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martedì 3 gennaio 2023

Il Card. Müller sintetizza il pontificato di Benedetto XVI: un grande teologo, scrittore coltissimo, oppositore dei preti pedofili, attento alla liturgia e un buon amico

di Franca Giansoldati de "Il Messggero", nel resoconto de "Il Simosgrafo"del 2.1.2023


Il cardinale Gerhard Mueller, tedesco come Ratzinger, già prefetto della Congregazione della Fede, viene raggiunto in Polonia dove si trova per un ciclo di conferenze. È addolorato e al telefono fatica a contenere l'emozione. «Sono ore difficili. 
Abbiamo perso una delle massime menti pensanti che la Chiesa contemporanea ha avuto. Uno dei teologi più importanti del XX e XXI secolo. Personalmente era un punto di riferimento e un amico vero».

Per cosa in particolare passerà alla storia Benedetto XVI?
«È stato un teologo capace di una chiarezza rara. Lascia un percorso di conoscenza sterminato. Come Prefetto della Congregazione della Fede ha scritto tra i più importanti documenti del pontificato di Giovanni Paolo II. L'entità della sua preparazione è racchiusa forse nelle sue encicliche, sulla carità, la fede, la speranza».

Quale è il suo ricordo personale più intenso?
«[...] Abbiamo avuto naturalmente tantissimi incontri accademici e teologici, capitava di affrontare tematiche complesse ma poi il nostro rapporto umano ci portava a sfiorare anche le cose personali, le persone conosciute in comune, le cose della mia vita e della sua vita. Insomma, era un buon amico».

Fu Benedetto XVI a chiamarla a Roma come suo successore alla Congregazione della Fede, perché volle proprio lei?
[...].

Lei ha curato la sterminata opera omnia di Joseph Ratzinger: quale è in buona sostanza l'attualità del suo pensiero?
«[...]
La linea di Agostino, Bonaventura, san Tommaso, Duns Scoto esistono in parallelo al contatto con il pensiero moderno. Ratzinger è riuscito a fare una trasposizione dei classici, filtrandoli in modo personale. È così che è riuscito a mettere a fuoco la debolezza del pensiero occidentale contemporaneo dovuto al relativismo etico. E allo stesso modo ha inquadrato altre sfide: penso al transumanesimo, la tentazione dell'uomo a farsi Dio, alla grande questione antropologica. Dove sta andando l'uomo? Che rapporto c'è con la Verità? Si è interrogato sugli effetti a lunga scadenza di quelle correnti che negano storicamente Dio. Una sua base di lavoro è stata la Dei Verbum, la costituzione conciliare. Ratzinger del resto è stato uno dei maggiori conoscitori del Vaticano II. È questo il centro del suo lavoro».

Perché è stato attaccato ferocemente in Germania, prima con le false accuse di avere fiancheggiato il nazismo da ragazzo e poi per la vicenda sulla pedofilia nella diocesi di Monaco?
«Ci si dovrebbe chiedere perché i tedeschi finiscono sempre per avere un atteggiamento anti-romano dai tempi della Riforma. Lo dico da tedesco. Hanno costruito su Ratzinger menzogne, ciclicamente smentite perché basate su elementi fallaci. Anche sulla vicenda di Monaco non ha mai mentito, non ha gestito male un caso di pedofilia. Ha gestito solo il caso di un prete che gli veniva mandato da una altra diocesi a curarsi da uno psichiatra di Monaco e ha provveduto a fornirgli una stanza in una parrocchia. La verità è salvezza e verrà fuori. Come Prefetto nessuno come lui ha combattuto la pedofilia e certamente questo è stato un elemento che può averlo reso ostile a tanti gruppi. Purtroppo quando ci sono pregiudizi è difficile abbatterli».

Quale è la riforma del suo pontificato?
«Lui avrebbe certamente voluto ricomporre lo scisma lefebvriano ma non c'è riuscito. Quello di Ratzinger è stato un pontificato riformatore, nel senso che ha approfondito la fede e l'ha attualizzata: su Cristo, il sacerdozio, la liturgia».

Lei ha avuto parole critiche sulle sue dimissioni, perché?
«Non volevo criticare lui per una decisione personale. Gli ho spiegato che mi trovavo in contrasto con la possibilità di dimissioni a 75 anni per i vescovi. Visto che anche il Papa è un vescovo valeva anche per lui. Le dimissioni creano diversi problemi a livello teologico in merito al principio dell'unità e le dimissioni del Papa hanno reso evidente questa distorsione. È vero che il Codice di Diritto Canonico contempla la possibilità, ma quando Benedetto XVI prese la decisione non tenne conto di tanti effetti. Le domande sono rimaste inevase sul tappeto».