La forza della talare e dell'abito religioso: "Lì la mia veste talare costituisce già una catechesi, per cui vengo riconosciuto e diverse volte mi è stato chiesto un colloquio, o semplicemente una preghiera, oppure una confessione, o un contatto per approfondire il dialogo".
QUI i post di MiL sula talare.
QUI il nostro ultimo post, di pochi giorni fa, sull'argomento.
Luigi C.
Chiara Unguendoli, Avvenire, 9 dicembre 2023
Un suo post su Facebook, postato ieri mattina, in poche ora è diventato virale, ottenendo quasi 500 «like» e una marea di commenti. E questo perché quella foto raffigurava lui, don Massimo Vacchetti, 52 anni, direttore dell’Ufficio della diocesi di Bologna per la Pastorale dello Sport, Turismo e Tempo libero sulle gradinate della Segafredo Arena (il Palazzo dello Sport della città felsinea), che assisteva alla partita di basket della Virtus Segafredo. Accanto a lui un altro sacerdote, tifosissimo della Virtus, don Marco Bonfiglioli, rettore del Seminario arcivescovile. E don Massimo era vestito, come sempre, in abito talare. Un look oggi insolito per un sacerdote, soprattutto se abbastanza giovane e tanto più in un contesto così spiccatamente laico. Ma soprattutto ha colpito il testo, in cui don Massimo racconta di essere stato riconosciuto come prete appunto per la veste da una ragazza, gli ha chiesto di battezzare il figlio e poi anche di celebrare il matrimonio di lei e il fidanzato.
[...] Lì la mia veste talare costituisce già una catechesi, per cui vengo riconosciuto e diverse volte mi è stato chiesto un colloquio, o semplicemente una preghiera, oppure una confessione, o un contatto per approfondire il dialogo. Perché le persone, diversamente da quanto molti credono, continuano ad avere una grande “sete” di Dio, e desiderano incontrare persone che, a loro volta, glieLo facciano incontrare». E a chi gli chiede perché le persone non cerchino il sacerdote nelle chiese, don Massimo spiega che «purtroppo la Chiesa in alcuni luoghi di incontro per tante ragioni è venuta meno, per esempio perché in molti luoghi c’è la chiesa, ma non c’è più un parroco residente, e anche altre esperienza di prossimità tra sacerdote e popolo, come le benedizioni pasquali, si sono molto ridotte».
[...] Un sacro che però, insiste, «deve essere riconoscibile, attraverso segni come quello dell’abito. All’ultima Gmg ho constatato di essere l’unico prete italiano in abito talare, o anche in clergyman: erano tutti bravissimi, ma “irriconoscibili”. Mentre ce n’erano tanti “vestiti” stranieri. Singolare, no?».