Purtroppo siamo nella situazione descritta nel titolo.
Luigi
Settimo Cielo, 7-6-23
È passata quasi inosservata, ma la dichiarazione congiunta della Chiesa cattolica e del Gran Rabbinato d’Israele emessa in maggio a Gerusalemme su “ciò che è proibito, consentito, obbligatorio” con i malati terminali, ha confermato che le due tradizioni religiose continuano ad essere solidali nel tener fermo il rifiuto dell’eutanasia.
In tempi come gli attuali, ci vuole del coraggio per sostenere che “non tutto quello che è tecnicamente realizzabile sia anche etico”. La spinta della cultura dominante a far cadere ogni resistenza è fortissima. Eppure entrambe le parti hanno mostrato di non voler deflettere nemmeno di poco dalle loro precedenti prese di posizione, compresa quella definita “storica” del 2019 “delle tre religioni abramitiche”, islam compreso, contro “l’eutanasia attiva e il suicidio medicalmente assistito”.
Le delegazioni che in maggio hanno firmato la dichiarazione congiunta erano presiedute la cattolica dal cardinale Kurt Koch e l’ebraica dal gran rabbino Rasson Arussi.
Il principio cardine che impone il rifiuto dell’eutanasia è per entrambe le parti il rimando a Dio “creatore e signore di ogni vita”, creata “secondo l’immagine divina” e quindi non assegnabile, per quanto riguarda il suo valore e la sua durata, al dominio di qualsiasi persona o gruppo umano.
Mentre invece dallo stesso principio cardine deriva “l’importanza di cure palliative e di ogni possibile sforzo per alleviare dolori e sofferenze”.
Nella dichiarazione si dà anche notizia che a Gerusalemme “le delegazioni sono state ricevute dal direttore generale dell’Ospedale Shaare Zedeq, dove hanno potuto constatare le modalità di trattamento di malati terminali, in conformità ai principi sopra enunciati”.
Ma resta da vedere quanto tutto ciò sia effettivamente condiviso, sia nel mondo ebraico, sia nella Chiesa cattolica.
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Dentro la Chiesa, infatti, non si è affatto spenta l’eco della presa di posizione a favore di una legge pro-eutanasia in discussione nel parlamento italiano, espressa nel gennaio 2022 dal teologo moralista Carlo Casalone su “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma pubblicata con il previo controllo riga per riga del papa e della segreteria di Stato.
In quell’articolo Casalone riconosceva sì che la legge in discussione divergeva dal magistero della Chiesa cattolica “sulla illiceità dell’assistenza al suicidio”, ma proseguiva sostenendo – e citando a suo favore papa Francesco – che “la valutazione di una legge dello Stato esige di considerare un insieme complesso di elementi in ordine al bene comune”, e concludeva che, per prevenire leggi ancora peggiori, tanto valeva approvare la legge in discussione, a suo giudizio “non contrastante con un responsabile perseguimento del bene comune possibile”.
Va detto che poche settimane dopo, il 9 febbraio 2022, in un’udienza generale del mercoledì dedicata a san Giuseppe “patrono della buona morte”, papa Francesco si espresse pubblicamente con parole molto nette contro il suicidio assistito e altre forme di eutanasia, respingendo le tesi de “La Civiltà Cattolica” pur senza mai citarla.
E va aggiunto che anche la rivista “Il Regno”, voce autorevole dell’ala progressista della Chiesa, per la penna del giurista Luciano Eusebi, si oppose senza cedimenti alla legge in discussione nel parlamento italiano.
Ma ciò non toglie che l’eutanasia sia comunque divenuta, nei vari gradi della Chiesa cattolica, una questione disputata, con le varie posizioni pro e contro tutte in campo come materia di discussione.
Esattamente come sta avvenendo, in forme ancor più libere da vincoli, su altre questioni della morale cattolica. Ad esempio, da ultimo, sull’enciclica di Paolo VI “Humanae vitae” e la sua condanna della contraccezione artificiale, che ha visto contrapporsi da un lato, in difesa dell’enciclica, il cardinale Luis Francisco Ladaria, prefetto del dicastero per la dottrina della fede, e dall’altro, per una rilettura molto evolutiva della stessa enciclica, il presidente della pontificia accademia per la vita Vincenzo Paglia, affiancato a sua volta dal cardinale Matteo Zuppi, meno netto ma altrettanto allusivo a variazioni.
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Su alcune questioni, insomma, le posizioni classiche della Chiesa cattolica in materia morale possono trovare più consenso in campo ebraico che in casa propria, come s’è visto nel caso dell’eutanasia.
A conferma di questo è illuminante ciò che disse papa Benedetto XVI nel discorso prenatalizio alla curia romana del 21 dicembre del 2012, l’ultimo del suo pontificato.
Per criticare a fondo sia gli attuali attacchi alla famiglia sia il “gender” come “nuova filosofia della sessualità”, Benedetto non trovò di meglio che citare a proprio sostegno il gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim.
Ed ecco che cosa disse in quell’occasione papa Joseph Ratzinger, parola per parola:
“Il gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini.
“Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: ‘Donna non si nasce, lo si diventa’ (‘On ne naît pas femme, on le devient’). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma ‘gender’, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela.
“Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: ‘Maschio e femmina Egli li creò’ (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà.
“La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria.
“Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo”.
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Vita, famiglia, sesso non sono questioni marginali, nella vita della Chiesa. Il disorientamento che la pervade ha molto a che fare con la crescente babele su questi temi.
Josef Seifert, austriaco, è un insigne filosofo cattolico che ha fondato nel 2017 una “Accademia Giovanni Paolo II per la vita umana e la famiglia”, alternativa alla pontificia accademia per la vita pilotata da Paglia. Si dice molto preoccupato per questa deriva della Chiesa cattolica e per il silenzio con cui anche chi dovrebbe parlare non reagisce. I quattro cardinali dei famosi “dubia” sono stati gli ultimi, dice, che “hanno parlato con chiarezza contro simili errori e l’oscuramento dell’insegnamento cattolico”.
E perché questo silenzio sia rotto ha inviato questa primavera una lettera-appello a tutti i cardinali. Confida che Dio infonda in loro, almeno in alcuni, “il dono del santo coraggio”.