Ancora sul nostro post sulla liturgia "leopardata" (QUI e QUI), magari fatta anche senza cattiveria, ma indice di un disastro liturgico ma anche antropologico: "Occorre tuttavia ringraziare mons. Girasoli per aver dimostrato involontariamente che il re è nudo (anzi, leopardato). E il re è una liturgia cattolica costantemente "personalizzata" dall'attore di turno. A chi si illudesse che basti (solo) censurare la Messa leopardata o altre stravaganze senza andare alla radice, si dovrebbe rispondere citando Orietta Berti: «Hai risolto un bel problema e va bene così / Ma poi me ne restano mille...», quante sono le celebrazioni in cui il rito è sistematicamente condito e alterato da fervorini sociologici, convenevoli, girotondi, cartelloni e quant'altro scaturisca dall'inesauribile fantasia del celebrante".
Luigi
Borgo Pio, 16-9-23
La mania di personalizzare il rito talora tocca vertici di cattivo gusto, ma è inutile prendersela col singolo caso dimenticando la radice. L'improbabile paramento di mons. Girasoli rivela che "il re è nudo" (anzi leopardato).
Nella blogosfera liturgica riecheggia l'ultima bizzarria (che non la si può definire altrimenti) e, malgrado le apparenze, non siamo nella savana, bensì a Ruvo di Puglia.
A giudicare dal look potremmo definirla Missa maculata, quella officiata da mons. Nicola Girasoli, nunzio apostolico in Slovacchia (insomma, non un quidam de clero), con indosso una vistosa casula leopardata (o animalier, che dir si voglia). E solo quella: al di sotto del bizzarro paramento spunta direttamente il clergyman, senza neanche un camice (l'amitto non scomodiamolo neppure, tanto la chiusura a zip lo ha reso ormai ignoto in molte sacrestie). «Eh sì che Sua Eccellenza sa come vestirsi da Vescovo», commenta il blog Messainlatino postando anche una foto in cui si vede il presule con tanto di ferraiolo. A conferma del fatto che certe trovate non riguardano solo qualche prete particolarmente ideologizzato, ma lasciano trasparire una mentalità più diffusa.
Con questo singolare paramento usciamo dall'ambito della liturgia per entrare direttamente nel regno del kitsch. Occorre tuttavia ringraziare mons. Girasoli per aver dimostrato involontariamente che il re è nudo (anzi, leopardato). E il re è una liturgia cattolica costantemente "personalizzata" dall'attore di turno. A chi si illudesse che basti (solo) censurare la Messa leopardata o altre stravaganze senza andare alla radice, si dovrebbe rispondere citando Orietta Berti: «Hai risolto un bel problema e va bene così / Ma poi me ne restano mille...», quante sono le celebrazioni in cui il rito è sistematicamente condito e alterato da fervorini sociologici, convenevoli, girotondi, cartelloni e quant'altro scaturisca dall'inesauribile fantasia del celebrante. A raccoglierle tutte si potrebbe comporre una Wunderkammer: una camera delle meraviglie o, meglio ancora, delle bizzarrie.
Poveri "Poveri" tirati in ballo per motivare ogni stranezza
Borgo Pio, 20-9-23
Dopo le foto di mons. Nicola Girasoli rivestito di casula leopardata, dalla pagina Facebook della Cattedrale di Ruvo giunge una dichiarazione. Che non convince.
«In riferimento alle foto pubblicate su questo profilo in data 7 settembre 2023. Date le interpretazioni particolari e sui generis, si precisa che la casula indossata per la celebrazione, fa parte della espressione locale della liturgia ufficiale dei popoli poveri africani di cui il Celebrante si è sempre interessato con passione nel suo mandato pastorale. Tale casula è stata indossata per ringraziare il Signore in merito alla costruzione di una casa per i più bisognosi di quei territori. Ci rendiamo conto che i commenti irrispettosi sono dovuti alla non conoscenza. Ora, Vi preghiamo di rettificare le interpretazioni non consone».
Una spiegazione che non spiega. Innanzittutto non si capisce a quale liturgia far riferimento, non esistendo un messale di questi imprecisati «poveri popoli africani» (quali? Zimbabwe? Kenya? Pare un po' stereotipato fare di tutta l'Africa un fascio, tanto è sconfinato il continente nero). Anche volendo far riferimento al rito zairese, non risulta che preveda di celebrare con clergyman a vista, senza neanche un camice sotto (e quale che sia la casula sopra): più che di povertà, l'insieme parla di improvvisazione o di sciatteria. Cercando in giro foto di vescovi africani, se ne trovano parati meglio e con maggior senso della liturgia (talora la cosiddetta "inculturazione" andrebbe fatta al contrario, lasciando che i missionari occidentali si lascino insegnare il senso del sacro che presso alcuni popoli conta ben più che da noi).
Veniamo alla casula "maculata": il problema non è la "macula". Qualcuno si è appigliato (invano) a un paramento con inserto "leopardo" indossato dal Papa in Mozambico: quella però era una casula vera e propria e chiaramente riconoscibile come tale. Qui finisce lo sforzo di scavare tra le norme e le prassi liturgiche poiché a un certo punto si impongono l'evidenza e il buon (o cattivo?) gusto. Quella mise (quantomeno «sui generis», volendo rispedire al mittente le parole del comunicato) sembra adatta a qualche signora desiderosa di farsi notare più che a un vescovo di Santa Romana Chiesa.
Tanto di cappello di fronte all'impegno per i poveri e tralasciamo pure il fatto che questi poveri "Poveri" (si perdoni il gioco di parole) vengono sempre tirati in ballo per giustificare ogni stravaganza clericale. Ma un povero dal look animalier non si è mai visto in giro.
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