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sabato 17 dicembre 2022

Pontificia Accademia vita e mons. Melina: «Il "bene possibile" rischia di essere il secondo nome del male»

Una densa riflessione sul tradimento dottrinale in Vaticano: «Quando si contraddicono i precetti morali che proteggono il significato oblativo della sessualità e della generazione umana, in realtà non si va solo oltre la lettera di una norma particolare, ma si va contro lo spirito e il senso della stessa legge che Dio ha scritto nel nostro cuore».
QUI e QUI Luisella Scrosati.
Luigi

Livio Melina, 08-12-2022, La Nuova Bussola Quotidiana


Andare avanti o tornare indietro? Il "nuovo" paradigma della teologia morale

Un “nuovo” paradigma
Il “Testo Base”, presentato nel volume [Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche, LEV, Città del Vaticano 2022] e molti dei commenti teologici pubblicati a suo sostegno, propongono come “progresso teologico” l’andare oltre l’osservanza letterale della norma (TB 172-173) insegnata finora dal Magistero, che ha definito come atti “intrinsecamente cattivi” la contraccezione e la procreazione artificiale, anche omologa, che prescinde dall’atto coniugale. In esplicita contraddizione con l’enciclica di san Giovanni Paolo II Veritatis splendor (cf. n. 78), gli autori affermano che non è possibile specificare moralmente un atto solo per il suo oggetto, ma che occorre considerare anche la singolarità delle circostanze e l’intenzione soggettiva di chi agisce e applicano questo principio anche agli atti intrinsecamente cattivi (TB 126-130).
In tale nuovo modello non si potrebbe dunque più considerare la contraccezione o la procreazione artificiale sostitutiva come atti sempre intrinsecamente cattivi, e quindi da evitarsi, ma si dovrebbe operare in coscienza un discernimento circostanziato. Le norme morali negative non rappresenterebbero più degli assoluti, ma solo un primo e lontano punto di riferimento per il giudizio soggettivo della coscienza. [...]
L’espressione “nuovo paradigma” fu lanciata dal Card. Walter Kasper, in un saggio, in cui egli fa un bilancio della prima recezione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia. Di fronte all’accusa di un mutamento di dottrina, il cardinale tedesco risponde: non è un cambiamento della dottrina, ma piuttosto un cambiamento di paradigma. […].
La suggestione del cambiamento di paradigma, proposta dal Card. Kasper per l’ermeneutica del Magistero, viene poi assunta dallo stesso papa Francesco nella costituzione apostolica Veritatis gaudium, dove al n. 3, la si raccomanda nella formazione teologica quale strumento per una “coraggiosa rivoluzione culturale”. Il sorprendente ricorso a tale concetto di matrice maoista e sessantottina, viene poi però temperato, ricollocando il cambiamento di paradigma nell’ambito della tradizione cattolica, con un riferimento a san Vincenzo di Lérins e al necessario sviluppo della dottrina che «annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate».
E tuttavia, se si prende in considerazione l’intera opera del monaco franco del V secolo, si vede bene come egli non parli mai di cambiamenti di rotta, che per lui sono invece segno distintivo degli eretici. [...]
Ma ora, dopo questo primo approccio ancora formale alla questione del cambiamento di paradigma, [...] occorre entrare ad esaminarne i contenuti determinati del “nuovo paradigma”. Al numero 109 del “Testo Base” vengono espressi i due tratti caratterizzanti, che riguardano in primo luogo il primato dell’ermeneutica nel nesso inscindibile tra antropologia ed etica, e in secondo luogo una nuova concezione della coscienza, nel nesso tra norma, discernimento e coscienza stessa. Su questi due punti dobbiamo dunque soffermarci per un’analisi critica.

Primato dell’ermeneutica e dissoluzione della legge naturale
Per cogliere la portata del nuovo paradigma occorre prestare attenzione ad una questione metodologica preliminare: la rivendicazione di un primato della pastorale sulla dottrina. È questo il passo auspicato per quella “conversione pastorale”, che dovrebbe investire anche la teologia, al fine da superare la dipendenza della pastorale dalla dottrina, in favore di una circolarità tra le due dimensioni, anzi di una partecipazione della prassi pastorale alla riformulazione della dottrina.
A ciò corrisponde sul piano teorico l’affermazione di un primato dell’ermeneutica nell’accesso alla verità e alle norme morali (cf. TB 104). L’agire si fonda sempre e solo su un interpretare storico, che non può che avere carattere di continua revisione e quindi di provvisorietà. […]. Così la verità non si dà in modo assoluto, ma si dissolve nelle molteplici situazioni ermeneutiche e nella relatività delle visioni del mondo storicamente condizionate. [...]
Ora nel “nuovo paradigma”, la legge naturale viene reinterpretata solo come ermeneutica - sempre storicamente e culturalmente condizionata - delle esperienze umane generali. L’accesso all’esperienza dell’“antropologico universale” (natura) sarebbe possibile solo nelle forme storiche, molteplici e variabili, delle culture. Respingendo l’idea che la legge naturale sia un sistema di principi immutabili e a-storici, nel “nuovo paradigma” viene affermata la sua storicità immanente, e dunque la necessità di una sua continua ermeneutica, che deve operare in due sensi. In primo luogo per ricostruire la genesi storica della norma, ricondotta a sintesi di esperienze particolari; in secondo luogo al fine di propiziare la comprensione attuale della norma nella cultura e nella situazione: essa dev’essere infatti intesa al di là del significato letterale, in vista della sua “praticabilità”. [...]

Ipertrofia della coscienza e negazione degli “assoluti morali”
L’asserito personalismo di questa reinterpretazione della legge naturale, rifiutando una concezione “data una volta per tutte” della sua natura, finisce coll’identificare riduttivamente il soggetto morale con la sua coscienza (cf. TB 110-114), risolvendo in essa ogni dato previo, che possa essere oggetto di conoscenza veritativa e normativa. Si tratta di una vera e propria ipertrofia della coscienza. [...]
La parola chiave per l’interpretazione del ruolo della coscienza nel “nuovo paradigma” è quella di “discernimento”, definito come “un continuo andirivieni tra ragionamento ed esperienza” (TB 124), nel quale la norma morale, [...] viene interpretata, nella luce delle molteplici e singolari circostanze della situazione, dalla coscienza. In effetti l’appello al discernimento diventa lo strumento per elaborare un’etica dell’intenzione e delle circostanze, che vanifica il primato dell’oggetto nella qualificazione morale degli atti umani (VS 78). [...]
Un altro concetto chiave, che caratterizza il “nuovo paradigma”, è quello di “bene possibile” (TB 104. 129), che era stato usato anche nell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia (n. 308). [...] Da un lato, infatti esso esprime l’idea del tutto tradizionale che solo ciò che è possibile può essere un bene che obbliga (ad impossibilia nemo tenetur). D’altra parte però, quando viene usata, come è il caso del Testo Base, in riferimento ad asseriti conflitti di norme, per affermare che esse costituirebbero solo un ideale troppo difficile da chiedere, allora, come giustamente ha osservato Angel Rodriguez Luño, «si corre il rischio di fare del bene possibile il secondo nome del male». [...]
E proprio qui si manifesta il punto più critico della proposta del “nuovo paradigma”. In nome di un personalismo equivoco e di un primato della coscienza esso nega la possibilità che si diano nella vita morale degli assoluti, cioè delle norme morali negative che per il loro contenuto intenzionale oggettivo sono incompatibili col bene della persona, cioè con le virtù morali e con la carità. Come insegna l’enciclica di san Giovanni Paolo II Veritatis splendor, al n. 78, tali atti, sono esclusi sempre e in ogni caso, perché contrari ai comandamenti di Dio, e non possono essere sottoposti ad un discernimento soggettivo della coscienza, che li permetta in via eccezionale come l’unico “bene possibile”.
Si vede così come ciò che smarrisce il sedicente “nuovo paradigma” è proprio il mistero dell’agire morale stesso, cioè quel nesso intimo tra la persona e il suo atto, per cui il soggetto agente, mediante le sue libere scelte non solo produce mutamenti nel mondo esteriore, ma muta se stesso, in qualche modo generando la propria identità etica. [...]

Andare “oltre” la lettera della legge?
Il documento della Pontificia Accademia per la Vita propone [...] una rilettura delle norme morali insegnate dal Magistero nell’enciclica Humanae vitae e nell’istruzione Donum vitae, riguardanti la contraccezione e la procreazione medicalmente assistita, in base alla quale il discernimento della coscienza potrebbe portare ad andare oltre la lettera della proibizione […].
Come si vede non si tratta qui solo di un’interpretazione che conferma il senso della norma morale, ma di una vera e propria messa in discussione dell’intera morale sessuale e della vita, che finora la Chiesa Cattolica ha insegnato. Le norme morali infatti [...] esprimono le esigenze di una verità sull’amore umano nel piano divino, che vede la sessualità umana come chiamata all’amore nel rispetto del linguaggio del corpo, nel dono di sé e nell’apertura al dono ulteriore della vita, che proviene da Dio.
Quando si contraddicono i precetti morali che proteggono il significato oblativo della sessualità e della generazione umana, in realtà non si va solo oltre la lettera di una norma particolare, ma si va contro lo spirito e il senso della stessa legge che Dio ha scritto nel nostro cuore e ci ha rivelato nella storia della salvezza.