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lunedì 16 ottobre 2023

Il Sinodo parla da solo. Ma intanto in Italia due giovani su tre non credono più in Dio #sinodo

Effetto Francesco?
E intanto al Sinodo si accomodano sui tavoli simil-bingo (QUI) e i briefing sinodali hanno 70 partecipanti su youtube.
Come a Berlino nell'aprile 1945.
QUI The Pillar sui documenti sinodali secretati.
QUI Diane Montagna: Nonostante il rifiuto dei responsabili del sinodo di condividere [i nomi dei membri dei piccoli gruppi], il Registro ha ottenuto un elenco di chi aveva partecipato a uno dei piccoli gruppi questa settimana, uno dedicato a discutere su come far sentire  le persone omosessuali benvenute nella Chiesa”.
Luigi

Settimo Cielo, Sandro Magister, 11-10-23

C’è una distanza abissale tra le questioni dibattute attorno ai trentacinque tavoli del Sinodo sulla sinodalità – stando ai suoi resoconti ufficiali – e ciò che accade fuori dalle mura vaticane, nella vita reale, in questo “nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento”.
Le parole citate sono di Benedetto XVI, nella memorabile lettera che egli scrisse ai vescovi il 10 marzo del 2009.
“Il vero problema in questo nostro momento della storia – scriveva quel papa – è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più”.

Da qui quella che egli indicava come “la priorità che sta al di sopra di tutte”, per l’intera Chiesa e in primo luogo per il successore di Pietro: “rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto”.

Di questa “priorità” nel Sinodo non c’è traccia. E ciò proprio mentre sono divenuti pubblici i risultati di un’inchiesta che registra un vero e proprio crollo della religione cattolica in Italia, la nazione di cui papa Francesco è il primate.

L’inchiesta è stata promossa dalla rivista “Il Regno”, voce nobile del cattolicesimo progressista italiano, ed è stata presentata il 6 ottobre a Camaldoli, nel celebre monastero benedettino, da Paolo Segatti, docente di sociologia politica all’Università di Milano, e da Arturo Parisi, 83 anni, già docente della stessa materia nell’Università di Bologna, grande analista del cattolicesimo italiano, poi anche uomo politico e ministro della difesa dal 2006 al 2008.

Una precedente, analoga inchiesta era stata compiuta da “Il Regno” nel 2009. Ed è dal confronto tra l’una e l’altra che emerge con evidenza lo spegnersi progressivo della fede in Italia.

Richiesti di dire a quale religione appartengono, quelli che si sono dichiarati cattolici sono calati in quattordici anni dall’81,2 al 72,7 per cento, e così gli aderenti ad altra confessione cristiana, ortodossa o protestante, dall’11,7 al 7,9.

Viceversa, quelli che si dicono non credenti o atei sono cresciuti dal 6,2 al 15,3 per cento.

Fin qui il declino della religione è marcato, ma non si può parlare di crollo. Quando però agli intervistati si sono poste domande più precise sulla loro fede, quelli che hanno mostrato di credere in Dio sono calati dal 72 al 57 per cento, mentre quelli che manifestamente non credono in Dio sono cresciuti dal 26 al 36 per cento.

Questo significa che anche tra chi ancora si dichiara cattolico ce n’è un buon numero che non crede più in Dio.

La pratica religiosa, naturalmente, riflette questo declino della fede. Quelli che dicono di andare in chiesa tutte le domeniche sono calati dal 28 al 18 per cento. Quelli che ci vanno due o tre volte al mese dal 16 al 10 per cento; una volta al mese dal 14 al 9. (Ma si tenga presente che un’altra recente inchiesta di Euromedia Research per “Il Timone” ha riscontrato solo un 13,8 per cento di italiani che vanno a messa la domenica).

Viceversa, sono cresciuti dal 23 al 26 per cento quelli che in chiesa vanno solo due o tre volte all’anno, e dal 19 al 37 per cento quelli che non ci vanno mai.

Ma i dati più impressionanti sono quelli che incrociano la pratica religiosa e la fede in Dio con le classi di età.

Tra quelli che vanno in chiesa ogni domenica il calo è forte tra i nati prima del 1945 e più moderato nelle generazioni di mezzo. Ma tra i nati dopo il 1980 la presenza alla messa domenicale è ormai crollata al 7 per cento.

E ancor più marcato è il calo di quelli che hanno fede in Dio, che tra i nati negli anni Ottanta sono ora al di sotto del 50 per cento, mentre tra i nati dopo il 1990 sono ancora di meno, attorno al 37 per cento.

Se poi si torna a quel 15,3 per cento di italiani che si dichiarano esplicitamente non credenti o atei, l’incrocio col sesso e l’età fornisce anche qui dati impressionanti.

Tra gli uomini la quota arriva al 22,5 per cento, come media di tutte le età.

Ma tra gli uomini nati negli anni Ottanta si arriva al 32 per cento, e per quelli nati dopo il 1990 al 35 per cento.

Mentre anche tra le donne di queste classi di età l’impennata è forte, fino rispettivamente al 23 e al 31 per cento.

L’indagine è ricca di molti altri dati, che saranno esposti e commentati sul prossimo numero di “Il Regno”.

Ma se questo è il linguaggio crudo della realtà, in una nazione come l’Italia che all’inizio del millennio era ancora guardata come grande “eccezione” cattolica alla secolarizzazione imperante in Occidente, si può solo sperare che il sinodo in corso cominci, almeno, ad ascoltarlo.

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