Le pressioni
perché ci sia una Chiesa più moderna, più aperta allo spirito dei tempi, non
sono nuove. Così come non è nuova la tentazione di marginalizzare Dio dalla
storia, in quello che lo stesso cardinale ha definito, in una omelia per la
festa di San Lorenzo a Genova, un “ordine mondiale senza Dio”. La risposta, per
il Cardinale, è una sola: tornare al Vangelo e alle grandi domande.
Sono
cresciuto a Genova nel centro storico bombardato dalla guerra. Attorno alla
chiesa vi erano vicoli, piazza e
macerie, luoghi dove giocare. La gente
era semplice, non ricca e, in generale,
aveva il senso di Dio. Vedeva nella parrocchia lo spazio della preghiera, dell’accoglienza e
della carità. Anche la mia famiglia –
genitori e sorella – ogni mese riceveva un pacco di alimenti che aiutava il
bilancio. Da Arcivescovo di Genova, e
ancora oggi, vado spesso nei vicoli
,
incontro le persone, mi fermano, chiedono una preghiera, fanno una confidenza,
esprimono un parere o una domanda sul mondo di oggi. Ne ritorno sempre
arricchito di umanità e di fede. Mi sento confermato nel mio essere cristiano e
Pastore. Quelle persone non hanno, in genere, una particolare cultura, ma hanno
il buon senso e una fede non sofisticata.
Spero che il cammino sinodale, nella sua sostanza, sia come questo: che ci siano tante voci
genuine senza ideologie. Allora la
Chiesa, che si fonda sula Parola di Gesù Cristo non sulle nostre, sarà aiutata, e il cammino sinodale una benedizione.
A
volte si considera la responsabilità
nella Chiesa non come un compito pastorale che Gesù ha istituito con il
sacramento dell’Ordine, ma come un potere temporale. Questa visione falsa il concetto di partecipazione e di
corresponsabilità. Scatta la concorrenza che non può esistere. E’ una visone
non ecclesiologica, ma mondana. La sfida maggiore, per la quale è giusto che tutta la comunità
si senta più coinvolta, è l’annuncio del Vangelo all’uomo moderno, che sembra indifferente alla fede. Si tratta, quindi, di corrispondere, con maggiore
consapevolezza e più coralmente, al
mandato di Cristo: “Andate in tutto il mondo e predicate”. La missione è
chiara, non ammette sofismi. Non si tratta di colonizzare, ma di annunciare a
tutti ciò che tutti hanno il diritto di sapere: che Dio è amore e che Gesù è il
Salvatore che apre alla vita eterna. Questo,
però, non significa cambiare il Vangelo
e il patrimonio millenario della fede per il quale i martiri hanno dato il
sangue. A volte, in certi dibattiti, sembra che si cambino solo le parole , ma spesso
si cambia anche la sostanza. Il problema non è, come si dice, il linguaggio, ma
il nostro cuore: sarà il calore del nostro cuore a scaldare il cuore degli uomini. L’uomo è nostalgia di
infinito poiché il mondo gli è stretto, rincorre le cose pensando di colmare il
vuoto, ma resta deluso. Spera di vedere la luce in fondo al tunnel. Ne ha
diritto.
La
comunità cristiana non può mai mancare
di fiducia poiché il Signore ha detto: “Non temete, io sono con voi fino alla
fine del mondo”. Le situazioni in Europa sono diverse, dipendono dalla
storia e da circostanze sociali e
culturali. Ci sono comunità molto vive e coese, che hanno vissuto la
persecuzione e il martirio: lì il sangue ancora caldo dei martiri aiuta la fede
di oggi. Ci sono altre comunità che a
volte, di fronte al diffondersi del secolarismo che è vivere come se Dio non ci fosse, sembrano tentate da un senso di scoraggiamento. Ovunque, la fede è viva nei
cuori, le comunità devono crescere nella comunione e nello slancio missionario.
Bisogna anche non lascarsi ingannare dalla narrazione prevalente: non c’è più
bisogno di Dio, l’uomo si autosalva con il progresso e la tecnologia. La realtà
dice diversamente, poiché l’uomo occidentale può anche essere benestante e
organizzato, ma non è felice. Sente che
gli manca qualcosa che non dipende da lui, ma che può solo invocare dall’alto.
Intuisce che può essere soddisfatto per molte cose, ma può perdere se stesso,
può avere successo ma fallire la vita. Esserne
consapevoli farà crescere le
comunità cristiane nella fede dei padri, nella testimonianza e nella missione.
Annunciare la verità di Cristo, con le sue implicazioni, è il primo atto
d’amore per il mondo.
E’
inevitabile che la riforma della Curia, promulgata da Papa Francesco, sarà un punto di riferimento per la Chiesa
nel mondo. Saranno i singoli Vescovi che dovranno declinarla nella concretezza
delle loro Diocesi, secondo le situazioni e le esigenze, e per il bene del loro
popolo.
Il
ruolo dei Ministri di Dio, ora e domani, è quello che Gesù ha voluto e che
emerge nel Vangelo, negli Scritti apostolici e nel Magistero autentico. Il
Concilio Vaticano II dice chiaramente che Gesù scelse quelli che egli volle, ne
costituì Dodici, e li mandò “a tutte le
genti affinché, partecipi della sua potestà, rendessero tutti i popoli
discepoli di Lui, li santificassero e li governassero” (Lumen Gentium, 19). Il
Sacramento dell’Ordine, dunque, configura ontologicamente, nell’essere
dell’ordinato, a Cristo Capo e Pastore, Sacerdote e Profeta. La sostanza è
questa, il resto è contorno che non può cambiare nulla di questo.
Il
trionfo è solo di Dio, e consiste nel dare la vita del Figlio sulla croce. In
sostanza, è l’amore di Dio per il mondo. Questa è la sua gloria. Da parte
dell’uomo, la sua gloria è lasciarsi amare da Cristo, arrendersi al suo amore. La Liturgia è il momento culminate, il vertice
e la fonte della gloria di Dio e dell’uomo. Deve quindi riflettere, rendere
visibile questo mistero. Per quanto riguarda la Chiesa, essa è realtà visibile
e spirituale, per questo vive nella
storia e la trascende, non opera
per la sua gloria ma è a servizio dell’uomo
nella verità e nell’amore. È nel mondo ma non del mondo. Affinché questa presenza sia sale e lievito, quindi
incarnata, e anche luce e città posta sul monte, quindi non nascosta e mondana,
deve avere qualcosa che il mondo non ha, una novità rispetto al secolo. Se
perdesse questa differenza, e si assimilasse al linguaggio e alle agende del
tempo, tacendo la linfa soprannaturale,
che cosa avrebbe da dire al mondo se non ripetere le sue parole, le sue urgenze
immediate, i suoi obiettivi universalistici, le sue metodiche populiste? Non
sarebbe interessante per il mondo, ma funzionale al mondo: qualora dicesse le parole secolari
sarebbe applaudita, ma qualora dicesse le parole della fede sarebbe
silenziata o aggredita. E’ successo anche a Gesù. Nulla di nuovo.
Dobbiamo
parlare di Dio facendo emergere l’inconsistenza di un mondo senza Dio.
Spiegare, con pazienza e fiducia, che solo dove c’è veramente Dio, l’uomo è
onorato; che Dio non è l’antagonista della libertà umana, ma ne è il creatore e
il migliore garante. E’ sempre più necessario dire che Dio ci ha creati per la
vita, l’amore, la gioia, e che Lui è la risposta a questi aneliti del cuore umano.
Bisogna far vedere che i comandamenti di Dio, le Beatitudini, non sono dei no, ma il grande sì alla felicità e alla bellezza. Nietzsche scriveva che voleva
vedere nei cristiani un volto “più redento” per poter credere al loro Salvatore: auspicava di vedere la
testimonianza della gioia nonostante le prove, la letizia dell’anima che
regge anche alle croci. Dio, nella vita
pubblica, non significa una società teocratica, mai il Vangelo è stato presentato come legge
dello Stato. Significa innanzitutto riconoscere a tutti i cittadini il diritto
alla libertà religiosa, riconoscere che la persona non è rinchiusa in se
stessa, ma va oltre, e che
l’organizzazione della società non
si misura solo sul benessere fisico, poiché ci sono esigenze di cui
Dio è l’origine, e a cui solo Dio può rispondere.
La
Chiesa non deve preoccuparsi di essere
moderna, ma di essere attuale: cioè deve rispondere ai veri bisogni
dell’uomo, quelli che abitano nella profondità del cuore, come il desiderio
non di soddisfazione ma di felicità, il bisogno di senso, le grandi
domande che attraversano la storia e che
non cambieranno mai. A tutto questo non risponde la tecnologia, ma la
religione, il Signore, che ha parole di
vita eterna. Parole di luce che ci fanno dire con l’Apostolo Pietro: Maestro,
lontano da Te da chi andremo? Gesù non ha cercato il consenso, ma ha
annunciato la verità. E gli è costatala la vita! Oggi si tende a staccare la verità dalla
persona di Cristo: questa separazione riduce la fede a emozione, e Cristo a
maestro di saggezza umana, una filosofia che bisogna adattare ai tempi. Dio è
Amore, dice Giovanni, ma noi oggi non crediamo all’more, lo stiamo cambiando
facendolo diventare una poesia sentimentale e facile, dimenticando che l’altro
nome dell’amore è sacrificio. E così si inganna soprattutto i giovani. Si tende
a dimenticare che, se Dio mi rivela che
Lui è meta della mia esistenza, ma non mi dice come arrivarci , non “serve”. Ma
Gesù ci ha detto anche come arrivarci, come
vivere. Ecco le implicazioni etiche: non sono una dottrina astratta,
parlano di me, del mio presente e del
mio futuro. Non sono delle negazioni arcigne e impietose, ma descrivono la via
della vita vera. La cultura contemporanea ha molte luci, ma ha posto al centro
il soggetto come misura della verità: ha ridotto l’uomo a volontà indebolendo
il pensiero. E così tutto
diventa opinione soggettiva e mutevole. In questo contesto, si vorrebbe che la Chiesa
tacesse affinché la gente creda che non
ha nulla da dire. Ma così non è: se la Chiesa tacesse, non amerebbe il mondo. Non si tratta di farci
giudici o di crederci migliori, ma di essere fedeli a Dio e
all’uomo. Se la gente sente che si parla senza blandire, ma con amore, forse
non condividerà del tutto ciò che si dice, ma si sentirà amata da noi e da
Qualcuno che è oltre a noi.
Si
parla spesso della mancanza di politici cattolici, di intellettuali cattolici.
Ma quale è il ruolo che un politico, un intellettuale cattolico deve avere oggi
nella società? In che modo può e deve essere presente?
La
Chiesa è radicata nel mondo e condivide gioie e dolori di ogni uomo: tutto ciò
che lo riguarda le interessa. Nelle
questioni temporali, la responsabilità primaria è dei laici, che devono animare
cristianamente le realtà terrene: per questo non devono essere
“clericalizzati”. La loro coscienza,
però, deve essere formata e informata.
Se questo vale per ogni laico, vale tanto più per il politico che deve valutare
e decidere secondo coscienza, sapendo che le sue scelte non possono contraddire
i valori che scaturiscono dalla fede , e che ispirano una visione antropologica cristianamente ispirata. Un politico non
dovrebbe fare politica attiva senza
qualche competenza specifica e senza una comprovata onesta morale; ma anche senza una cultura
generale che gli permette di avere una visione
ampia delle cose, una sintesi di quel pensiero umanistico oggi trascurato. In questa prospettiva, la Chiesa
ha una lunga esperienza di formazione culturale e morale, che va addirittura
oltre la confessionalità. Infatti, molti temi di fondo sono patrimonio sia
della fede che della ragione.
Di
fronte alle nuove spinte culturali, che portano persino a negare il contributo
che la Chiesa ha dato alla società occidentale (la cosiddetta cancel culture) e
che, dentro la Chiesa, arrivano a mettere in discussione pezzi di dottrina (si
pensi al dibattito sull'Humanae Vitae), quale può essere la posizione di un
vescovo, un sacerdote, un fedele cattolico?
La “cancel culture” è semplicemente disumana, poiché
nega la storia non solo religiosa di un popolo,
ma anche civile. E’ vero che gli esseri umani appartengono tutti
all’umano, ma è anche vero che vivono in contesti culturali e sociali diversi
nel tempo e nello spazio. Anche il Figlio di Dio si è incarnato in una cultura
e in una storia, ha rispettato usanze e dottrine ma, nello stesso tempo, è andato oltre quando si trattava della verità di Dio e
dell’uomo. Ecco perché invocare mutamenti dottrinali in nome delle diverse
culture scontra con l’agire e il parlare di Cristo. E quando si tocca ciò che
appartiene all’essere universale dell’uomo, si tocca l’uomo stesso nella sua
profondità. Oltretutto, la civiltà occidentale sembra avere una volontà di
potenza che sconcerta: la cosa dovrebbe preoccupare tutti, cristiani e non, in
quanto pare si voglia uniformare
l’umanità in una cultura e lingua
uniche; si auspica perfino una religione
unica e universale, facendo intendere
che tutto è equivalente. Per quanto riguarda il diritto dei cattolici a partecipare al dibattito pubblico e alla
formulazione democratica delle leggi, ormai anche pensatori come Rwol, Habermas
e altri, l’hanno dichiarato. Naturalmente ad una condizione: che si usi un
linguaggio “istituzionale”, che si portino, cioè, delle argomentazioni razionali e non di
autorità rivelata.
Infine, la posizione del credente, come di un
Sacerdote e di un Vescovo, è innanzitutto
quella della fedeltà al deposito della fede, sapendo che la “dottrina”
non mortifica l’annuncio di Gesù, ma ne è la dilatazione che esplicita e rende
esistenziale la fede. Inoltre, si tratta anche di usare le due vie della
verità, quella della fede e quella della ragione. Forse, su questo versante,
dobbiamo impegnarci di più e meglio. Dato che non tutto ciò che è rivelato
appartiene solo alla fede, ma fa parte anche dell’esperienza universale, allora
dovremmo imparare a non trincerarci dietro alla fede, ma percorrere anche il
sentiero della razionalità, cercando gli argomenti per motivare le posizioni cattoliche,
specialmente in alcune questioni particolarmente sensibili.