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sabato 27 gennaio 2024

Cardinale Jorge Medina Estévez: "Elogio del silenzio"

Una bella riflessione del compianto Cardinale Jorge Medina Estévez.
Luigi C.


La caduta dei contrasti

Per ascoltare occorre tacere. Non soltanto attenersi ad un silenzio fisico che non interrompa il discorso altrui (…) ma a un silenzio interiore, ossia in un atteggiamento tutto rivolto ad accogliere la parola altrui. Bisogna far tacere il lavoro del proprio pensiero, sedare l’irrequietezza del cuore, il tumulto dei fastidi, ogni sorta di distrazioni. Nulla come l’ascolto, il vero ascolto, ci può far capire la correlazione tra il silenzio e la parola.

È l’analogo della musica: la si ascolta pienamente quando tutto tace intorno a noi e dentro di noi. Modo più perfetto: ad occhi chiusi (…) Ce l’offre intiero l’organo, quando canta in chiesa. Lo si ascolta senza nulla vedere di ciò che produce il suono; esce da un grembo oscuro e, nell’immobile oscurità delle volte, ci avvolge come un sudario. L’oscurità è tanto lontana dalla nostra esperienza giornaliera quanto il silenzio. Una volta, per illuminare, ci volevano gesti non ovvii, non facili; oggi basta uno scatto. Veniva una luce debole e tremula; oggi fissa e invadente.

Di notte, non solo le città sono un agglomerato di bagliori, ma anche i luoghi solitari sono trapunto di luci che disegnano strade e case. Anche il luogo del silenzio assoluto, il firmamento, è velato di luce artificiale che annuvola il cielo stellato. Ci appariva come la più armonica unione di opposti: quanto più colpiva l’occhio con l’acutezza dello scintillare, tanto più si straniava dall’orecchio con l’arcano di un assoluto tacere. Caduto il contrasto, cade anche l’intermittenza tra luce ed oscurità.

Questa non interrompe l’attività dell’uomo, non lo prepara al sonno. L’alternanza di giorno e notte, connaturale alla vita, si è attenuata, tale e quale la corrispettiva di parole e silenzio. Dall’alternanza di giorno e notte, parola e silenzio, l’uomo aveva tratto i simboli che gli permettevano di definire i fatti interiori; oggi non agiscono più. La nostra esistenza si è impoverita per non saper tradurre in figure interiori quelle esperienze primordiali.

Il silenzio bandito

Viviamo in un’epoca in cui il silenzio è stato bandito. Il mondo è oppresso da una pesante cappa di parole, suoni e rumori (…) Una volta si percepivano solo le parole del vicino. Poca distanza bastava per sottrarsi al fastidio di un discorso indesiderato; oggi ci arrivano le parole dagli antipodi.

Il grembo del silenzio notturno è rotto dal fragore delle macchine. Costretti a passare una notte in luogo isolato, ci si alza irrequieti; il silenzio diventa un incubo nel sonno. Spaventa la pace della montagna, del bosco, e vi si va con la radio; spaventa la quiete dell’appartamento, e si accende la tivù. Il silenzio infastidisce a tal punto che, dove sia imposto di tacere, si crea un rumore. Se, nel corso di un discorso pubblico o di una liturgia, s’impone una pausa di silenzio, immancabilmente uno si mette a tossire, una fa scricchiolare il banco, uno sfoglia le carte sottomano, una apre la borsetta.

La lettura silenziosa

L’apice del silenzio di ascolto si ha quando la parola stessa si presenta silenziosa senza perdere alcunché della sua vitalità: la lettura. È l’incontro di una parola senza suono con un destinatario senza voce, in perfetta solitudine (…) Il lettore è silenzioso, perché la lettura, com’è praticata ordinariamente nell’età moderna, esclude la pronuncia anche mormorata. Comporta non solo l’ascolto più intenso che si possa immaginare, ma anche il più libero, perché non costretto dalla emissione vocale altrui: libero nelle soste, nei ritorni, nei ripercorsi, e tuttavia totalmente vincolato alla parola così com’è fissata sulla pagina.

Se la stampa è fedele all’originale dell’autore, la parola di lui, non pronunciata, non giace morta sulla pagina. La scrittura incorpora i suoni e i sensi come una donna incinta da lui fecondata. Il lettore ne sente i sobbalzi vitali negli accenti, nei corsi ritmici, nelle rime ed assonanze. Le forme stesse dei caratteri, se correttamente aggraziate, assecondano la vita silenziosa lì deposta. Tutta la mente, tutte le facoltà si concentrano su quell’andirivieni destrorso dell’occhio di rigo in rigo. Quando il raccoglimento gli fa cadere il libro di mano, lo lascia cadere senza rimpianto, perché al silenzio dell’ascolto è subentrato in lui il silenzio del ricorso di ciò che ha letto.

La meditazione

Morta nel silenzio dell’ascolto, la parola rigermoglia nel silenzio fervido che l’avvolge. Assimilata e ricreata attraverso la meditazione, si delinea come un essere nuovo. Se il grano non muore, non fa frutto; la morte del seme è la vita della pianta. E proprio la pianta, unico essere della natura che sia insieme silenzioso ed animato, si offre a noi come l’immagine più consona di ciò che accompagna le pause dopo la lettura. Silenziosa e piena di vita, la pianta fa uscire dal seno del seme la foglia, e il fiore che si esibisce in un trionfo di forme e colori, e il frutto generoso di succhi e dolcezze. Tale è la parola meditata dopo esser letta (…) Dal bulbo della lettura nasce lo stelo della meditazione, sulla cui cima si apre il fiore dell’orazione in forma di parole ricordate, ricombinate, rielaborate, reinventate (…) Non fa differenza se si svela nella sonorità della pronuncia o nel raccoglimento della scrittura, perché ambedue sono ugualmente figliate dalla memoria.

La scrittura

La scrittura si depone nel silenzio quanto la lettura, ma con un moto inverso: l’una attinge dall’alfabeto il senso e lo affonda nello spirito; l’altra ve lo estrae e lo effonde sulla pagina tracciandone il sentiero. È un cammino silenzioso (…) Riempita la pagina, le curve e le aste dei caratteri disegnano sul bianco del foglio armonici contorni come quelli dei fiori sul piano dell’aiuola a formare un tutt’uno solitario; emanano il senso come quelli il profumo.

È un incanto esiliato dalle macchine scrivane, con il loro ticchettio oscillante. Opera delle dita mosse da mani inerti e fisse, e non dalla mano intera che avanza con passo sincrono col corso della parola, il testo scritto a macchina esce al mondo per operazione cesarea e non per parto naturale. Tanto più nella nuova rappresentazione elettronica, che rompe il legame tradizionale fra il supporto e la scrittura, inseparabili finora. La stabilità stesso del testo si dilegua, la compattezza si frantuma. La ricezione dell’ascolto è simultanea alla riproduzione del messaggio, senza intervallo di memoria; le dita non mediano ma dominano. I caratteri non rappresentano più il silenzio eloquente del testo impresso sulla pagina bianca, ma la loquacità muta della folla metropolitana. Incrociarsi senza salutarsi, stiparsi senza toccarsi, fissarsi con sguardo fuggitivo, incontrarsi senza un legame in una solitudine di massa irrequieta: tale è la sorte della parola ballerina sullo schermo.

Il silenzio interiore

Potrà ancora l’anima dimorare nelle stanze della quiete? E, come Maria, nel silenzio del fiat concepire e generare la Parola? Potrà l’uomo accedere ai percorsi della lettura e dell’orazione per salire alla vetta della contemplazione? (…) La cella e il libro sono le stanze della solitudine e del silenzio. Della solitudine, la cella, non casupola di frasche nel deserto né carcere murato, ma collocata al centro dell’uomo: il cuore che mai non dorme, vigile nell’ascolto, metafora assoluta dell’abitacolo e metonimia dell’intera persona umana. Una cella segreta dove, al dire di Angela da Foligno «sta tutto il bene che non è un qualche bene; quel così tutto bene che non c’è nessun altro bene» (Memoriale, IX, 400).

Del silenzio, il libro, deposito della memoria, antidoto al caos e all’oblio, dove la parola giace, ma insonne, pronta a farsi incontro con passo silenzioso a chi la sollecita. Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace.