Da Bergamo giunge qualche buona notizia: il 5 dicembre
l’Ufficio liturgico della Diocesi ha pubblicato una nota in cui ha ritenuto «opportuno ricordare alcune norme relative ai Riti di Comunione, contenute nei libri liturgici, ma talvolta disattese nella prassi»… ed è chiaro che se una Diocesi si prende la premura di richiamarle con una nota, significa che quel «talvolta» non è sinonimo di «raramente» (in effetti, quando si legge il contenuto, non si può non convenire sul fatto che questi abusi siano purtroppo molto diffusi, anche al di fuori della Diocesi di Bergamo, e su MiL ne abbiamo dato molti esempi).
In estrema sintesi, si ricorda che:
1. il ministro ordinario della Comunione eucaristica è il ministro ordinato;
2. il comunicando riceve il pane eucaristico in bocca o sulla mano, come preferisce;
3. nella distribuzione della comunione l’Eucaristia è sempre consegnata dal ministro e non presa direttamente dai fedeli.
Su queste note liturgiche Luisella Scrosati ha pubblicato una pregevole analisi sulla Nuova Bussola Quotidiana del 16 dicembre.
In particolare rileva che la nota liturgica omette di ricordare che la modalità di ricezione della Comunione sulle mani «è un semplice indulto, mentre la prima [in bocca], secondo quanto espresso nell’istruzione Memoriale Domini, che questa pratica autorizzava, costituisce “la forma ormai tradizionale” che meglio assicura “una distribuzione rispettosa, conveniente e dignitosa insieme della Comunione” ed “evita il pericolo di profanare le specie eucaristiche”. Questa disparità delle due forme è pressoché dimenticata. La nota omette infatti di citare anche quei passaggi del decreto della CEI del 19 luglio 1989, confermato dalla Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, nei quali si distingue tra il modo “particolarmente appropriato” di ricevere la Comunione (sulla lingua) e quello semplicemente permesso (“la Chiesa permette di dare l’Eucaristia deponendola sulle mani dei fedeli”)».
Infatti, prosegue l’analisi, le due forme non si equivalgono: «quella sulla lingua è la modalità ordinaria, quella sulla mano un indulto (che nasce tra l’altro da abusi diffusi in certi Paesi europei); la prima – ancora più importante – è quella che maggiormente esprime rispetto, convenienza e dignità e impedisce il rischio di profanazione, secondo le parole di San Paolo VI.
Il rischio di profanazione è dunque implicitamente ammesso anche dalla Nota (e dall’istruzione Memoriale Domini), la quale infatti si trova a richiamare una condizione indispensabile, ossia che i fedeli si accostino alla Comunione “con la dovuta devozione ed attenzione nell’evitare la dispersione dei frammenti”. Dunque, la Diocesi di Bergamo ammette che senza questa attenzione la dispersione dei frammenti è più che possibile. Concretamente, si richiederebbe che ogni fedele che ricevere la Comunione sulla mano verifichi la presenza di eventuali frammenti sul palmo e sulle dita che portano la Sacra particola in bocca. Ma dobbiamo essere sinceri: quanti sono i fedeli che prestano questa attenzione? E quanti sono i sacerdoti che insegnano ad averla? Realisticamente, la stragrande maggioranza dei fedeli che si comunica sulla mano non verifica mai la presenza di eventuali frammenti. E dunque, altrettanto realisticamente, la Comunione sulla mano, come viene fatta dalla stragrande maggioranza delle persone, di fatto aumenta non solo il rischio, ma la realtà della dispersione dei frammenti. Ma allora, non sarebbe più logico limitarne la diffusione, tornando ad educare i fedeli sulla modalità tradizionale di ricevere la Comunione?».
Inoltre, la Nota omette una precisazione importante dell’istruzione Divino Redemptionis Sacramentum della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti (2004): «Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la Santa Comunione sulla mano dei fedeli» (n. 92). Dunque, commenta Luisella Scrosati, «il ministro, mentre non può rifiutare la Comunione sulla lingua, può rifiutare quella sulla mano qualora ravvisi che ci sia il pericolo che la Santa Eucaristia sia profanata.
Ma è strano che l’Ufficio liturgico abbia dimenticato anche questa volta di riferirsi all’istruzione Redemptionis Sacramentum (n. 91): “Non è lecito, quindi, negare a un fedele la Santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi”. Così come non fa alcun riferimento al n. 92, che indica come necessario, non semplicemente raccomandato, l’uso del piattino per la Comunione dei fedeli».
Buoni, dunque, i richiami; ma perché tante omissioni (su elementi tutt’altro che secondari)?
E da parte nostra ci domandiamo: se l’Ufficio liturgico di una tutt’altro che piccola Diocesi dell’Italia settentrionale si premura di ricordare ai sacerdoti l’abbicì delle norme relative alla Comunione eucaristica, che dovrebbero essere ben note a tutti i fedeli già dai primi anni di catechesi, quale è la preparazione assicurata ai futuri sacerdoti dal Seminario diocesano?
L.V.
La terza edizione del Messale Romano (2020) ha costituito un’occasione preziosa pe riscoprire la centralità della celebrazione eucaristica anche dal punto di vista rituale. Si tratta di un aspetto tutt’altro che secondario: la cura della celebrazione è segno di amore nei confronti del Signore ed espressione di comunione. Il rispetto dovuto alle prescrizioni rituali, infatti, non tende tanto al raggiungimento di una sterile uniformità ma ad una maggiore unità ecclesiale.
Ogni battezzato è chiamato a partecipare attivamente alla celebrazione del mistero pasquale di Cristo poiché esso costituisce la fonte e il culmine della vita cristiana. In particolare i ministri ordinati hanno il preciso dovere di celebrare l’Eucaristia per il bene spirituale dei fedeli, assicurandosi che tutto favorisca l’incontro con Cristo. L’arte del presiedere, tra le altre cose, prevede una fedele obbedienza alle indicazioni del Messale che vanno pertanto conosciute e rispettate.
Si ritiene perciò opportuno ricordare alcune norme relative ai Riti di Comunione, contenute nei libri liturgici, ma talvolta disattese nella prassi.
Ministri straordinari della Comunione
Il ministro ordinario della Comunione eucaristica è il ministro ordinato (vescovo, presbitero, diacono). I ministri straordinari della Comunione sono istituiti con una duplice finalità:
- Garantire, soprattutto alle persone anziane ed ammalate, il frequente sostegno del Corpo del Signore. Essi sono segno della premurosa sollecitudine dell’intera comunità verso i fratelli sofferenti.
- Coadiuvare il sacerdote nella distribuzione della Comunione eucaristica durante la Messa nel caso si presenti una reale necessità (ad esempio un’assemblea numerosa oppure un’impossibilità fisica da parte del ministro ordinato).
È opportuno ricordare che con l’istituzione non è concessa la facoltà di esporre e riporre il Santissimo Sacramento per l’adorazione eucaristica: in casi eccezionali, di reale necessità pastorale, tale facoltà va richiesta espressamente all’Ordinario che valuterà se concederla.
A tal proposito, anche durante la celebrazione della Messa è compito del ministro ordinato accedere al tabernacolo per prendere e riporre l’Eucaristia per la comunione dei fedeli.
Ai ministri straordinari non è consentito presiedere la cosiddetta “Liturgia della Parola” con la distribuzione della Comunione eucaristica. La Chiesa sta riflettendo sulle nuove forme di ministerialità istituita (accoliti e lettori) anche in riferimento alla guida di determinate celebrazioni liturgiche. Su questioni così importanti e delicate è necessario procedere insieme condividendo le scelte anche a livello diocesano.
Nella nostra Diocesi i ministri straordinari della Comunione vengono istituiti per un quinquennio con decreto dell’Ordinario, dopo un congruo cammino di preparazione proposto dall’Ufficio Liturgico. Alla scadenza del loro mandato necessitano del periodico rinnovo su richiesta del parroco (cfr. Direttorio Liturgico Pastorale, 2). I ministri straordinari hanno il compito di attenersi alle indicazioni liturgiche previste per l’esercizio del loro ministero, sono chiamati a curare la loro formazione spirituale e ad assumere scelte di vita conformi all’insegnamento della Chiesa. Si ricorda – come espresso dalla Nota CEI sui ministeri istituiti – che per essere ammessi al ministero occorre avere un’età minima di 25 anni.
Comunione eucaristica in bocca o sulla mano
In riferimento alla modalità attraverso cui il fedele può ricevere il Corpo di Cristo, si ricorda quanto previsto dall’OGMR (160-161) e ribadito dalle Precisazioni della CEI nella recente edizione del MR (13): «il comunicando riceve il pane eucaristico in bocca o sulla mano, come preferisce». I ministri ordinari e straordinari della Comunione sono pertanto tenuti a rispettare, su questo punto, il desiderio dei singoli fedeli.
In ogni caso, è opportuno raccomandare ai fedeli di accostarsi all’eucaristia con la dovuta devozione ed attenzione nell’evitare la dispersione dei frammenti. In particolare, coloro che ricevono la Comunione sulla mano sono invitati ad assumere il Corpo di Cristo ponendo in modo corretto una mano sull’altra (la sinistra sopra la destra), comunicandosi davanti al ministro o leggermente a lato per consentire al fedele che segue di avanzare (cfr. Precisazioni CEI, 13).
Circa la Comunione in ginocchio, l’Ordinamento Generale del Messale Romano la prevede lasciando alle singole Conferenze episcopali di scegliere se avvalersi o meno di tale opportunità. La CEI si esprime così: «I fedeli si comunichino abitualmente in piedi, avvicinandosi processionalmente all’altare o al luogo ove si trova il ministro» (Precisazioni CEI, 13).
Comunione dalle mani del ministro
Come prescritto dai libri liturgici: «nella distribuzione della comunione l’Eucaristia è sempre consegnata dal ministro e non presa direttamente dai fedeli» (cfr. Precisazioni CEI al MR, 13). Questa indicazione vale anche per i fedeli affetti da celiachia (in tal caso si suggerisce ai ministri di purificare con cura le mani prima di distribuire la Comunione).
Consacrare in ogni celebrazione particole per la comunione dei fedeli
Come indicato dall’OGRM (85) è vivo desiderio della Chiesa, per meglio significare la partecipazione di tutti al sacrificio di Cristo celebrato, che oltre al sacerdote anche i fedeli ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa. Pur non trattandosi di un “obbligo” in senso stretto e consapevoli che non è sempre possibile prevedere con precisione il numero dei comunicandi, risulta opportuno curare questo particolare segno liturgico anche per evitare la conservazione di un’eccessiva quantità di particole consacrate nel tabernacolo.
Purificazione dei vasi sacri
È segno di particolare rispetto nei confronti del Santissimo Sacramento curare con attenzione la purificazione sia dei vasi sacri utilizzati durante la celebrazione sia, periodicamente, delle pissidi conservate nel tabernacolo.
Va bene così!Con i tempi che corrono è già un mezzo miracolo.
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