Dopo avervi proposto il testo integrale – ieri, pressoché «in diretta» – dell’«Instrumentum laboris» per la Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (QUI), alcuni commenti (seri ma non troppo) a prima lettura (QUI), una ironica vignetta (QUI) e le riflessioni di Luisella Scrosati (QUI), vi proponiamo l’analisi di Stefano Fontana pubblicata oggi sulla Nuova Bussola Quotidiana.
L’articolo evidenzia che è stato presentato ieri l’Instrumentum Laboris per il Sinodo che inizierà il prossimo 4 ottobre, all’insegna del “cammino” ma senza méta. L’unica cosa certa è che si tratta di un “processo” aperto a qualsiasi conclusione, anche la più rivoluzionaria. Alla verità si sostituisce la relazione.
L.V.
È stato reso noto ieri e presentato in conferenza stampa il testo dell’Instrumentum Laboris del Sinodo sulla sinodalità che inizierà il prossimo 4 ottobre 2023 e durerà ben due anni. Si tratta del documento di lavoro per i sinodali, dopo l’esaurimento delle varie fasi preparatorie che, a loro volta, avevano prodotto altri documenti. Cosa possiamo capire dell’aria che tira leggendo questo documento di lavoro? L’impressione sintetica che se ne ricava è che si tratta di un testo “liquido”, incerto sui principi, aperto alle strumentalizzazioni, passibile dei più diversi esiti. Le indicazioni per i sinodali riguardano una serie di atteggiamenti da assumere e non delle verità da seguire, delle prassi da attuare e non delle convinzioni da difendere e proporre, delle relazioni da tenere e non delle verità da far proprie.
Come si sa, non è per niente chiaro cosa si intenda per “sinodalità”. Il cardinale Burke ha ricordato che si sa che la Chiesa è “una, santa, cattolica e apostolica”, come si recita nel Credo, non si sa invece cosa voglia dire che è sinodale. La Chiesa ha al proprio interno anche una dimensione di collegialità, ma non per questo è collegiale, così ha anche una dimensione di sinodalità, ma non per questo è sinodale. Teologicamente, l’idea è incerta e vaga. Perfino autori teologicamente moderati, come il curatore dell’ultimo numero della rivista della facoltà di teologia della Santa Croce, Miguel de Salis, riconoscono che non si è oggi “del tutto attrezzati per formulare una visione coerente e completa dell’argomento”.
L’unica cosa che oggi viene proposta come certa – anche dal documento di cui parliamo – è che la sinodalità è un processo, un cammino. Stabilire cosa altro sia, oltre a questo, è affidato al processo stesso, il processo appunto del sinodo sulla sinodalità. Lo si stabilirà strada facendo, essendo essa in progress, è una idea itinerante, e quindi sempre processuale e inconclusa. La sinodalità è, in altre parole, una esperienza storica, continua, inesauribile e, possiamo anche aggiungere per indicare meglio l’origine filosofica di questa visione, dialettica.
Per questo motivo l’Instrumentum laboris spiega le caratteristiche della Chiesa sinodale mediante il ricorso all’esperienza fatta da chi è stato coinvolto nelle varie fasi preparatorie, diocesane, nazionali e continentali [si è trattato, in realtà, di una minoranza infinitesimale del “popolo di Dio” e per di più composta da ceti ecclesiali scelti appositamente, ma non è questo il punto che qui interessa, pur non essendo insignificante].
L’esperienza è un processo e durante questi appuntamenti preparatori, secondo gli estensori del nostro documento, sono state via via maturate da tutti alcune idee sulle caratteristiche di una Chiesa sinodale. Ora, quella di esperienza è la nozione filosofica e teologica più vuota e vaga che esista, ed è anche molto pericolosa quando le si assegna un significato di evento dello Spirito. Il fatto di incontrarsi e di partecipare ad un processo viene caricato di un significato rivelativo di una comunicazione divina. Si rimane molto colpiti dai tanti passaggi dell’Instrumentum Laboris in cui il “sentire” (l’esperienza, possiamo tornare a dire) dei partecipanti alle varie fasi del processo preparatorio viene chiamato abusivamente, o almeno troppo frettolosamente, ascolto della voce dello Spirito.
Siccome la sinodalità è ritenuta un processo frutto di una attiva partecipazione del popolo di Dio e quindi una esperienza attiva e di prassi, il documento di lavoro del sinodo caratterizza la “Chiesa sinodale” proprio tramite degli atteggiamenti da assumere, delle prassi da realizzare. Una di queste è l’ascolto: la Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto. Un’altra è l’umiltà: la Chiesa sinodale è una Chiesa che sa di avere molto da imparare. Una terza è l’atteggiamento dell’incontro e del dialogo con tutti (naturalmente anche in riferimento all’emergenza ecologica). Arriva poi la caratteristica di una Chiesa che non ha paura della verità di cui è portatrice, ma la valorizza senza costringere all’uniformità (una Chiesa plurale, vien da pensare… ma quanto plurale?). Poi non poteva mancare una Chiesa accogliente e aperta a tutti. Infine, la caratteristica più stravagante: una Chiesa in contatto con la sana inquietudine dell’incompletezza.
Non si faticherà a constatare l’assenza di consistenza teologica di queste espressioni. Per questo possiamo dire che l’instrumentum laboris è un testo “liquido” che, come tale, rimane aperto ad ogni conclusione, anche le più rivoluzionarie. Un testo in riferimento al quale possiamo aspettarci di tutto.
Un caso? No, perché il cuore di tutto è il processo, in cui la sinodalità consiste. La liquidità favorisce il processo, la sostituzione della verità con la relazione, il come che diventa prioritario sul cosa e sul perché. L’Instrumentum è come un trailer di un film di cui nessuno conosce la trama e nessuno sa come andrà a finire. Il regista ha voluto così in modo da avere la possibilità di indirizzarlo durante il suo corso, quando la sinodalità farà emergere una nuova “opinione pubblica ecclesiale” titolare del nuovo munus docendi.
Se fosse un sinodo di Vescovi lo rispetterei. Ma a codesta accozzaglia di personaggi presi "a caso occhiutamente" e privi di qualunque rappresentatività, nego a priori qualsiasi legittimazione.
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