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giovedì 23 febbraio 2023

Il pensiero sociale di Benedetto XVI. Introduzione alla lettura della Caritas in veritate #benedettoxvi

L’arcivescovo Mons. Héctor Aguer è stato vescovo di La Plata, in Argentina, fino al compimento dei suoi 75 anni, dopo di ché è stato subito sollevato dall’incarico. Qui egli produce un profondo commento dell’enciclica sociale di Benedetto XVI.
Luigi

Osservatorio Van Thuan, 6-2-23, Mons. Hector Aguer 

1. Situazione storica

Con l’enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI ha voluto commemorare il quarantesimo anniversario del documento di Paolo VI sullo sviluppo umano integrale, pubblicato nel 1967. L’attuale pontefice riprende il procedimento con cui la dottrina sociale della Chiesa è stata esposta fin dall’inizio del suo formulazione moderna di Leone XIII nella sua celebre enciclica Rerum novarum. L’aggiornamento periodico di questo insegnamento è stato verificato attraverso successive commemorazioni del testo leoniano: l’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI (1931), il discorso di Pio XII La solennità (1941), l’enciclica Mater et Magistra (Giovanni XXIII, 1961), la lettera apostolica Octogesima adveniens(Paolo VI, 1971) e le encicliche Laborem exercens (1982) e Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II . La suddetta serie mostra la continuità di una tradizione caratterizzata dalla dinamica fedeltà a un’ispirazione originaria: la dottrina sociale della Chiesa è, come sottolinea Benedetto XVI, un insegnamento unico, coerente e insieme sempre nuovo. L’enciclica Populorum progressio rappresenta in un certo senso l’inizio di una nuova tappa: inserita nella grande corrente della Tradizione, può essere considerata la Rerum novarum dell’era contemporanea, soprattutto perché affrontava i problemi di un mondo che iniziava un vertiginoso processo di unificazione. Quel testo, infatti, ha già dato vita a due commemorazioni che ne hanno offerto un ampliamento e un aggiornamento delle proposte e che disegnano, nella continuità della dottrina sociale cattolica, una nuova serie di documenti: quarant’anni dopo, Caritas in veritate (2009 ) segue il cammino aperto da Giovanni Paolo II nel ventennale con la sua Sollicitudo rei socialis (1987).

Benedetto XVI ci presenta nella sua enciclica una rilettura, un’interpretazione della Populorum progressio considerata nella grande corrente della Tradizione ecclesiale, inserita in essa. La dottrina sociale cattolica può essere compresa solo nella continuità della vita della Chiesa: il fondamento trasmesso dagli Apostoli ai Santi Padri, poi approfondito dai Dottori cristiani, ha costituito gradualmente un corpus di dottrine esposte dai Sommi Pontefici. L’evoluzione omogenea di quell’insegnamento gli permette di illuminare con una luce che non muta i nuovi problemi che si presentano secondo le mutevoli condizioni storiche. È importante notare questa osservazione: Non ci sono due tipi di dottrina sociale, una preconciliare e l’altra postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo (n. 12).

Secondo l’interpretazione presentata nella Caritas in veritate , nell’enciclica di Paolo VI emergono due grandi verità. La prima consiste in una verifica circa la missione essenziale della Chiesa e la sua proiezione temporale: la Chiesa, con tutto il suo essere e agire, quando annuncia, celebra e agisce nella carità, tende a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo. Già all’inizio del XX secolo san Pio X lo aveva affermato ne Il fermo proposito : la Chiesa, predicando Cristo crocifisso, è diventata la prima ispiratrice e artefice di civiltà. L’altra verità centrale si riferisce alla definizione di sviluppo: quello autentico riguarda la totalità della persona, tutte le sue dimensioni, compresa quella religiosa; senza Dio non c’è sviluppo degno dell’uomo. Senza la prospettiva della vita eterna – commenta Benedetto XVI – il progresso umano in questo mondo è senza fiato.

Lo sviluppo è concepito come una vocazione dell’uomo: implica l’apertura all’assoluto perché l’uomo è incapace di darsi il senso ultimo della sua esistenza, ma richiede anche la libera responsabilità della persona. È necessario rispettare la verità : fare, conoscere e avere di più per essere di più; promuovere tutti gli uomini e tutto l’uomo. Il centro dello sviluppo è la carità , le cause del sottosviluppo non sono principalmente materiali, ma fallimenti di pensiero e volontà. Nel superamento del sottosviluppo, che non è un caso o una necessità storica, è in gioco la responsabilità delle persone e dei popoli, che devono impegnarsi nella ricerca di un nuovo umanesimo.

2. Il principio fondamentale

Il principio della carità nella verità è esposto nell’introduzione dell’enciclica benedettina con riferimento alle radici bibliche dei termini e al loro radicamento nella filosofia cristiana. L’articolazione della carità e della verità Non è un gioco di parole, ma dà luogo a una contemplazione metafisica sulla realtà dell’uomo e del suo destino. La carità e la verità sono riferite alla loro fonte suprema, che è in Dio; da essa scaturisce la naturale inclinazione dell’uomo, la sua vocazione, alla verità e all’amore. L’amore è una forza divina, tanto più Dio – il Dio Uno e Trino – è amore. La verità, alla luce della ragione e della fede, è la natura delle cose e dell’uomo secondo il progetto creatore e secondo la redenzione operata da Cristo. Il titolo dell’enciclica allude alla frase paolina alethéuontes en agápe (Ef 4, 15): adeguarsi alla verità nell’amore, verificare tutto nell’economia della carità; ma lo assume anche nel senso opposto e complementare: intendere, valorizzare e praticare la carità alla luce della verità. In conformità al suddetto principio, si afferma al paragrafo 32 che nuove soluzioni devono essere ricercate nel rispetto delle leggi proprie di ciascuna cosa e alla luce di una visione integrale dell’uomo che rifletta i vari aspetti della persona umana, considerata con lo sguardo purificato dalla carità. Se il principio dell’amore e della verità non è pienamente assunto, finisce per fermare il vero sviluppo umano e persino impedirlo.

Non va ignorata l’influenza agostiniana sul pensiero di Benedetto XVI. Verità e carità implicano il contatto intellettuale e affettivo dell’uomo con Dio, che è la sua misura trascendente. Il Papa espone, al paragrafo 34 e in nota a piè di pagina, l’insegnamento di sant’Agostino sul “significato interiore” che esiste nell’animo umano: un’azione che si compie al di fuori delle normali funzioni della ragione, un’azione anteriore alla riflessione e quasi istintivo, per cui la ragione, realizzando la sua condizione transitoria e fallibile, ammette sopra di essa l’esistenza di qualcosa di esterno, assolutamente vero e certo. Il nome che sant’Agostino a volte assegna a questa verità interiore è quello di Dio, ma più spesso quello di Cristo. L’enciclica è profondamente teologica: tutti gli elementi che intervengono nello sviluppo dell’uomo e gli aspetti principali della globalizzazione sono riferiti, attraverso la libertà e la responsabilità morale, alla verità e all’amore di Dio. Le radici teologiche del pensiero si vedono chiaramente nell’introduzione, e anche, soprattutto, nel capitolo VI, in cui si opera un discernimento sull’attuale progresso tecnologico in relazione alla nozione genuina di sviluppo. Lì si pone la questione del vero umanesimo, che non può che essere un umanesimo cristiano. Una precisa applicazione si trova alla fine del paragrafo 75: Mentre i poveri del mondo continuano a bussare alla porta dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più questi colpi alla sua porta, a causa di una coscienza incapace di riconoscere ciò che è umano. Dio rivela l’uomo all’uomo; ragione e fede collaborano quando si tratta di mostrargli il bene, purché lo voglia vedere; La legge naturale, in cui risplende la Ragione creatrice, indica la grandezza dell’uomo, ma anche la sua miseria, quando ignora la pretesa della verità morale.

Un’altra eco della presenza agostiniana nella riflessione di Benedetto XVI si trova nei rapporti che si possono stabilire tra la città dell’uomo e la città di Dio. Secondo il pontefice, la carità si occupa della costruzione della città dell’uomo secondo le esigenze del diritto e della giustizia, ma poiché la carità supera la giustizia, la città dell’uomo richiede di stringere relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. L’azione temporanea dell’uomo, ispirata dalla carità e da essa sostenuta, contribuisce alla costruzione della città universale di Dio verso la quale la storia avanza. In una società in via di globalizzazione, il bene comune deve abbracciare l’intera famiglia umana; Così la città dell’uomo sarà dotata di una forma di unità e di pace che la renderà prefigurazione e anticipazione della città di Dio.

Il legame inscindibile tra verità e carità appare frequentemente nel testo dell’enciclica. La carità nella verità è sapienza, capace di guidare l’uomo alla luce dei principi primi e del suo fine ultimo. Se ogni azione sociale implica una dottrina, l’integrazione dei diversi saperi va ricercata in un’ordinata interdisciplinarietà “condita” con il “sale” della carità. La dottrina sociale della Chiesa ha una dimensione interdisciplinare con caratteristiche sapienziali: fede, teologia, metafisica e scienze sociali si coniugano in essa per offrire una sintesi guida che permette pesare adeguatamente tutti i termini della questione dello sviluppo e della soluzione dei problemi socio-economici (n. 31).

3. La questione antropologica

Paolo VI aveva notato come fatto contemporaneo alla pubblicazione della Populorum progressio che la questione sociale aveva acquisito una dimensione mondiale. Benedetto XVI estende e aggiorna questa osservazione affermando che la questione sociale è diventata radicalmente una questione antropologica. (#75). Vale a dire, ciò che è in gioco oggi è un’idea dell’uomo; l’autentica concezione dell’uomo, la verità su di lui, è stata messa a rischio. Di fronte all’avanzare di un riduzionismo tecnologico che scardina la complessa realtà umana e la spoglia della sua dimensione trascendente, l’enciclica segnala la necessità di affrontare i nuovi problemi con un atteggiamento realista e fiducioso, non ideologico, e indica il cammino verso una nuova sintesi umanista. . Si tratta di esaminare oggettivamente la dimensione umana del tema dello sviluppo e non ridurre lo sguardo agli aspetti socioeconomici e tecnologici. L’uomo non può fare a meno della sua natura, soprattutto quando deve prendere decisioni che incidono sul suo destino. È lui il primo capitale che va salvaguardato e adeguatamente valorizzato, come autore, centro e fine della vita economica e sociale. Proprio una corretta idea dell’uomo, fondata sulla metafisica e sulla teologia, è essenziale per stabilire in che cosa consista l’autentico sviluppo. Valga, a questo proposito, questa citazione dal n. 29: L’essere umano non è un atomo perso in un universo casuale, ma una creatura di Dio, a cui ha voluto donare un’anima immortale e che ha amato per sempre. Se l’uomo fosse solo frutto del caso o della necessità, o se dovesse ridurre le sue aspirazioni al ristretto orizzonte delle situazioni in cui vive, se tutto fosse solo storia e cultura, e l’uomo non avesse una natura destinata a trascendere se stesso in una vita soprannaturale si potrebbe parlare di accrescimento o evoluzione, ma non di sviluppo. Una visione ristretta della persona e del suo destino, come quella che vige in alcuni Paesi “sovrasviluppati”, è causa di un “sottosviluppo morale” che danneggia lo sviluppo autentico, soprattutto quando questo modello viene esportato nei Paesi poveri attraverso relazioni commerciali e politiche.

Sottolineiamo un altro aspetto di particolare interesse: al paragrafo 53 il Papa utilizza una doppia citazione di san Tommaso d’Aquino per illustrare come la comunità non assorba la persona, annullandone l’autonomia, come se facesse parte di un tutto. Questa affermazione, che ha valore di principio, vale analogicamente per comprendere l’inserimento dei popoli nella famiglia umana universale. I rapporti tra le persone e tra i popoli si illuminano se contemplati in riferimento al Modello divino: il rapporto tra le Persone della Trinità che sono un solo Dio. Quindi, le scienze sociali non sono sufficienti; il ricorso alla metafisica e alla teologia è necessario per cogliere la dignità trascendente dell’uomo e le condizioni del suo sviluppo integrale.

4. Attuali problemi di sviluppo

Nel secondo capitolo della Caritas in veritate , Benedetto XVI si chiede fino a che punto le attese espresse da Paolo VI si siano realizzate nel modello di sviluppo che ha prevalso negli ultimi decenni. La questione si può formulare così: l’uomo meramente tecnologico non è in grado di porsi obiettivi realistici e di compiere un processo di sviluppo integrale. Il problema non è solo e soprattutto tecnico, ma morale e antropologico. Non basta progredire solo dal punto di vista economico e tecnologico; sarebbe necessario riconsiderare completamente il senso dello sviluppo e adottare un nuovo modo di progettarlo. Quando il profitto è stabilito, il profitto, come obiettivo esclusivo dell’attività economica, senza riferimento al bene comune come fine ultimo, lo è corre il rischio di distruggere la ricchezza e creare povertà. In questo principio di discernimento si può percepire l’eco di un insegnamento permanente della Tradizione ecclesiale, fondato sulla Sacra Scrittura, e la sua critica all’avidità, all’avarizia e all’usura; Basti ricordare l’affermazione di san Paolo: la radice di ogni male è l’avidità del denaro (1 Tim. 6, 10).

Pur avendo ottenuto successi parziali, lo sviluppo economico è stato ed è tuttora afflitto da deviazioni e problemi drammatici che si sono palesati nella recente crisi finanziaria mondiale e nelle sue conseguenze economiche e sociali. Possiamo rilevare una serie di difetti persistenti: 1. Attività finanziaria speculativa, abusata, che ha danneggiato l’economia reale. 2. Flussi migratori causati e non adeguatamente gestiti. 3. Lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra. 4. Sebbene la ricchezza mondiale sia cresciuta in termini assoluti, sono aumentate anche le disuguaglianze; nei paesi ricchi ci sono aree povere e nuove forme di povertà, e nei paesi poveri l’esistenza di gruppi che godono di un sovrasviluppo consumistico e dispendioso. 5. Corruzione e illegalità nelle azioni di soggetti politici ed economici, sia nei paesi ricchi che in quelli poveri. 6. Imprese multinazionali e gruppi produttivi locali che violano i diritti dei lavoratori. 7. La deviazione degli aiuti internazionali dalle finalità corrispondenti a causa dell’irresponsabilità di donatori e beneficiari. 8. Forme eccessive di tutela del sapere da parte dei Paesi ricchi, soprattutto in campo sanitario. 9. La globalizzazione dei mercati e la conseguente concorrenza ha portato ad una riduzione degli ammortizzatori sociali (questo difetto impone la necessità di un riadattamento delle organizzazioni sindacali). 10. Mobilità del lavoro e deregolamentazione diffusa, disoccupazione e sue conseguenze. undici.

Paolo VI faceva appello alla responsabilità dei poteri pubblici, poiché l’attività economica e la funzione politica si muovevano entro gli stessi confini, cioè negli ambiti nazionali. Al momento, il suo ruolo dovrebbe essere rivisto e il suo potere valorizzato in modo più adeguato; In questo contesto, Benedetto XVI ritiene prevedibile il rafforzamento delle nuove forme di partecipazione alla politica nazionale e internazionale che passa attraverso l’azione delle organizzazioni della società civile , ed esprime l’auspicio che vi sia una maggiore attenzione e partecipazione alla “res publica ” dai cittadini (n. 24)

Nell’attuale valutazione del problema dello sviluppo, è importante sottolineare l’importanza dei fattori sovraeconomici e sovratecnologici. Una valutazione spirituale dello sviluppo consente di riconoscere che il massiccio aumento della povertà relativa non solo provoca disordini sociali, ma ha anche un impatto negativo sul piano economico perché erode il capitale sociale, l’insieme di relazioni di rispetto delle norme, affidabilità e fiducia che sono necessarie per una corretta convivenza civile. La convergenza tra scienza economica e valutazione morale mostra l’opportunità di un’economia veramente umana (cfr n. 32).

L’approccio spirituale allo sviluppo tiene conto di fattori culturali e religiosi che influenzano potentemente le decisioni umane. Sottolineiamo tre questioni affrontate nell’enciclica. Un suggerimento importante: il cammino di solidarietà verso lo sviluppo dei Paesi poveri può essere un progetto di soluzione per l’attuale crisi globale (n. 27). Infatti, il sostegno finanziario in senso solidale favorirebbe la crescita economica e può contribuire a sostenere la capacità produttiva dei paesi ricchi. Invece della guerra, lo sviluppo della solidarietà. Questo è un problema di atteggiamento, di validità della verità nella carità. Un’altra questione è l’importanza del rispetto per la vita. Il Papa propone di allargare il concetto di povertà includervi i delitti contro la vita umana: la mortalità infantile, il controllo demografico attraverso la contraccezione e l’aborto, la mentalità antinatalista, la sterilizzazione, l’eutanasia, l’aiuto condizionante all’adozione di politiche sanitarie che impongono il controllo delle nascite (n. 28). Terzo, la negazione del diritto alla libertà religiosa. In questo campo spiccano da un lato il terrorismo e il fanatismo di ispirazione fondamentalista; dall’altra, la programmazione dell’indifferenza religiosa o dell’ateismo pratico che, ignorando Dio come garante del vero sviluppo dell’uomo, priva i popoli dei beni spirituali e autenticamente umani (n. 29).

5. Verso un’economia umana

Benedetto XVI espone e applica nella sua enciclica il principio della gratuità: l’essere umano è fatto per il dono, che manifesta e sviluppa la sua dimensione trascendente (n. 34). Questo principio viene a illuminare un’oscura inclinazione della cultura moderna verso l’autosufficienza: l’uomo tende a considerarsi l’unico autore di se stesso, della sua vita e della società. Il pontefice suggerisce un’interpretazione teologica di questo difetto e allude alla dottrina cattolica sul peccato originale: da lì la presunzione, la chiusura egoistica, la ricerca della felicità e della salvezza nelle forme immanenti dell’organizzazione sociale. In questo contesto si afferma: da molto tempo l’economia fa parte dell’insieme degli ambiti in cui si manifestano gli effetti perniciosi del peccato .

Ma un altro orientamento è possibile nella vita economica, politica e sociale; è fornito dalla logica del dono. Nella misura in cui il principio della gratuità viene accolto come espressione di fraternità, lo sviluppo diventa autenticamente umano. L’enciclica offre una valutazione positiva del mercato, ma propone anche una rilettura della sua natura, perché sia ​​possibile scoprire lo spazio che corrisponde alla logica del dono. In quanto istituzione economica, il mercato è governato dai principi della giustizia commutativa, ma questo schema è insufficiente per il suo corretto ed efficiente funzionamento: necessita di forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca che assicurino l’indispensabile coesione sociale. È questo valore che è venuto meno nella recente crisi. L’attività economica deve essere ordinata per raggiungere il bene comune e perché tale ordine sia rispettato occorre superare la mera logica commerciale. Quando il mercato diventa un’area in cui i più forti sopraffanno i più deboli – e questa non è una circostanza fortuita, ma l’effetto di un’ideologia – frustra la sua vera natura e si disumanizza. Il problema non risiede nel mercato stesso, che è uno strumento, ma nell’uomo, nella sua coscienza morale, nella sua responsabilità personale e sociale. L’ordinaria attività economica può accogliere, nei rapporti di mercato, la logica del dono, il principio della gratuità. Recenti studi sull’importanza del fattore umano nell’economia mostrano che il cambiamento suggerito è una domanda attuale della società. Tuttavia, Benedetto XVI indica chiaramente che lo esige la stessa ragione economica, la verità dell’economia. Ciò che si propone non è la rassegnazione a produrre valore economico, ma ad esercitare una gestione mossa da principi diversi dal mero profitto.

È nella società civile che possono trovare spazio varie forme di economia libera . Insieme all’azienda privata orientata al profitto, e ai diversi tipi di azienda pubblica, devono svilupparsi organizzazioni produttive con finalità mutualistiche e sociali, da cui risulti una combinazione e interazione, nel mercato, di questi diversi comportamenti aziendali. Insomma, è una forma concreta e profonda di democrazia economica (n. 38).

Il principio vale sia per il mercato che per l’attività politica: la logica del mercato e la logica dello Stato devono includere margini di gratuità e di comunione. È troppo chiedere che in questi ambiti appaiano persone capaci di aprirsi ai doni reciproci? Le gravi distorsioni che incidono sulle dinamiche economiche internazionali richiedono profondi cambiamenti nel modo di intendere l’impresa (n. 39). La “delocalizzazione” dell’attività produttiva e il mercato internazionale dei capitali esigono una più ampia responsabilità sociale: l’investimento non può guardare solo all’interesse dei titolari dell’azienda, che possono costruire l’impianto produttivo e spostarlo in un altro territorio. Va notato che questo fenomeno ha anche una dimensione morale, poiché compromette la sorte dei lavoratori, dei fornitori, dei consumatori, dell’ambiente e in qualche modo anche della società nel suo insieme. Lo stesso si può dire della volatilità dei cosiddetti capitali “rondini”.

Benedetto XVI presenta un approccio molto sfumato al fenomeno della globalizzazione, non una concezione fatalistica o deterministica di quel processo. Se ne riconoscono i rischi e le disfunzioni, ma si registrano anche le sue enormi possibilità. In quanto fenomeno umano, ha una dimensione morale; pertanto è opportuno favorire un orientamento di carattere personale e comunitario, criteri di razionalità, comunione e partecipazione che consentano di superare tendenze individualiste e utilitaristiche.

Il contributo dell’enciclica Caritas in veritate si aggiunge, in perfetta continuità, all’insegnamento che l’attuale pontefice ha sviluppato nelle due precedenti: Deus caritas est (2005) e Spes salvi (2007) e anche all’insegnamento di Giovanni Paolo II II. Evidenziamo, in conclusione, quattro note da tenere in considerazione per una corretta lettura di questo documento che affronta una problematica vasta e complessa:

1. Benedetto XVI ci offre una visione delicatamente graduata dei problemi economici, politici e sociali contemporanei; non è una visione apocalittica, ma piuttosto fiduciosa. Egli non pone una nuova utopia, ma un ideale, l’ideale antico e sempre nuovo di una cultura cristiana in cui si realizza il meglio dell’humanitas .

2. La carità nella verità , principio guida del discorso, implica uso corretto della ragione, rigorose abitudini di pensiero, apertura alla trascendenza, purificazione mediante la fede del logos politico e sociale .

3. È notevole il ruolo decisivo attribuito nell’enciclica alla società civile. In termini ecclesiali significa un appello alla protagonismo dei laici e alla loro partecipazione impegnata nei centri dell’attività economica, sociale e culturale e negli ambiti delle decisioni politiche.

4. L’insegnamento della Caritas in veritate va inteso alla luce dell’orientamento fondamentale del pensiero di Papa Ratzinger: la centralità dell’adorazione, del riferimento a Dio. Di qui il valore politico della fede, della speranza e della carità: la società umana non può essere costruita senza Dio, la sua provvidenza e il suo amore.

+ HECTOR AGUER
Arcivescovo di La Plata