La testimonianza di un missionario in vari Paesi africani, l'amico don Joao Silveira, dove la gente si trova a suo agio con la liturgia tradizionale, perché "ha tempo per Dio". A riscoprirla, anche grazie al web, sono soprattutto i giovani.
QUI il suo intervento al convegno liturgico di Roma dello scorso ottobre
Luigi
Stefano Chiappalone, La Nuova Bussola Quotidiana, 6-11-23
Tradizione e missione: un binomio vincente, confermato dall’esperienza sul campo di padre João Silveira, un sacerdote portoghese, missionario della Santa Croce, ordinato nel 2022, che svolge il suo apostolato in vari Paesi africani. Padre João ne ha parlato durante il convegno svoltosi a Roma, nel contesto del XII pellegrinaggio del Populus Summorum Pontificum, che dal 27 al 29 ottobre ha radunato i fedeli legati alla liturgia tradizionale. Una testimonianza – di cui il blog Messainlatino.it ha offerto un’ampia sintesi – decisamente in controtendenza rispetto a una diffusa e malintesa concezione dell’inculturazione che finisce piuttosto per “tribalizzare” la Messa, scambiando il culto per un laboratorio di antropologia culturale. E invece il rito romano antico si rivela inaspettatamente fecondo anche tra i popoli di nuova evangelizzazione e in terra di missione, come padre João racconta a La Bussola.
Padre João, prima di parlare del suo ministero in Africa, lei personalmente come ha scoperto la liturgia tradizionale?
Ho scoperto la Messa tradizionale nel 2012, quando sono andato a Roma per studiare teologia. Certo, già ne conoscevo l’esistenza, ma non avevo mai avuto l'opportunità di sperimentarla direttamente. Vivevo in Portogallo, dove la Messa tradizionale non esisteva e quasi nessuno ne parlava, nemmeno i sacerdoti più conservatori. A Roma ho iniziato a frequentarla ogni giorno. Superata la mia iniziale ignoranza, mi sono reso conto che questo rito mi permetteva di pregare di più durante la Messa. Mi sono reso conto, inoltre, che i gesti e le parole del sacerdote manifestavano una maggiore sacralità e spiegavano meglio la dottrina del Sacrificio della Messa. Infine, ho capito che il Santissimo Sacramento era maggiormente adorato e custodito.
Quando ha vissuto per la prima volta il contatto tra l’Africa e il rito antico?
Durante il Pellegrinaggio Summorum Pontificum a Roma nel 2018, Christian Marquant [presidente di Paix Liturgique e del Coetus Internationalis Summorum Pontificum, ndr] mi ha “sfidato” ad andare in Angola e ho accettato. Christian e Paix Liturgique volevano dimostrare che la Messa tradizionale non è qualcosa di prevalentemente francese, nordamericano o occidentale, ma che c'era una richiesta di questa liturgia in tutto il mondo. Dal momento non avevano informazioni sull’Angola a questo proposito, pensarono che sarebbe stata una buona idea inviare un portoghese a vedere la situazione concreta.
In Angola nessuno conosceva la liturgia tradizionale, eppure si è trattato di una scoperta positiva ed entusiasmante. Può raccontarla?
A quel tempo, all'inizio del 2019, per quanto potevo sapere solo una piccola percentuale di cattolici angolani conosceva il rito antico. E lo conoscevano grazie a internet. Erano soprattutto i giovani, probabilmente per il loro maggiore uso della tecnologia rispetto agli anziani, a sapere dell'esistenza della “Messa in latino” e a volerla frequentare. Tuttavia, tutti coloro con cui ne ho parlato si sono dimostrati aperti e interessati, sia i fedeli, sia i sacerdoti o lo stesso arcivescovo. E questa mancanza di pregiudizi, insieme all'enorme pietà, è stata la cosa che più mi ha colpito del primo rapporto che ho stabilito tra gli africani e la liturgia antica.
Durante il convegno lei ha citato un missionario francescano che riteneva la liturgia tradizionale adattissima allo spirito africano. Dunque, essa non costituisce un elemento “estraneo” per loro?
Ho incontrato questo missionario francescano spagnolo, che aveva già una certa età, nel settembre 2019, durante la visita del Papa a Maputo (Mozambico). Mi ha detto che per quelle persone è normale trovarsi in sintonia con il rito antico perché hanno tempo per Dio. Per andare a Messa la domenica, molte persone camminano per ore. Non importa loro se la Messa dura due ore, tre ore o più. Non guardano l'orologio. Non hanno altri impegni. Il tempo che trascorrono lì è dedicato a Dio e questa è la cosa più importante per loro. Quel missionario mi ha anche detto che ogni volta che torna in Europa è angosciato da quanto poco tempo le persone riservano a Dio: hanno sempre altro da fare. La domenica non è più per Dio.
Qual è attualmente la situazione, specie dopo le restrizioni imposte da Traditionis Custodes?
L'amore per la Messa tradizionale sta crescendo in tutto il mondo, soprattutto tra i giovani, e l'Africa non fa eccezione. In tutto il continente si stanno formando nuovi gruppi per lo studio della liturgia e della dottrina cattolica perenne. Il motu proprio Traditionis Custodes paradossalmente ha favorito questa crescita perché ha finito per pubblicizzare la Messa antica così che anche molti che non la conoscevano ne hanno sentito parlare. D'altra parte, ci sono alcuni prelati e sacerdoti – per rigorosa obbedienza o perché hanno ricevuto ordini diretti dalle autorità romane – che sono diventati feroci oppositori del rito antico dopo la pubblicazione di questo documento. Tuttavia, in generale, il clero non odia il rito antico, né assume un atteggiamento ideologico al riguardo.
E a noi europei, cosa dice l’entusiasmo degli africani per la liturgia romana classica?
Direi che dovremmo imparare da questi africani a credere nel soprannaturale. Non soltanto quando andiamo in chiesa o quando preghiamo, ma nella vita di tutti i giorni. La fiducia in Dio di chi sa di averne bisogno per sopravvivere quotidianamente si manifesta in una pietà che si alimenta maggiormente del culto pubblico di Dio, cioè la liturgia. Allora, se ci rendiamo conto di quanto queste persone desiderino la liturgia tradizionale e dell'amore che manifestano a questa forma rituale quando hanno la possibilità di viverla, sicuramente apprezzeremo ciò che abbiamo relativamente vicino a casa e che invece disprezziamo o non sfruttiamo come potremmo.