Post in evidenza

Card. Arizmendi difende gli “adattamenti liturgici” per i Maya, scagliandosi contro i tradizionalisti: “Né Gesù né gli apostoli hanno celebrato con questo Messale tridentino”.

Ancora sul grottesco rito maya. Questa volta, purtroppo, da parte del card.  Arizmendi. " È qui che coglie l'occasione per attaccar...

mercoledì 28 dicembre 2022

Né madre né dea. Anche il canto gregoriano è contro la nuova idolatria della terra


Grazie a Sandro Magister per la pubblicazione di questa splendida riflessione del Maestro Fulvio Rampi.
Il gregoriano e il Salterio non conoscevano la Pachamama (QUI MiL), a differenza che a S. Marta.
Luigi

Settimo Cielo, 13-12-22
(s.m.) Tanto più in questo tempo di Avvento, la grande liturgia della Chiesa cattolica è letteralmente agli antipodi della nuova dilagante religione della natura, con la terra come dea madre.

I cieli “piovano il Giusto” e la terra “si apra e germini il Salvatore”. È questo che la Chiesa canta e spera, come farà tra pochi giorni col mirabile introito gregoriano “Rorate caeli” della quarta domenica di Avvento. La natura e l’uomo non hanno altra ragione ultima che in Dio loro Creatore e Salvatore.

Il canto gregoriano è espressione perfetta di questa visione biblica e cristiana della terra. Ed è ciò che spiega in questa pagina di Settimo Cielo il maestro Fulvio Rampi, grande esperto e cultore di questo canto secolare che fa tutt’uno con la liturgia cattolica, una liturgia il cui attuale offuscamento è in parte dovuto proprio all’imperdonabile abbandono del gregoriano.

Rampi insegna pre-polifonia al Conservatorio di Torino e dirige i “Cantori Gregoriani” e il “Coro Sicardo” di Cremona, dove è stato anche maestro di cappella della cattedrale. È uno dei maggiori gregorianisti al mondo, è autore di libri importanti, ha diretto e registrato una mole imponente di canti e le sue lezioni possono essere seguite sul suo sito web personale, in italiano e in inglese.

Buona lettura e buon ascolto degli otto brani musicali inseriti nel testo!

*
L’ECOLOGIA SECONDO IL CANTO GREGORIANO

di Fulvio Rampi

Ciò che identifica ogni canto gregoriano – quel “suono della Parola” che la Chiesa latina in termini esclusivi ha definito “suo” – è anzitutto la sua collocazione in un preciso momento celebrativo, a sua volta necessariamente e intimamente connotato sul piano estetico da testi propri e da uno specifico impianto stilistico-formale.

A ciò si aggiunga l’altrettanto essenziale dimensione diacronica, ovvero l’appartenenza a un tempo celebrativo, che situa ogni brano nel vivo del percorso cristologico scandito dall’anno liturgico.

Ma in questo immenso tesoro musicale è anche possibile intravedere fili rossi che attraversano e segnano il fluire del tempo liturgico, che collegano brani diversi a un tema ricorrente.

Uno dei fili che è possibile scorgere ha per tema la terra, ossia lo sguardo che il canto gregoriano riserva, per così dire, alla “questione ecologica”.

Il tema della terra è caro alla Sacra Scrittura, la quale ci insegna fin dal libro della Genesi che l’uomo e la terra sono posti da Dio in stretta relazione con Lui e tra loro. L’uomo è plasmato dalla terra, fatto di “polvere del suolo”, ma in lui Dio soffia il suo spirito. In aperta polemica contro ogni mito antico e nuovo che sacralizzi la dea terra come madre ancestrale, la sapienza biblica ricorda che l’uomo è sì terrigno, fragile frutto cadùco della terra, ma non ne è figlio, perché è creato da Dio.

Lontano da ogni idolatria, Israele e la Chiesa non celebrano dunque la terra in se stessa. Tutto è un tramite e un rimando che riconduce all’Uno da cui tutto proviene. Tutte le istituzioni e gli eventi della salvezza sono doni del potente soffio di Dio, che a partire dalla creazione dell’uomo continua a fecondare questa terra e la sua storia, facendola vivere e rivivere, oltre ogni sua possibilità. Il canto gregoriano, nel suo fluire lungo i tempi liturgici, conferma proprio questa chiave di lettura.

Già il “communio” della I domenica di Avvento, “Dominus dabit benignitatem,” si pone nella suddetta prospettiva. L’analisi di questo brano rivela il primato del soggetto, “Dominus”, messo in speciale evidenza dal melisma sulla sillaba finale di questa prima parola decisiva. Il Signore è il soggetto protagonista, dal quale ha origine tutto il seguito dell’antifona: la terra “dabit fructum suum”, darà il suo frutto, proprio perché “Dominus dabit benignitatem”.

“Dominus dabit benignitatem:
et terra nostra dabit fructum suum”.

Il salmo 84, da cui è preso il testo di questo “communio”, risuona anche nell’offertorio della III domenica di Avvento col versetto 2: “Benedixisti Domine terram tuam”, dove si può notare come la sottolineatura musicale su “terram” sia subordinata alla benedizione divina, citata proprio nell’apertura del brano.

“Benedixisti Domine terram tuam:
avertisti captivitatem Jacob:
remisisti iniquitatem plebis tuae”.

Il binomio uomo-terra, ampiamente sviluppato nell’Antico Testamento, trova soluzione in Gesù Cristo. L’incarnazione, infatti, manifesta un loro irreversibile legame al progetto salvifico di Dio. Il Figlio di Dio, il Verbo attraverso cui tutto è stato fatto – come recita il prologo del Vangelo di Giovanni – si fa uomo, ragione per cui la terra accoglie non più un’idea ma una Persona: non più la giustizia, ma il Giusto che la realizza; non più la salvezza, ma il Salvatore.

È ciò che viene proclamato nella IV domenica di Avvento con l’introito “Rorate coeli”, il cui testo originale tratto dal profeta Isaia è stato forzato in chiave cristologica da Girolamo, nella sua traduzione latina. In tal modo il dono di Dio, che l’Antico Testamento aveva identificato nel dono della terra, è trasferito alla persona di Cristo.

“Rorate caeli desuper, et nubes pluant iustum:
aperiatur terra, et germinet Salvatorem”.

Si arriva così alle tre messe di Natale, dove in tutti i rispettivi offertori viene citato il tema della terra con ampie sottolineature: “Laetentur coeli et exsultet terra” nella messa della notte; “Deus enim firmavit orbem terrae”, Dio ha reso salda la terra, nell’offertorio della messa in aurora; per infine proclamare nell’offertorio della messa del giorno: “Tui sunt caeli et tua est terra”.

Proprio la messa del giorno di Natale è il contesto in cui si rende più presente questo tema: nell’alleluia “Dies sanctificatus”, ad esempio, dove a un certo punto si canta: “Hodie descendit lux magna super terram”, ma soprattutto nel graduale e nel “communio”, che riprendono il medesimo rigo del salmo 97: “Viderunt omnes fines terrae salutare Dei nostri”, tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio. Con una particolare sottolineatura riservata proprio a “terrae” nella prima parte del “communio”.

“Viderunt omnes fines terrae
salutare Dei nostri”.

Con l’Epifania, al tema della terra si affianca il tema dell’adorazione. Va rimarcato il fatto che all’adorazione non sono chiamati solo i Magi, i re del mondo e le genti (come ci dicono l’alleluia, l’offertorio e il “communio”) ma la terra stessa, tutta la terra, chiamata anch’essa ad adorare il Signore.

Nella seconda domenica dopo l’Epifania, infatti, l’introito riprende il testo dal salmo 65: “Omnis terra adoret te, Deus”, tutta la terra ti adori, o Dio. La decisa sottolineatura musicale, sia melodica che ritmica, è precisamente sul verbo “adoret”: la terra, tutta la terra, è chiamata ad adorare Dio, in risonanza alla manifestazione e alla regalità celebrate qualche giorno prima nella solennità dell’Epifania.

“Omnis terra adoret te, Deus, et psallat tibi:
psalmum dicat nomini tuo, Altissime”.

È interessante come anche a Pasqua il tema della terra venga posto in evidenza. L’offertorio della messa del giorno ha inizio proprio con questa parola, abbinata ai due successivi verbi di segno opposto: “Terra tremuit et quievit”, la terra ha tremato e si è quietata.

“Terra tremuit et quievit,
dum resurgeret in iudicio Deus, alleluia”.

Il giorno dopo, “feria secunda” dell’ottava di Pasqua, l’introito riprende il tema con l’allusione all’esodo dall’Egitto e all’ingresso nella terra promessa in chiave cristologica: “Introduxit vos Dominus in terram fluentem lac et mel”, il Signore vi ha introdotti nella terra in cui scorrono latte e miele.

Il tempo pasquale è il tempo dell’alleluia, ossia del giubilo e dell’annuncio. Anche la terra vi partecipa, e ogni domenica di Pasqua, dopo la domenica “in albis”, contiene questo invito nei suoi canti propri, in particolare negli introiti.

È così per il gioioso introito in ottavo modo della III domenica, col testo del salmo 65: “Iubilate Deo omnis terra”. Il giubilo della terra trova radice e ragione nella misericordia, della quale il Signore ha riempito la terra stessa.

È quanto ci dice l’introito della IV domenica di Pasqua, con le parole del salmo 32: “Misericordia Domini plena est terra”. L’andamento melodico-ritmico di questa antifona è molto più contenuto dell’esuberante “Iubilate Deo” della domenica precedente: qui siamo in IV modo, il “deuterus plagale”, la stessa modalità tonica del sorprendente introito “Resurrexi” del giorno di Pasqua.

Nella V domenica di Pasqua torna il tema del giubilo, nell’offertorio che proclama: “Iubilate Deo universa terra”. E dopo la preparazione, l’adorazione, la misericordia, il giubilo, ecco il tema dell’annuncio che trova spazio nell’introito della VI domenica di Pasqua “Vocem iucunditatis annuntiate”: un gioioso annuncio destinato a raggiungere gli estremi confini della terra, “usque ad extremum terrae”, melodicamente espressi con i confini acuti della melodia dell’intero brano.

“Vocem iucunditatis annuntiate,
et audiatur, alleluia:
nuntiate usque ad extremum terrae:
liberavit Dominus populum suum, alleluia, alleluia”.

Il filo rosso che, a partire dall’Avvento, ha attraversato anche il tempo pasquale, raggiunge infine la Pentecoste, approdo definitivo di un percorso segnato dall’iniziativa divina sull’intero creato, solennemente riassunta nell’incipit del mirabile introito: “Spiritus Domini replevit orbem terrarum”.

“Spiritus Domini replevit orbem terrarum, alleluia:
et hoc quod continet omnia,
scientiam habet vocis, alleluia, alleluia, alleluia”.

Insomma, il canto gregoriano, costantemente sospeso tra cielo e terra, si fa voce nobile e umile (da “humus”, terra) proprio di questa sovrabbondanza di grazia. Sempre intonando la risposta conveniente e fatta propria dalla Chiesa.