Grazie alla Bussola per l'approfondimento di questo importante argomento.
"Come si concilia il principio del prima sedes a nemine iudicetur con il giudizio su un eventuale Papa eretico? Bellarmino aveva chiaro che solo Dio può deporre un Papa. Ma suggeriva un illuminante parallelo, che si fonda sulla mediazione della Chiesa".
Luigi C.
Luisella Scrosati, La Nuova Bussola Quotidiana, 3-12-23
La condanna post mortem di papa Onorio è un fatto storico. Non è affatto certo che tale condanna fosse ben meritata, ma è invece pacifico che essa si trovi nero su bianco negli atti di tre concili, approvati dai romani pontefici. La questione merita una “digressione”.
Quella del “papa eretico” è certamente una possibilità remota, ma non per questo irreale o impossibile. Ed è una vexata quæstio, che da ipotesi teologica è divenuta, nell’ultima metà di secolo, motivo di numerosi scismi. Il punto critico e forse insuperabile del problema sta nel principio inviolabile per cui prima sedes a nemine iudicetur ‒ la prima Sede, ossia la Sede Apostolica, non può essere giudicata da nessuno. Dunque, se non può essere giudicata, chi può deporre il papa eretico?
Cercando di semplificare, senza tradire il pensiero soggiacente alle differenti correnti contemporanee sedevacantiste (qui e qui per un quadro d’insieme), la loro tesi di fondo è che un papa manifestamente eretico si separa da sé dalla Chiesa, decadendo così dall’ufficio petrino. Non si tratterebbe dunque di giudicare il papa, ma semplicemente di discernere che il papa non è più tale, a causa della sua eresia. Né si tratterebbe di deporlo, ma di prendere atto che si è deposto da sé con la propria eresia o, se si preferisce, che è stato deposto dalla legge divina.
Questa posizione assomiglia molto alla seconda delle cinque tesi discusse da san Roberto Bellarmino, nel suo De Romano Pontifice, secondo la quale il papa eretico è deposto ipso facto da Dio e quindi separato dalla Chiesa, della quale dunque non è più papa. La Chiesa dunque non giudicherebbe propriamente il papa, perché “il papa” caduto in eresia non è più papa e può pertanto essere giudicato. Il punto è che Bellarmino riferisce sì questa tesi, ma per respingerla.
Richiamiamo due punti che abbiamo fatto notare nel precedente articolo. Papa Adriano II (792-872), durante il Concilio di Costantinopoli IV (869-870), aveva dato una spiegazione sulla liceità della condanna di papa Onorio (585-638). Il Papa precisava che «né i patriarchi né gli altri vescovi [avevano] diritto di emettere alcun giudizio su di lui a meno che l'autorità della stessa prima sede pontificia non ne avesse dato il consenso»: è in sostanza il principio che la prima Sede non può essere giudicata da nessuno. Ma nel caso di Onorio si trattava comunque di un papa defunto, e dunque un legittimo successore aveva tutta l’autorità per pronunciare su di lui un giudizio e una condanna. Non risulta invece un caso, nella storia della Chiesa, in cui un papa in carica sia stato deposto per eresia.
Ma Adriano aveva affermato anche un’altra cosa: che l’accusa di eresia è l’«unica ragione per cui anche gli inferiori possono legittimamente giudicare i propri superiori». Come conciliare questa posizione con il principio che la Sede Apostolica non può essere giudicata da nessuno?
Un notevole contributo alla questione è stato offerto da un dettagliato studio di Robert Siscoe e John Salza, The True Meaning of Bellarmine’s Ipso Facto Loss of Office Theory for a Heretical Pope. Come si evince dal titolo, si tratta di una disamina per comprendere il reale pensiero del Bellarmino sul papa eretico e sulla sua perdita dell’ufficio petrino ipso facto, ossia per lo stesso fatto dell’eresia, che può aiutare a chiarire alcuni aspetti controversi.
Partiamo da una constatazione: coloro che ritengono che la Sede Apostolica sia vacante, sostengono che l’eresia del papa (o dei papi) sia notoria; e dunque non vi sia alcun dubbio sul fatto che il papa sia deposto ipso facto. Il minimo che si possa osservare è che tra costoro non vi è affatto consenso su quali papi debbano essere considerati legittimi e quali no: alcuni ritengono che la Sede sia vacante dalla morte di papa Benedetto XVI, altri da Paolo VI, altri ancora da Giovanni XXIII, e non mancano quelli che spostano ancora più indietro l’inizio della Sede vacante. Evidentemente l’eresia manifesta non è così manifesta. Se poi pensiamo che la stragrande maggioranza dei cattolici, inclusi vescovi e cardinali, hanno riconosciuto tutti questi papi, il problema diventa ancora più marcato.
Il punto è che san Roberto Bellarmino, seguito da molti altri teologi di fama, come Francisco Suárez e Giovanni di San Tommaso, afferma chiaramente la necessità di un previo giudizio della Chiesa, tramite un concilio o una riunione dei cardinali, che dimostri inequivocabilmente l’eresia. Si tratta di un cedimento verso la posizione conciliarista (che ritiene il concilio superiore al papa)? O di una contraddizione al principio che la prima Sede non può essere giudicata?
Non esattamente. In un’altra opera, il De Concilio, Bellarmino distingue tra due giudizi: un giudizio discrezionale, che discerne la situazione, e un giudizio coercitivo, che impone l’obbedienza ad un comando. Nel caso di eresia o di dubbio su chi sia il papa legittimo, quando si ha la copresenza di più “papi”, o ancora quando un papa è accusato di crimini gravi, i vescovi e i cardinali possono riunirsi per dirimere la questione. Un tale eventuale concilio, non avendo l’autorizzazione del papa, sarebbe pertanto un concilio imperfetto, ossia impossibilitato a pronunciarsi su qualsiasi altro argomento dottrinale o disciplinare. Questo pronunciamento, precisa Bellarmino, non ha però potere coercitivo. Che cosa accade, dunque?
Il cardinale gesuita ha ben chiaro che solo Dio ha il potere di deporre un papa; ma suggerisce un illuminante parallelo tra la modalità di elezione del pontefice e la sua deposizione. Sono i cardinali ad eleggere il papa, ma è solo Dio a costituirlo tale nel momento della sua accettazione; vi è dunque una cooperazione tra Dio e gli uomini: prima i cardinali eleggono, poi, all’atto dell’accettazione, Dio trasmette al nuovo papa i suoi poteri, al punto che mai si ha un papa se non c’è la mediazione umana. Sul versante della deposizione, si dovrebbe trovare lo stesso ordine: i cardinali o i vescovi in concilio dichiarano (con giudizio discrezionale, non coercitivo) l’eresia del papa e solo allora, e mai senza questa mediazione, Dio lo depone.
Qualunque sia la difendibilità di questa posizione, che non risolve tutti i problemi, è però chiaro che la deposizione ipso facto del papa eretico necessita di questo passo intermedio, che mantiene la mediazione, voluta da Dio, della Chiesa, la quale impedisce che ciascuno si eriga a giudice dell’eresia del papa, provocando inevitabilmente dolorosi scismi. Secondo Bellarmino è chiaro che nessuno può dichiarare eretico un papa senza che prima la Chiesa lo abbia giudicato tale. E questo tipo di giudizio (non coercitivo) permetterebbe, a suo avviso, di non contraddire la non giudicabilità della prima Sede, né di cadere in una forma di conciliarismo mitigato.
Il criterio riguarda in generale qualsiasi presunto eretico o scismatico; san Tommaso spiega infatti che il rifiuto di comunicare con costoro riguarda solo quanti «eretici o scismatici o scomunicati o anche peccatori, (…) vengono privati dell'esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa» (Summa Theologiæ III, q. 82, a. 9), non secondo un giudizio personale, fosse anche corretto.
Finché dunque questo giudizio della Chiesa ‒ e non di chiunque ‒ non sia stato pronunciato, il papa rimane in carica e a lui si deve obbedienza, quando comanda ciò che può comandare. Questo è un altro punto chiarissimo in Bellarmino, molto più condiviso che non la sua tesi precedente. Il papa ha una sfera nella quale il suo comando è legittimo, e dunque obbligante. Ma questa sfera non è infinita né indeterminata. Tant’è vero che egli afferma, in un noto passo, che «come è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l’ordine civile, e, soprattutto, a quello che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina ed impedendo la esecuzione della sua volontà: non è però lecito giudicarlo, punirlo e deporlo, poiché questi atti sono propri di un superiore» (De Romano Pontifice, lib. 2, c. 19).
La posizione di S. Roberto Bellarmino è semplicemente un'ipotesi teologica.
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