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sabato 9 dicembre 2023

A Roma, aspettando la successione… il card. Pietro Parolin in un’imboscata

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 982 bis pubblicata da Paix Liturgique il 5 dicembre 2023, in cui si riproduce l’articolo di don Claude Barthe, Cappellano del Pellegrinaggio Populus Summorum Pontificum, pubblicata da Res Novae il 29 novembre e dedicata al card. Pietro Parolin e agli sconvolgimenti a Roma in vista del prossimo Conclave, quando papa Francesco festeggerà il suo 87º compleanno il 17 dicembre.

L.V.

È il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato, il vero candidato della sinistra bergogliana¹? Dobbiamo ricordare che nell’anno 2013, i Cardinali che si definivano il «Gruppo di San Gallo» e che hanno portato al potere il card. Jorge Mario Bergoglio, utilizzarono una manovra che consisteva nel proporre il nome del card. Odilo Pedro Scherer, Arcivescovo metropolita di San Paolo, per far avanzare più efficacemente il loro vero candidato papale, l’Arcivescovo metropolita di Buenos Aires. Allo stesso modo oggi, dietro il card. Luis Antonio Gokim Tagle, filippino di 66 anni, Pro-Prefetto della Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari del Dicastero per l’Evangelizzazione, ma depresso e piuttosto insignificante, o dietro il card. Jean-Claude Hollerich S.I., di 65 anni, Arcivescovo di Lussemburgo, relatore della 16ª Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, ma troppo rumorosamente eterodosso, ci sarebbe in realtà il card. Pietro Parolin.

L’erede del card. Achille Silvestrini

Ordinato nel 1980 per la Diocesi di Vicenza, in Veneto, è entrato nei servizi diplomatici della Santa Sede nel 1986, quando il card. Agostino Casaroli era Segretario di Stato ed il card. Achille Silvestrini era Segretario per i Rapporti con gli Stati (l’equivalente di un Ministro degli Esteri), e per decenni leader della Roma liberale. Lavoratore indefesso, il mons. Pietro Parolin, sotto la guida del suo mentore card. Achille Silvestrini, acquisì una conoscenza approfondita della Curia romana ai massimi livelli e delle Cancellerie del mondo. Ha prestato servizio in diverse Nunziature apostoliche prima di tornare a Roma nel 1992, quando il card. Angelo Sodano è diventato Segretario di Stato. Nominato Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati sotto il card. Jean-Louis Pierre Tauran, che era succeduto al suo capo card. Achille Silvestrini, si fece notare per la sua competenza in negoziati delicati (Messico e Vietnam). Ma il card. Tarcisio Pietro Bertone S.D.B., divenuto Segretario di Stato di Papa Benedetto XVI, lo disonora e lo sostituisce con un suo fedelissimo, mons. Ettore Balestero. Fu inviato nella più difficile delle Nunziature apostoliche, quella del Venezuela di Hugo Rafael Chávez Frías. È stato un prelato venezuelano molto discusso, mons. Edgar Peña Parra, che era diventato molto vicino a papa Francesco, a diventare il suo primo collaboratore come Sostituto per gli Affari Generali nel 2018, sostituendo mons. Giovanni Angelo Becciu, diventato Cardinale e Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.
Si dice che il card. Jorge Mario Bergoglio, Arcivescovo metropolita di Buenos Aires, apprezzasse molto l’abile gestione di Hugo Chávez a Caracas da parte di mons. Pietro Parolin. Una volta diventato Papa, Jorge Mario Bergoglio è stato facilmente convinto dal card. Achille Silvestrini e dal card. Jean-Louis Pierre Tauran a nominare questo esperto diplomatico di orientamento liberale in sostituzione del card. Tarcisio Pietro Bertone S.D.B., che lo aveva esiliato, nell’agosto 2013. L’esperienza di mons. Parolin in America Latina sembrava preziosa per papa Francesco, la cui bestia nera – Péronisme oblige – erano gli Stati Uniti e la loro Chiesa largamente conservatrice. L’elezione di Donald John Trump nell’anno 2016 è stata crudele per il papa Francesco e il suo Segretario di Stato, e la recente elezione del Trump argentino, Javier Gerardo Milei, che ha definito papa Francesco un «demone», è stata ancora più crudele.
Infatti, se l’elezione del card. Jorge Mario Bergoglio al Pontificato sembrava inaugurare una nuova era, in realtà rappresentava il ritorno di un vecchio mondo dopo un lungo periodo di «restaurazione» wojtylo-ratzingeriana. Il card. Pietro Parolin, figlio spirituale del card. Achille Silvestrini e ammiratore della Ostpolitik del card. Agostino Casaroli, è stato l’artefice di questo ritorno al vecchio mondo.

L’ago della bilancia del card. Pietro Parolin: l’accordo con la Cina

L’handicap maggiore del card. Pietro Parolin è proprio il disastroso accordo della Santa Sede con la Repubblica Popolare Cinese. Molto più professionale del suo predecessore card. Tarcisio Pietro Bertone S.D.B., il card. Pietro Parolin ha comunque stupito il mondo con l’irenismo dell’accordo che ha firmato con la Repubblica Popolare Cinese il 22 settembre 2018, i cui termini sono segreti.
Va detto che la situazione del Cattolicesimo cinese è estremamente complessa: una feroce contrapposizione tra l’eroica Chiesa sotterranea e la Chiesa controllata dalle autorità; ma all’interno di quest’ultima i confini sono spesso sfumati. Già sotto San Giovanni Paolo II, sebbene nominati dall’Associazione patriottica cattolica cinese, un certo numero di Vescovi chiedeva segretamente di essere riconosciuto da Roma.
Papa Francesco e il card. Pietro Parolin hanno quindi organizzato negoziati diretti con Pechino, guidati da parte romana da mons. Claudio Maria Celli. Inoltre, sono stati riutilizzati i servizi del card. Theodore Edgar McCarrick, l’ex Arcivescovo metropolita di Washington, che era stato messo in libertà vigilata da Papa Benedetto XVI per i suoi crimini di predatore sessuale. Egli aveva già visitato la Cina in diverse occasioni, e gli è stato dato il mandato di riprendere le sue visite ai Cattolici «ufficiali». Tutto questo non ha impedito la persecuzione dei Cristiani cattolici e protestanti, in particolare attraverso la distruzione su larga scala delle chiese.
L’accordo del card. Pietro Parolin del 2018, firmato per due anni e prorogato nel 2020 e nel 2022, ha permesso alle autorità cinesi di «presentare» i Vescovi da investire da Roma. In base a questo accordo, gli ultimi sette Vescovi «ufficiali» nominati sono stati reintegrati nella comunione romana, due dei quali erano sposati. Inoltre, i Vescovi clandestini, che non erano stati approvati dalle autorità comuniste, furono esclusi dal governo delle Diocesi. Ciò provocò critiche indignate, in particolare da parte del card. Joseph Zen Ze-kiun S.D.B., che accusò il card. Pietro Parolin, «uomo di poca fede», di «svendere la Chiesa cattolica al governo comunista», ma anche, molto recentemente, da parte del card. Gerhard Ludwig Müller: «Non si può fare un patto con il diavolo»². Va sottolineato che il patto in questione dà ai comunisti, che ancora perseguitano la Chiesa, il diritto di nominare i Vescovi.
Lo scorso luglio, il card. Pietro Pietro Parolin ha ammesso che questa politica stava portando la Santa Sede a ingoiare grossi rospi: «Per il bene della Diocesi e del dialogo», Roma aveva riconosciuto la nomina unilaterale da parte dell’Associazione patriottica cattolica cinese, contrariamente agli accordi passati, di mons. Giuseppe Shen Bin a capo della Diocesi di Shanghai³. In realtà, questo modo di procedere – annuncio da parte delle autorità ecclesiastiche cinesi della nomina di un Vescovo e consacrazione del Vescovo, successivamente avallata da Roma e pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede – è il processo abituale.
Il card. Joseph Zen Ze-kiun S.D.B. ha fatto notare che il Segretario di Stato ha citato una frase della lettera di Papa Benedetto XVI alla Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese del 27 maggio 2007, che recita: «La soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili». Il card. Pietro Parolin, fin troppo contento che Papa Benedetto XVI abbia riconosciuto la legittimità delle autorità comuniste, ha troncato il resto della frase: «Nello stesso tempo, però, non è accettabile un’arrendevolezza alle medesime quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa». E il card. Joseph Zen Ze-kiun S.D.B. ha invitato il colpevole di questo «incredibile tradimento» a dimettersi.

Il Cardinale globalista

Si è parlato molto della partecipazione della seconda figura più importante della Chiesa alla riunione di un club i cui scopi sono del tutto estranei alla sua dottrina sociale: la conferenza annuale, a porte chiuse, del Gruppo Bilderberg, che si è tenuta a Torino dal 7 al 10 giugno 2018 e il cui ordine del giorno prevedeva un’analisi della «preoccupante» ascesa del populismo. Il Gruppo Bilderberg, fondato nell’anno 1954 da David Rockefeller, è oggi un’efficace antenna per le ideologie globaliste. I suoi membri e ospiti – circa un centinaio di persone – sono cooptati da figure influenti della diplomazia, dell’economia, della politica e dei media, molti dei quali non fanno mistero della loro affiliazione «umanista». La totale segretezza dei dibattiti – i partecipanti sono rinchiusi per due giorni come in un conclave – alimenta ogni tipo di fantasia. Ma secondo la Sala Stampa della Santa Sede, il Segretario di Stato vaticano è stato presente «solo per poco tempo, circa un’ora e tre quarti», durante la quale ha tenuto un discorso «sulla dottrina sociale della Chiesa». In una parola, il card. Pietro Parolin l’élite capitalista-globalista…
Seguendo questa linea di apertura ai temi cari ai globalisti, ma sempre con la stessa prudenza, il 5 aprile 2019 il card. Pietro Parolin ha ricevuto, per più di un’ora, attivisti LGBT di alto profilo, cioè una cinquantina di avvocati, magistrati e politici, tutti impegnati nella campagna per la depenalizzazione dell’omosessualità. La figura chiave di questa delegazione era il prof. Eugenio Raúl Zaffaroni, docente emerito di criminologia all’Universidad de Buenos Aires, amico di lunga data di papa Francesco, noto per le sue posizioni molto liberali e per il suo impegno a favore del riconoscimento legale dei «matrimoni» omosessuali e della depenalizzazione dell’aborto. Il Segretario di Stato aveva dichiarato che la Chiesa condanna «ogni violenza contro le persone», il che non è certo un impegno, ma allo stesso tempo ha compiuto un gesto di grande forza simbolica con questo ricevimento. È meno grossolano del ricevimento di papa Francesco all’ora di pranzo per un gruppo di donne transgender, ma è altrettanto significativo in termini di «apertura». Tutto merito del card. Pietro Parolin.

Un rapporto complesso con papa Francesco

Il card. Pietro Parolin ha fatto parte del gruppo di Cardinali che ha lavorato alla riforma della Curia romana, che avrebbe dovuto ridurre l’importanza della Segreteria di Stato. Tutto si riduceva alle finanze. Il card. Pietro Parolin ha abilmente manovrato per ostacolare l’efficace riorganizzazione del card. George Pell degli organi finanziari della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. In teoria, la riforma del card. George Pell ha eliminato una parte significativa del controllo esercitato dal Segretario di Stato. In realtà, il card. Pietro Parolin ha fatto escludere la Segreteria di Stato dalla revisione contabile organizzata per tutti gli enti finanziari del Vaticano, il che ha silurato la revisione organizzata dal card. George Pell.
Di conseguenza, il card. Pietro Parolin si è trovato direttamente interessato dall’esposizione, nell’anno 2019, di una transazione sospetta effettuata dalla Segreteria di Stato nell’anno 2012: l’investimento di quasi 200 milioni di euro in un lussuoso edificio londinese soggetto a ipoteca. L’immobile era stato acquistato a un prezzo fortemente sopravvalutato con i fondi raccolti dall’Obolo di San Pietro, poi venduto in forte perdita. Si trattava di una situazione relativamente classica, in cui chierici che pensavano di essere esperti finanzieri si rivelavano estremamente ingenui. La responsabilità principale fu del primo collaboratore del card. Pietro Parolin, il card. Giovanni Angelo Becciu, che nel frattempo era diventato Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Costretto a dimettersi dall’incarico, perse tutti i diritti connessi al Cardinalato e fu portato davanti ai tribunali vaticani insieme ad altri alti funzionari romani: lo svizzero René Brülhart, ex presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria, l’organo di controllo finanziario della Santa Sede; mons. Mauro Carlino, per molti anni segretario privato del card. Giovanni Angelo Becciu; e mons. Enrico Crasso, ex responsabile del patrimonio riservato della Segreteria di Stato. I loro avvocati non hanno esitato a dichiarare che il card. Pietro Parolin era a conoscenza delle loro attività.
Il card. Pietro Parolin è dunque caduto in semi-disgrazia? Queste accuse di appropriazione indebita o di grave imprudenza hanno fatto sì che, alla fine dell’anno 2020, la Segreteria di Stato sia stata spogliata dei suoi beni e del suo enorme portafoglio di investimenti. Tuttavia, a prescindere dal coinvolgimento del card. Pietro Parolin, questa vicenda è talmente complessa, sia in sé sia per il modo del tutto atipico – bergogliano – con cui è stata portata avanti da!papa Francesco stesso, da non costituire un reale pericolo per le possibilità del Cardinale Segretario di Stato all’apertura del conclave.
Inoltre, nonostante la partecipazione dello staff diplomatico del card. Pietro Parolin alle discussioni internazionali sulle questioni climatiche, egli è stato escluso dal processo di redazione dell’esortazione apostolica Laudate Deum a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica. Inoltre, è stato il card. Matteo Maria Zuppi, membro della potente Comunità di Sant’Egidio e presidente della Conferenza episcopale italiana, a essere incaricato di attuare gli sforzi di papa Francesco per ottenere un accordo di pace tra Ucraina e Russia. In questo modo, il Cardinale bolognese, che ha già assunto in passato importanti missioni diplomatiche, viene visto come una sorta di secondo Segretario di Stato.
Ma il fatto di essere meno vicino a papa Francesco potrebbe essere un vantaggio per il card. Pietro Parolin nel momento in cui si dovrà occupare della successione a papa Francesco, e quando ci sarà sicuramente una reazione contro il dispotismo sotto il quale la Curia romana e i Cardinali gemono.
In questo tipo di speculazione, il suo incerto stato di salute – il card. Pietro Parolin è stato curato per un tumore – compenserebbe la sua «giovane» età (69 anni) per gli elettori che, dall’interminabile Pontificato di San Giovanni Paolo II, vogliono limitare i rischi cercando Papi per regni brevi (il card. Jean-Pierre Ricard ha rivelato che l'età del card. Jorge Mario Bergoglio è stato uno degli argomenti addotti dai suoi sostenitori durante il conclave del 2013).

Un ritorno al Concilio «puro»: l’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia e la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes

Ciò che apprendiamo di più sull’ecclesiologia del card. Pietro Parolin è il discorso che ha tenuto il 14 novembre 2017 a Washington, presso la Catholic University of America, dove stava ricevendo un Dottorato onorario in teologia. Ha tenuto una lunga e magistrale lezione di 55 minuti in italiano a gloria del Concilio Vaticano II, che aveva tutte le caratteristiche di un manifesto, e in cui ha insistito sul fatto che stava seguendo le orme di papa Francesco, che stava realizzando pienamente le intenzioni del Concilio Vaticano II⁴. 
Per il card. Pietro Parolin, il Concilio Vaticano II è la fons et origo della Chiesa di oggi e del futuro. I Padri hanno adottato un nuovo paradigma, quello di una Chiesa che è sempre stata cattolica, ma che è diventata globale, svincolata dalla sua coincidenza con l’Europa. Ciò ha avuto diverse conseguenze, come l’introduzione delle lingue locali nella liturgia e la legittimazione delle teologie locali. L’aggettivo «mondiale» legato alla Chiesa è usato con un’ambiguità simile a quella dell’aggettivo «ecumenico» per qualificare il Concilio Vaticano II, ecumenico perché generale e/o perché ha fatto trionfare il riavvicinamento con i separati.
Il card. Pietro Parolin ha citato mons. Pierre Aimé Marie Doré P.S.S., per il quale, dopo il Concilio Vaticano II, nulla sarebbe stato più lo stesso. Così come all'inizio la Chiesa era passata dal giudeo-cristianesimo al pagano-cristianesimo, secondo lui, con il Concilio Vaticano II ha subito un cambiamento altrettanto radicale. Un processo «irreversibile», ha insistito il card. Pietro Parolin, sottolineando che una delle profonde innovazioni del Concilio Vaticano II evidenziate da papa Francesco è stata l’introduzione della sinodalità, che ha «riequilibrato» l’organizzazione monarchica preconciliare.
Ma a parte l’aspetto «comunicativo» della sinodalità, per lui l’essenza dell’attuale Pontificato sta nell’armonizzazione raggiunta dall’esortwzione apostolica postsinodale Amoris laetitia. C’era una contraddizione: il Concilio Vaticano II aveva adottato un’ecclesiologia liberale (ecumenismo, libertà religiosa), ma San Paolo VI, con la lettera enciclica Humane vitæ, aveva mantenuto una morale coniugale vecchio stile. L’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia ha colmato questo divario impegnando anche la morale in un’apertura liberale. Va notato che il card. Pietro Parolin ha dato asilo a questa apertura facendo inserire negli Acta Apostolicae Sedis del 7 giugno 2017, sotto il titolo di «magistero autentico», l’elogio di papa Francesco ai Vescovi argentini per la loro interpretazione ultraliberale di …
Questa difesa della nuova lex credendi in tutta la sua pienezza si manifesta, come dovrebbe essere, con una difesa della nuova lex orandi, la liturgia riformata sulla scia del Concilio Vaticano II. In qualità di Segretario di Stato, il card. Pietro Parolin ha svolto un ruolo chiave nella stesura della lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes. Si ricorderà che il primo atto è stato il sondaggio tra i Vescovi del mondo organizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 7 marzo 2020, per fare il punto sull'applicazione della lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum. I risultati potrebbero certamente essere interpretati come un’approvazione della lettera apostolica Summorum Pontificum, ma ciò che era previsto era la sua abrogazione. Nelle riunioni della Congregazione per la Dottrina della Fede che hanno discusso la questione, sono intervenuti oratori molto ostili all’usus antiquior, come il card. Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero, il virulento card. Marc Ouellet O.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi, il card. Giuseppe Versaldi, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica (responsabile dei seminari), e il card. Pietro Parolin, che in uno di questi incontri, giocando sull’espressione «la Messa di sempre» talvolta attribuita alla Santa Messa tradizionale, ha affermato: «Dobbiamo porre fine a questa Messa per sempre!».

Un tempestivo riorientamento

Ai membri della 16ª Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi del mese di ottobre è stata imposta una grande discrezione, sorprendentemente rispettata. Sappiamo, ad esempio, che il card. Pietro Parolin ha tenuto un discorso descritto come «molto forte» e «molto franco», che ha impressionato profondamente i presenti, ma senza rivelarne il contenuto. Si dice che abbia «difeso la dottrina», che deve essere posta al centro della sinodalità. Il vaticanista Andrea Gagliarducci ha ironizzato sul quotidiano Il Foglio del 20 ottobre: «È improbabile, però, che Parolin abbia parlato come un guerriero». Sembra invece probabile che abbia parlato in modo più mirato, in sintonia con il pensiero di papa Francesco, desideroso di prendere le distanze dal cammino sinodale tedesco. Possiamo anche intendere la macchinosa macchina sinodale romana come un processo di transazione tra Roma e la Chiesa in Germania, o meglio tra i bergogliani «esagerati» (il card. Jean-Claude Hollerich S.I.), vicini alla Germania, e i bergogliani «realisti» (il card. Pietro Parolin), questi ultimi espressione del pensiero del Sommo Pontefice.
Inoltre, questo discorso si è rivelato propedeutico alla pubblicazione di una lettera inviata il 23 ottobre 2023 dal Segretario di Stato a mons. Beate Gilles, Segretario generale della Conferenza episcopale tedesca, in cui si ricorda che la dottrina della Chiesa riserva l’ordinazione sacerdotale agli uomini e che, senza giudicare la responsabilità soggettiva degli interessati, la moralità oggettiva dei rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso è stata «valutata […] in modo preciso e certo».
D’ora in poi, i discorsi pubblici del Segretario di Stato dovrebbero essere ripetuti in senso «conservatore» e, in caso di grave malattia del Papa o di sede vacante, potrebbe naturalmente prendere il sopravvento, come è accaduto con il card. Joseph Aloisius  Ratzinger nel 2005.
In sostanza, il card. Pietro Parolin offre la versione istituzionale del bergoglionismo, quella di essere il più aperto possibile senza mettere troppo a rischio l’istituzione. Il vaticanista Iacopo Scaramuzzi, scrivendo sul quotidiano La Repubblica del 25 ottobre 2023, ha classificato i Cardinali importanti, compresi i papabili, in cinque gruppi. Tralasciando gli outsider, che provengono da Paesi lontani e spesso indefinibili, restano quattro gruppi ben definiti: 
  • i bergogliani di ferro, i bergogliani più «avanzati» (Luis Antonio Gokim Tagle e Jean-Claude Hollerich S.I.);
  • i bergogliani più realisti dell’«asse istituzionale», tra cui Pietro Parolin (con Marc Armand Ouellet P.S.S. e Arthur Roche). A nostro avviso, va aggiunto il card. Giovanni Angelo Becciu, la cui clientela rimane ampia e che non è né più né meno «di sinistra» di Pietro Parolin;
  • i Cardinali che potremmo definire liberali di centro-sinistra (il vaticanista Iacopo Scaramuzzi li definisce «mediterranei»), come il bolognese Matteo Maria Zuppi e il marsigliese Jean-Marc Noël Aveline;
  • e i conservatori (Péter Erdő di Budapest, Robert Sarah, Gerhard Ludwig Müller, Raymond Leo Burke, Willem Jacobus Eijk dei Paesi Bassi, Timothy Michael Dolan degli Stati Uniti).
Se i voti fossero pesati oggi, dove si fermerebbe la bilancia? Nessuno lo sa. Ma dopo il prepotente autoritarismo dell’attuale Pontificato, la meticolosa professionalità del card. Pietro Parolin potrebbe essere considerata accettabile dalle coorti di Cardinali alla ricerca di un Papato aperto che, a loro avviso, presenti il minimo dei rischi. In altre parole, con il massimo rischio per la Chiesa.

¹ In questo articolo abbiamo riutilizzato alcune considerazioni di Daniel Hamiche tratte da un articolo di Res Novae del 1º maggio 2019, L’«hypothèse» Parolin.
² Card. Gerhard Ludwig Müller, En toute bonne foi. Le catholicisme et son avenir, Artège 2023.

4 commenti:

  1. Ma Dio aveva altri progetti.

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  2. Leggere la frase "i cardinali [...] che hanno portato al potere Jorge Mario Bergoglio" per riferirsi alla elezione del successore di Pietro, del vicario di Gesù Cristo, fa un certo effetto in un periodico cattolico. Insomma preti che scrivono con lo stile dell'Espresso.

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    1. Forse si alludeva alla Mafia di S.Gallo che......

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  3. Con tutta la stima per S.E. il card Parolin, che considero un uomo di Dio, spero che il futuro Papa sia eletto non tra i padri citati... anche perchè i primi che vengono lanciati sono quelli che perdono il treno...
    Io prego che prima di tutto sia un sacerdote autentico, uomo di Dio, di retta fede cattolica, fuori dai giochi di Curia, dalle ideologie di progressisti e tradizionalisti... poi il resto sarà tutta grazia...

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