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giovedì 26 gennaio 2023

Don Alessio Grossi di Ferrara, difende l'omosessualità e parla di «carisma omosessuale»

Sodomiti alla riscossa?
Adesso ci si mette anche don Alessio Grossi, del clero di Ferrara (e referente del Consultorio familiare!) e inviato dall’arcivescovo, mons. Giancarlo Perego che parla di «carisma omosessuale». 
La new wave della "Chiesa delle periferie"?
Luigi

Omosessualità: basta letture ideologiche della Dottrina


Si è svolta lo scorso 13 gennaio presso sala Voltini del Centro Culturale Cappuccini di Argenta una tavola rotonda sul tema «Dialogo: un ponte che unisce – È possibile un dialogo fra religioni e omosessualità?», patrocinato dal Comune. Tra i relatori, erano presenti il presidente Arcigay di Ferrara, Manuela Macario, il coordinatore del centro culturale islamico, Hassan Samid, e don Alessio Grossi, psicanalista e referente del Consultorio diocesano, parroco della chiesa di San Giacomo apostolo a Ferrara, inviato all’evento dall’arcivescovo, mons. Giancarlo Perego, a nome del quale ha ripetutamente dichiarato di parlare.
Il che complica un po’ le cose, specialmente in alcuni passaggi particolarmente critici dell’intervento di don Grossi. Ad esempio, laddove affronta quella che lui definisce, all’interno della Chiesa, «la posizione forse più conosciuta, quella più conservatrice, tradizionalista», come se, all’interno del Corpo Mistico di Cristo, vi fosse spazio in merito per l’opinione e non vi fosse invece già una dottrina unica ben codificata e consolidata, valida per tutti. Ebbene, il relatore ha specificato come, a suo avviso, tale «posizione» veda «non tanto nell’omosessualità quanto negli atti omosessuali un qualcosa contro natura», ma sbaglia nel bollarla come «ideologico-religiosa», fonte di «discriminazione» e tale da provocare «sofferenza in tante persone, in tante comunità, in tante famiglie». È vero proprio il contrario. Innanzi tutto, come precisa il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2357 è una posizione fondata «sulla Sacra Scrittura» e non è il frutto di un’ideologia, di alcun tipo. Inoltre, a differenza di quanto da lui dichiarato, anche le «tendenze omosessuali» vengono definite, in sé considerate, come un’«inclinazione oggettivamente disordinata» (Catechismo, n. 2358), benché certamente più gravi siano «gli atti di omosessualità» in quanto «intrinsecamente disordinati», «contrari alla legge naturale» ed, in quanto tali, certamente non da assecondare, né da “coccolare”. In questo senso, parlare – come fa don Grossi – di «carisma omosessuale» è veramente fuorviante, oggettivamente infondato e tendenzialmente scorretto, dando per scontato che don Grossi il Catechismo lo conosca.

Massimo rispetto e massima comprensione per la persona in quanto tale, come è sempre stato e come la Chiesa ha sempre fatto, persona da accogliersi «con rispetto, compassione, delicatezza», evitando «ogni marchio di ingiusta discriminazione», ma anche indicando con chiarezza la strada da percorrere, perché si possa essere e ci si possa dire davvero cattolici: «Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e, se sono cristiane, ad unire al sacrificio della Croce del Signore le difficoltà, che possono incontrare in conseguenza della loro condizione».

Già da qui appare allora infondata l’entusiastica uscita ad effetto di don Grossi all’inizio del proprio intervento: «La Chiesa Cattolica presenta posizioni molto diverse, a volte anche contrastanti». Non è vero: in quanto Chiesa, di posizione ce n’è una molto chiara, molto definitoria ed è quella contenuta nei due articoli del Catechismo citati, validi e vincolanti per tutti. Che poi i singoli fedeli possano avere le proprie idee, giuste o sbagliate che siano, è fatto che in sé non tocca la dottrina cattolica, che viceversa è unica.

Don Grossi definisce poi sbrigativamente «follie» le «terapie riparative», ma anche qui è bene capire di che cosa si stia parlando. Il percorso di cambiamento in genere proposto, in realtà, non consiste nell’estirpare, sopprimere o negare l’orientamento sessuale indesiderato, bensì in un processo di maturazione globale della personalità, in una migliore conoscenza ed accettazione dei propri limiti e delle proprie possibilità, in una vita di relazione più piena e non più dominata dalla paura e dalla vergogna. L’approccio clinico, quindi, può aiutare persone con – come si dice – un’«identità di genere» ferita, indipendentemente dal fatto che questo problema si manifesti con un’attrazione omosessuale o con un altro tipo di sintomo, come evidenziano vari tipi di approcci sviluppatisi soprattutto negli ultimi decenni. In ciò non vi è nulla di “folle”, nulla di strano, nulla di scandaloso, anzi rappresenta un valido aiuto proprio per elaborare quella capacità di relazione matura e quel riconoscimento di un’alterità, che lo stesso don Grossi auspica per le persone omosessuali. Una mano tesa, dunque, non un ostacolo. Così, quando il Catechismo spiega come la loro «inclinazione» costituisca «per la maggior parte di loro una prova» (n. 2358) non si tratta di gettare la croce addosso a nessuno, bensì di sollecitare una presa di coscienza ed un’assunzione di responsabilità verso sé stessi e verso gli altri, che fa crescere, che fa maturare, che migliora, non qualcosa di cui la Chiesa debba quindi «chiedere perdono», come don Grossi ha azzardato, specificando di accompagnare «in un cammino di fede anche alcune coppie, sia di uomini che di donne». Ora, se con ciò si riferisce a coppie omosessuali, di fatto don Grossi sta ripensando una morale slegata dalla dottrina. Il che, evidentemente, specie parlando da sacerdote e da inviato del suo Arcivescovo, non va bene. A maggior ragione quando giunga ad affermazioni, che suonano più come uno slogan che come una riflessione oggettiva, quale: «Anche le persone omosessuali sono capaci di generatività». Ecco, qui proprio non ci siamo, qui si va oltre, anzi contro il dato di fatto, il dato esperienziale. Di quale “generatività” si sta parlando? Lo stesso Catechismo chiarisce come le relazioni omosessuali precludano «all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati» (n. 2357). Ma – osserva don Grossi – «quante coppie anche eterosessuali non hanno figli ma possono vivere una dimensione generativa?». La realtà però è molto diversa. Ogni bambino ha bisogno di due figure sessualmente complementari ossia di un papà e di una mamma o comunque di due persone di riferimento di sesso diverso. A chi sostenga il contrario ha già risposto l’American College of Pediatricians, che, in una lettera inviata alla rivista Pediatrics, ha contestato le affermazioni a favore dell’omogenitorialità: «Troviamo questa posizione insostenibile – ha dichiarato – e, se attuata, gravemente dannosa per i bambini e la famiglia. Siamo contrari a questa posizione a causa dell’assenza di prove scientifiche a suo sostegno e delle potenziali conseguenze negative sui bambini. Concedere lo status di matrimonio legale alle unioni omosessuali sarebbe un tragico errore di calcolo, che porterebbe danni irreparabili alla società, alla famiglia e ai bambini». In realtà, salvo rare eccezioni, la ricerca finora condotta sull’omogenitorialità è di pessima qualità, segnata da un pressapochismo che pare spesso intenzionale e funzionale, nonché viziata da letture ideologiche dagli esiti scontati, preconfezionati e non obiettivi. In merito esiste tutta un’antologia di esempi, che sarebbe interessante citare, ma che rischierebbero di condurre troppo lontano rispetto agli spazi consentiti ad un articolo.

Infine, don Grossi ha fatto riferimento, durante il suo intervento, a due punti di un documento dal titolo Che cosa è l’uomo? Un itinerario di antropologia biblica, elaborato dalla Pontificia Commissione Biblica. Il primo punto si trova al n. 185, laddove si legge: «La Bibbia non parla dell’inclinazione erotica verso una persona dello stesso sesso, ma solo degli atti omosessuali»; ed ancora al n. 188 è scritto: «Non troviamo nelle tradizioni narrative della Bibbia indicazioni concernenti pratiche omosessuali né come comportamenti da biasimare, né come atteggiamenti tollerati o accolti con favore». Ma è proprio così? Vediamo un po’…

Lv 18, 22: «Non giacerai con un maschio come si fa con una donna, è una cosa abominevole».

Rom 1, 26-27: «Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in sé stessi la punizione, che s’addiceva al loro traviamento».

I Cor 6, 9-10: «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio».

L’elenco potrebbe continuare. Si tratta comunque di testi molto chiari e per niente vaghi o “possibilisti”, come parrebbe sostenere il documento della Pontificia Commissione Biblica, piaccia o non piaccia a don Grossi, per il quale la Sacra Scrittura biasimerebbe solo gli atti sessuali «violenti». Si è visto come, in realtà, non sia così, sul banco degli imputati vi sono gli atti omosessuali in quanto tali. Allora, approcciare questioni delicate e complesse come queste non deve compiacere le platee, raccogliere facili consensi, né strappare immediati applausi. Deve, invece, approfondire quelle verità già presenti nel testo sacro e, più in generale, nella dottrina e nella tradizione della Chiesa, aiutando chi si trovi nel bisogno piuttosto che aiutarlo a perdersi. Verità, che non sono dunque da inventare. Verità alle quali il fedele cattolico, più saggiamente, deve piuttosto conformarsi. Ed obbedire.

1 commento:

  1. Difficile iniziare un dibattito con chi pensa che tutto è già stato scritto, deciso e decretato nei piani alti. Posso solo suggerire di considerare l'esistenza, in questi ultimi ann, di un paradigma diverso e opposto a quello classico cattolico. L'emergenza, ormai plurisecolare di questo nuovo paradigma vi obbliga a due reazioni possibili: rigetto o stimolo per cambiare. Avete scelto il primo, ma vi invito a considerare che il paradigma storicistico e contestualizzatore ha argomenti a mio avviso più solidi del paradigma dogmatico. La contestualizzazione permette di prendere in conto elementi altrimenti ignorati, come una certa evoluzione nell'approccio dei fatti e permette di spiegare anche le contraddizioni. Col levitico, per esempio, le solite spiegazioni sull'importanza di alcuni versetti piuttosto che di altri non regge all'analisi testuale. E i biais cognitivi sono in agguato quando si predilige la spiegazione dogmatica che si vuole far combaciare ad ogni costo con l'interpretazione del testo. Ma mi fermo qui, mi premeva dire queste cose col massimo rispetto e con intenzione dialogante

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