina. Da qui lo sciopero dei giornalisti sul tema «Abbasso
lo zucchetto». E… una delle migliori vendite dell’anno: 110 mila vendite. Il
che torna a quanto dicevo prima: questo mercato esiste e un certo numero di
persone, per convinzione o per motivi economici, vi si rivolge. Un mercato non
è mai trascurato: ci sono sempre persone che si interessano ad esso, prima o
poi.
Il canale EWTN, fondato da Madre Angelica negli Stati
Uniti, ha 230 milioni di spettatori, opera 24 ore su 24 ed è stato fondato nel
1981.
Per quanto riguarda i media alternativi, essi si basano
economicamente su siti a pagamento, ma i loro costi sono molto inferiori a
quelli dei media tradizionali. Inoltre, in società libere come gli Stati Uniti,
è possibile avere fondazioni o donatori che rendono questi siti economicamente
sostenibili. Mi riferisco a The Remnant, The Pillar, Mass of the Ages e Life
site news di Michael Matt. Gli organizzatori di Life site news hanno iniziato
come difensori della vita umana innocente, ma hanno cominciato gradualmente a
perdere la strada e poi hanno deciso che, alla fine, erano solo i Trad a
essere interessati. Così sono diventati Trad.
Rorate caeli, OnePeterFive, e in Italia Correspondance
européenne, Messa in latino, e tutti i siti di Una Voce, per non parlare di
tutti i siti vaticanisti, quelli di Sandro Magister, Edouard Pentin, Aldo Maria
Valli. In Francia, questa corrente tradizionale è rappresentata da Radio
Courtoisie, una radio libera fondata nel 1987 da Jean Ferré. C’è anche il Club
des Hommes en noir in L’Homme Nouveau, il sito e le newsletter Paix Liturgique
di Christian Marquant, il Salon Belge di Guillaume de Thieulloy, Riposte
Catholique, il sito web della nostra associazione Renaissance Catholique, TV
Liberté, con il notiziario religioso che conduco, “Terre de Mission”, TV
Liberté che ha 800.000 abbonati. C’è anche il sito di notizie della Società San
Pio X gestito dall’Abbé Lorans, un sito di alta qualità e sempre molto ben
fatto.
Per concludere, vorrei condividere con voi la mia
convinzione, con i miei capelli grigi – ma ho ancora i capelli, il che è già
positivo! – che la situazione sia molto migliore rispetto a 50 anni fa. Perché
50 anni fa ci si chiedeva: il filo della nostra tradizione nazionale e
religiosa non si spezzerà? Oggi sappiamo che non si spezzerà. Sappiamo che le
battaglie che si combattono contro di noi sono solo azioni di retroguardia. Il
desiderio dei giovani di bontà, di standard elevati, di trascendenza, di verità
e di bellezza, di fronte al crollo dei miraggi della società dei consumi,
significa che il futuro ci appartiene.
C’è anche uno sviluppo inesorabile, che l’analisi un po’
sociologica che ho appena fatto ci assicura, ma soprattutto la fiducia nella
Provvidenza. Difendiamo la realtà e la verità, che alla fine esce sempre dal
pozzo. A volte è un po’ bagnata, ma esce.
Internet ci permette di raggiungere persone che non
metterebbero mai piede in una chiesa. Il che ci permette di dire di Internet
quello che Esopo diceva del linguaggio: che è la peggiore e la migliore delle
cose. Internet significa siti porno, è vero, ma significa anche che l’oratore
di questa mattina sta scoprendo la Messa romana tradizionale.
Quindi, per concludere, credo che su questi mezzi di
comunicazione dobbiamo condividere un amore ardente per la vera libertà. È la
verità che ci renderà liberi, e la nostra vocazione è quella di essere uomini
liberi. E poi un amore ardente per le anime ci permetterà, con la grazia di
Dio, di trovare i modi per raggiungerle.
Vorrei porre questa conferenza e tutta la nostra giornata
sotto la protezione di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, che, in
modo soprannaturale, ha saputo coniugare la difesa della verità con un vero
amore e una dolcezza per le anime.
Dibattito
D. - Pensa che la difficoltà con la Messa tradizionale
abbia a che fare con l’abbandono della nozione di Chiesa come Corpo Mistico a
favore della Chiesa come Popolo di Dio?
R - Certo, è molto impressionante: oggi si
denigra la celebrazione della Messa privata, pur sapendo che è una Messa per
tutta la Chiesa, e si rende praticamente obbligatoria la concelebrazione,
soprattutto nelle congregazioni religiose. Credo pienamente che un certo numero
di errori sulla Messa derivi da errori sulla natura della Chiesa.
D. - I blog sono certamente uno dei media contemporanei
più influenti nel mondo tradizionale. Ma alcuni ritengono che i blog vengano
utilizzati per assumere un ruolo di insegnamento che non appartiene ai laici.
R - Ho due idee in proposito. La prima è che è
relativamente difficile seguire degli approfondimenti su un blog. Un documento
di 30, 40, 100, 200 o 300 pagine non trova spazio su un blog. E credo che ci
siano diversi argomenti che meritano una lunga trattazione. Se la nostra
cultura è quella dello zapping, ci sono argomenti che non approfondiremo perché
non è questo lo scopo di un blog. È pensato per suscitare interesse, ma
dovrebbe sempre rimandare a un libro.
La seconda è che ho notato che in un Paese come la
Francia, ma penso che sia così anche in altri Paesi, i laici hanno una libertà
di espressione molto maggiore rispetto ai sacerdoti, perché i sacerdoti
diocesani e quelli delle comunità non possono esprimere tutto, mentre i laici
non hanno nulla da temere dal vescovo. È anche positivo che i sacerdoti possano
esprimersi, magari non a proprio nome, ma in collaborazione con i laici. Per
esempio, io scrivo diversi testi su temi religiosi, ma chiedo sempre a un
sacerdote di leggerli per me. Il sacerdote non firma, lo faccio io. È anche un
buon modo per collaborare a questa crisi tra laici e clero.
D - Lei ha detto che i blog o le nuove forme di media non
permettono l’approfondimento. Non è importante oggi, soprattutto per i giovani,
cercare di utilizzare questi media per dire loro che devono leggere? Parlo per
la mia esperienza di insegnante: anche gli alunni delle scuole d’élite non
leggono più molto. Non è forse il caso che chi gestisce questi media dica ai
giovani di leggere, perché anche il migliore di questi blog non permette di
approfondire e c’è un calo notevole della cultura religiosa?
R - Ha perfettamente ragione, dobbiamo
riportare la gente sui libri. Due piccoli aneddoti:
- ho citato Jean Madiran. Madiran, quando aveva 16 o 17 anni, racconta in uno dei suoi libri che una o due volte alla settimana andava alla biblioteca del suo villaggio. La prima volta tornava con sei libri. La seconda volta, quella settimana, restituiva i sei libri e ne prendeva altri sei;
- e poi faccio la guerra ai miei figli perché non passino tre ore al giorno sui social network. Ricordo la mia prima lezione alla Sorbona: “La conoscenza è un frutto, quindi la sua radice è amara”. I genitori hanno una responsabilità. I genitori devono leggere. Sappiamo per esperienza che non è perché i genitori leggono che i figli leggono, ma il fatto che i genitori leggano aumenta la probabilità che lo facciano anche i figli.
Nessun commento:
Posta un commento