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venerdì 17 febbraio 2023

Carnevale romano e Mercoledì delle Ceneri: echi tridentini nei sonetti del Belli

Tra qualche giorno sarà Martedì grasso (21 febbraio 2023) e, il giorno dopo, Le Ceneri.
Ecco allora che riproponiamo due sonetti del Belli in cui rieccheggiano elementi dei riti tradizionali della liturgia ben noti a tutti, a quei tempi. (si veda nostro posto qui). 

Nella Roma del Belli la quaresima era una cosa seria: un controllo sociale molto stretto imponeva digiuni e astinenze anche a coloro che non avessero tanta voglia di osservare i precetti della Chiesa. Ma era una cosa “seria” anche il carnevale, che consentiva ai singoli – certo, a proprio rischio e pericolo, materiale e spirituale! – di operare scelte anche trasgressive, con una sorta di sospensione del controllo. Per un periodo ben delimitato, naturalmente: nella notte fra martedì grasso e il mercoledì delle Ceneri il carnevale finiva, senza proroghe o dilazioni.“Chi ha ffatto ha ffatto”, ammonisce il titolo di un sonetto del 17 gennaio 1833, che non lascia spazio all’immaginazione su quel che s’intendeva col generico verbo “fare”:

E ccurri, e bballa, e bbeve, e ffotte, e bbacia!
Ggià ssò ttutti scottati: ma stasera
da la padella cascheno a la bbracia.

Domani è la manguardia de le Messe
co la pianeta pavonazza e nnera,
domani ar Mementò-cchià-ppurvissesse.

[Siamo all’ultima notte: domani ci sarà “l’avanguardia”, cioè la prima delle Messe di quaresima, in paramenti violacei: “Memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris”.]


Le conseguenze di tanto “divertimento”, ammonisce sorridente il sonetto “La mammana in faccenne” (cioè: la levatrice affaccendata; 31 gennaio 1837), si vedranno di qui a nove mesi:

«Chi ccercate, bber fijjo?» «La mammana».
«Nun c’è: è ita a le Vergine a rriccojje».
«Dite, e cquanto starà? pperché a mmi’ mojje
je s’è rrotta mó ll’acqua ggiú in funtana».
«Uhm, fijjo mio, quest’è ’na sittimana
che jje se ssciojje a ttutte, je se ssciojje.
Tutte-quante in sti ggiorni hanno le dojje:
la crasse arta, la bbassa e la mezzana».
«E cche vvor dì sta folla?» «Fijjo caro,
semo ar fin de novemmre; e ccarnovale
è vvenuto ar principio de frebbaro.
Le donne in zur calà la nona luna
doppo quer zanto tempo, o bben’o mmale
cqua d’oggni dua ne partorissce una».

[La levatrice non c’è, ridacchia una vicina di casa: è andata in via delle Vergini a “raccogliere”, cioè ad esercitare l’arte sua. Semplicemente, si trattava di una via (e di una zona di Roma) che prendeva il nome da un antico convento di suore: ma non sfugga l’accostamento beffardo, irriverente e maldicente.]

3 commenti:

  1. Belli era un poeta satirico; la chiesa, gli uomini di chiesa e lo stato papalino li prendeva sistematicamente per il didietro.
    Solo voi potevate distorcere la cosa e trasformarlo in un campione della tradizione.

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    1. Ma hai capito quello che hai letto? Qui non si parla di campioni della tradizione, si mostrano gli elementi della liturgia tridentina che affiorano nei sonetti del Belli!

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    2. E per forza che ci sono elementi della liturgia tridentina! Quella c’era.
      Tuttavia ne emerge un quadro ben diverso da quello che vorrebbero far passare i tradizionalisti odierni, che pensano che prima del concilio le messe erano frequentatissime da cattolici devoti che apprezzavano la liturgia e lavoravano alla loro santificazione, mentre spesso la gente si faceva i fatti propri, come testimoniato anche da tanti dipinti antichi. Io stesso ho avuto tra le mani libretti “devozionali” in cui c’era la formuletta da leggere per ogni momento della messa, visto che la gente né vedeva né sentiva niente, col prete girato di spalle, magari dopo due balaustre e dieci gradini, che borbottava sommessamente tanto che anche i chierichetti dovevano basarsi sui gesti perché non sentivano le parole.
      Una situazione assurda, con una liturgia completamente estraniata dai fedeli.
      Per carità, viva il Vaticano II! Senza se e senza ma.

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