Nelle ultime settimane abbiamo avuto modo di toccare con mano verso quali orizzonti la minoranza al potere stia spingendo la Chiesa Cattolica. Con il Responsum del Card. Fernandez «riguardo alla possibile partecipazione ai sacramenti del battesimo e del matrimonio da parte di persone transessuali e di persone omoaffettive» (ved. qui e qui), da un lato, e, dall’altro, la rimozione di Mons. Strickland dalla guida della Diocesi di Tyler (ved. qui e qui), abbiamo avuto due esempi pratici di che cosa sarà la Chiesa rimodellata dalla sinodalità: abbiamo potuto vedere in concreto che la sinodalità consisterà nel mettere tutto in discussione affinché tutto rimanga sempre in discussione, specialmente sul piano dottrinale e morale; e poiché essere cattolici sinodali significherà non avere nulla di dottrinalmente e moralmente definitivo, chi riterrà suo dovere difendere quod ubique, quod semper, quod ab omnibus non potrà essere Vescovo in questa Chiesa.
Poiché non ci sarà più nulla di incrollabile attorno al quale identificarci come cattolici, l’unico elemento di unità sarà l’essere sudditi ciecamente obbedienti del potente di turno, totalmente omologati al suo pensiero. Il Papa diverrà sovrano assoluto proprio nel senso negato da Benedetto XVI nella sua omelia per la Messa di insediamento sulla Cathedra Romana (7 maggio 2005: ved. qui e qui), quando diceva «il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo». Togliete il “non” dalle frasi in cui lo ha messo Papa Ratzinger, e trasferitelo nelle frasi affermative, e avrete il Papa della Chiesa sinodale. E per capire ancor meglio, ripetete l’esercizio anche su questo passaggio: «il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode».
Forse non dobbiamo vedere tutto questo come cosa totalmente futura. Già in questo pontificato, nel quale si inizia a parlare di un inedito e specialissimo carisma papale che non riguarderebbe «il senso più statico» del deposito della fede, ma sarebbe costituito da «un dono vivo e attivo, che è all’opera nella persona del Santo Padre» (teoria del Card. Fernandez: ved. qui), sembra talora che essere cattolici significhi aderire al pensiero del Papa solo e proprio perché il suo pensare e il suo volere sono legge. Esso diventa pensiero unico non in virtù dell’unicità della Verità, ma nel senso che è l’unico pensiero cui si dia agibilità politico-teologica nella Chiesa: la Chiesa deve allinearsi totalmente a ciò che vuole il Papa, cui si attribuisce il potere di rimodellare attivamente i contenuti della fede; chi non lo fa, anche in ciò in cui finora è parso lecito dissentire, anche in ciò che finora ha costituito il depositum fidei “in senso statico”, è fuori. La volontà cui conformarsi, però, non essendo misurabile in termini di permanentemente vero o permanentemente falso, né di permanentemente giusto o permanentemente sbagliato, né, soprattutto, in termini di continuità o rottura, può cambiare nel tempo e, così, essere cattolici sinodali può significare dover pensare oggi il contrario di quello che pensavi ieri e anche di quello che dovrai pensare domani, ogni qual volta il Papa pensi (anzi: voglia) oggi il contrario di quello che pensava (anzi: voleva) ieri e di quello che penserà (anzi: vorrà) domani.
Nella chiesa sinodale, alla fine, essere cattolici significherà non avere alcun pensiero, ma essere solo acriticamente e ciecamente obbedienti al potere. Avremo la sostituzione dell’opportunità politica - se non, banalmente, del puro capriccio arbitrario - alla certezza del dogma, e la vera assolutizzazione del potere papale. Intendendolo, per di più, in termini estremi: come la capacità di decidere, senza alcun vincolo, addirittura fino a sciogliersi dal principio di non contraddizione, ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è buono e ciò che è cattivo, ciò che va creduto e ciò che può non credersi più, per il solo fatto che, in un certo momento, chi detiene il potere voglia che una certa cosa sia vera e da credersi, potendo poi liberamente, domani, volere che sia falsa e da dimenticare.
In questo modo, però, si ribalterebbe il rapporto tra potere e Verità, e il primo non sarebbe più a servizio della seconda, ma la seconda, persa la “V” maiuscola, diverrebbe mero strumento di esercizio del primo: sarebbe l’autorità – cioè il potere – a costituire la verità, non la verità a fondare l’autorità. Il papato finirebbe allora per prendere davvero tutte le caratteristiche negative che gli furono sempre falsamente attribuite dai suoi nemici. La Chiesa cattolica diverrebbe protestante non solo e non tanto nel senso di aderire agli errori del protestantesimo, ma di corrispondere alla fallace caricatura che di essa facevano Lutero e compagni.
Enrico Roccagiachini
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