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sabato 24 settembre 2022

Il primato dell’Adorazione - parte 2^ di 5

Continuiamo la pubblicazione del saggio di José Antonio Ureta, steso in risposta a Desiderio Desideravi, proponendone la seconda parte (di cinque), nella traduzione ripresa dal sito italiano della TFP.
Qui la prima parte.

Oscuramento della centralità della Passione redentrice (2/5)
di José Antonio Ureta

IL MISTERO PASQUALE COME CENTRO DELLA CELEBRAZIONE

Nell'enciclica Mediator Dei, Pio XII sottolinea la centralità della Passione nella vita di Nostro Signore Gesù Cristo e nella nostra redenzione (i grassetti di seguito sono tutti nostri):

«La sacra Liturgia, poi, ci propone tutto Cristo, nei vari aspetti della sua vita: il Cristo, cioè, che è Verbo dell'Eterno Padre, che nasce dalla Vergine Madre di Dio, che ci insegna la verità, che sana gli infermi, che consola gli afflitti, che soffre, che muore; che, infine, risorge trionfando sulla morte, che, regnando nella gloria del cielo, ci invia lo Spirito Paraclito, che vive sempre nella sua Chiesa: «Gesù Cristo ieri ed oggi: Egli è anche nei secoli». E inoltre non ce lo presenta soltanto come un esempio da imitare, ma anche come un maestro da ascoltare, un pastore da seguire, come mediatore della nostra salvezza, principio della nostra santità, e Mistico Capo di cui siamo membra, viventi della sua stessa vita.

«E siccome i suoi acerbi dolori costituiscono il mistero principale da cui proviene la nostra salvezza, è secondo le esigenze della fede cattolica porre ciò nella sua massima luce, poiché esso è come il centro del culto divino, essendone il Sacrificio Eucaristico la quotidiana rappresentazione e rinnovazione, ed essendo tutti i Sacramenti congiunti con strettissimo vincolo alla Croce» (203-204).

Più avanti, Pio XII fa riferimento alle finalità del sacrificio eucaristico (adorazione, ringraziamento, propiziazione e impetrazione). Nel descrivere il terzo scopo, Papa Pacelli sottolinea ancora una volta il ruolo della Passione e della Morte del divino Redentore, riassumendo in poche righe la dottrina di Sant'Anselmo sull'espiazione vicaria di Gesù Cristo sulla croce: «Il terzo fine è l'espiazione e la propiziazione. Certamente nessuno al di fuori di Cristo poteva dare a Dio Onnipotente adeguata soddisfazione per le colpe del genere umano; Egli, quindi, volle immolarsi in Croce in “espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1Gv 2, 2)».

E ribadisce questo insegnamento tradizionale nel descrivere il frutto del sacrificio divino, citando Sant'Agostino: «I meriti infiniti e immensi di questo sacrificio non hanno limiti, e si estendono a tutti gli uomini in ogni luogo e in ogni tempo, perché in esso il sacerdote e la vittima è Dio Uomo; perché la sua immolazione, come la sua obbedienza alla volontà dell'Eterno Padre, è stata perfettissima, e perché ha voluto morire come capo del genere umano: "Vedete come è stato trattato il nostro Salvatore: Cristo pende sulla croce; vedete a quale prezzo ha comprato.... Il suo sangue è stato versato. Egli ha comprato con il suo sangue, con il sangue dell'Agnello immacolato, con il sangue dell'unico Figlio di Dio.... È Cristo che compra; il prezzo è il sangue; l'acquisto, il mondo intero" (S. Agostino, In psalm. 147; P.L. 37, 1925)» (n° 95).

REINTERPRETARE LA REDENZIONE ATTRAVERSO LA RISURREZIONE

Questa insistenza sulla centralità del sacrificio della croce per la redenzione del genere umano era una risposta alle elucubrazioni dei teologi più radicali del movimento liturgico che, già all'epoca, lo mettevano in ombra, enfatizzando il trionfo e la risurrezione di Cristo e il suo attuale stato glorioso. Il gesuita Juan Manuel Martín-Moreno servirà ancora una volta da guida per chiarire il cambiamento di enfasi introdotto dagli innovatori:

"La teologia occidentale si sta liberando da questo modello anselmiano di redenzione, che ha influenzato così negativamente la liturgia. Infatti, la salvezza è stata un'iniziativa del Padre che ci ha amati mentre eravamo ancora peccatori (Rm 5, 10). È stata l'iniziativa del Padre a mandarci il suo Figlio, il Salvatore, come capo di una nuova umanità. Gesù non è morto perché ha cercato la morte, né perché il Padre l'ha richiesta. Il Padre non lo ha mandato a morire, ma a vivere. L'azione del Padre non consiste nell'uccidere il Figlio, ma nel farlo risorgere, accogliendo la sua offerta d'amore. (...)

"Il modo crudele in cui Gesù ha subito la sua morte non è la conseguenza di un destino ineluttabile fissato da Dio Padre, ma è la conseguenza della crudeltà degli uomini che non potevano tollerare la presenza di un giusto in mezzo a loro.

"Quando diciamo che Gesù è morto 'per i nostri peccati', intendiamo dire che è morto perché l'umanità peccatrice non poteva che ucciderlo. È morto perché eravamo peccatori. Se fossimo stati giusti, non lo avremmo mai ucciso e Gesù non avrebbe subito quella morte. Non è il Padre a volere la morte di Gesù sulla croce, ma l'umanità peccatrice.

"Gesù muore perché è stato fedele alla linea di condotta che gli era stata tracciata, mostrandoci il vero volto del Padre. In questo senso possiamo dire che è morto per il compimento della volontà di Dio. (...)”

"Poiché è morto nel compimento della sua missione e ha assunto la nostra natura umana fino alle sue ultime conseguenze, morendo di una morte simile alla nostra, l'umanità di Gesù è stata risuscitata dal Padre. (...) La nostra salvezza è l'effetto della sua incarnazione, della sua vita, della sua morte, della sua risurrezione e del dono del suo Spirito" [1].

Non potrebbe essere più chiaro: la porta della risurrezione e della vita eterna ci è stata aperta non tanto per il sangue versato sulla croce, ma perché l'umanità di Gesù è stata risuscitata dal Padre. Questo cambiamento di paradigma, descritto pedagogicamente da P. Martín-Moreno, cessò di essere una mera speculazione dei teologi e cominciò a passare nelle cattedre ecclesiastiche già nel periodo dell'elaborazione dello schema preliminare della Costituzione sulla liturgia, ancor prima dell'inizio della prima sessione conciliare. Il titolo originario del capitolo sull'Eucaristia, approvato il 10 agosto 1961, era De sacro sancto Missae sacrificio; ma nella sessione del 15 novembre dello stesso anno divenne De sacro sancto Eucharistiae misterio [2]. 

COME QUESTO PUNTO DI VISTA È ENTRATO NELLA COSTITUZIONE CONCILIARE SULLA LITURGIA

All'inizio delle discussioni su questo schema preliminare - l'unico che, a causa del suo carattere novatore volontariamente moderato [3], non fu respinto a priori ma emendato - Mons. Henri Jenny, allora vescovo ausiliare di Cambrai e membro della commissione preparatoria sulla liturgia (e in seguito membro del Consilium che elaborò la nuova Messa), osservò che lo schema mancava dell'essenziale: una dottrina sul mistero della liturgia. Fu quindi istituita una sottocommissione che redasse il primo capitolo della Sacrosanctum Concilium [4], il cui contenuto divenne il nucleo dottrinale non solo di quella costituzione conciliare, ma anche della riforma liturgica di Papa Paolo VI e di tutto il magistero postconciliare sulla liturgia.

Quel primo capitolo della Sacrosanctum Concilium diluisce la centralità della morte in croce nell'insieme del "mistero pasquale": «Quest'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell'Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore principalmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale “morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha restaurato la vita”. Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito “il mirabile sacramento di tutta la Chiesa”» (n° 5).

Non c'è dubbio che l'espressione paschale sacramentum (cioè "mistero pasquale") sia frequente nei testi dei Padri della Chiesa e nelle preghiere del messale tradizionale. Ma in essi tutti, l'espressione è stata compresa all'interno della concezione tradizionale della Redenzione come riscatto operato principalmente dal Sangue versato nella Passione e Morte del Salvatore (si veda, ad esempio, la preghiera del Venerdì Santo: «Ricordati, o Signore, delle tue misericordie e santifica con costante protezione i tuoi servi, per i quali il tuo Figlio Gesù Cristo ha istituito il mistero pasquale con la sua passione» - per suum cruorem, instituit paschale mysterium).

Mentre, nel suo significato moderno, il mistero pasquale è stato inteso principalmente come la piena rivelazione dell'amore del Padre, che si esprime soprattutto nella risurrezione di Gesù: «Quando si passa dalla redenzione al mistero pasquale, l'accento cambia completamente. Chi parla di redenzione pensa prima alla Passione e poi alla resurrezione come complemento. Chi parla di Pasqua pensa prima a Cristo risorto» [5], scriveva il domenicano Aimon-Marie Roguet in un articolo pubblicato sulla rivista Maison-Dieu, baluardo parigino del movimento liturgico.

PAPA FRANCESCO MINIMIZZA LA MORTE REDENTRICE DI CRISTO

È proprio questa accentuazione unilaterale a favore della Pasqua e a scapito della Passione - contrariamente all'equilibrio tradizionale - che traspare da ogni poro di Desiderio Desideravi. Neanche una volta il documento usa le parole "redenzione", "redentore", "riscattare", che evocano la liberazione dal peccato attraverso il pagamento di un debito. Utilizza sempre "salvezza", che non ha questa connotazione, e lo associa preferibilmente alla Pasqua ebraica, che viene menzionata ben 29 volte nel corso del testo. Mentre la risurrezione è menzionata 14 volte, la morte del Signore è menzionata solo 6 volte.

La stessa definizione che egli offre della Liturgia soffre di questa parzialità. Per Francesco «la Liturgia è il sacerdozio di Cristo a noi rivelato e donato nella sua Pasqua, reso oggi presente e attivo attraverso segni sensibili (acqua, olio, pane, vino, gesti, parole) perché lo Spirito, immergendoci nel mistero pasquale, trasformi tutta la nostra vita conformandoci sempre più a Cristo» (n. 21). E a proposito del rispetto delle rubriche, afferma che è necessario non privare l'assemblea di ciò che le appartiene, «vale à dire il mistero pasquale celebrato nella modalità rituale che la Chiesa stabilisce» (n. 23), che deve risvegliare la meraviglia dei partecipanti, descritta come «meraviglia per il fatto che il piano salvifico di Dio ci è stato rivelato nella Pasqua di Gesù (cfr. Ef 1,3-14) la cui efficacia continua a raggiungerci nella celebrazione dei “misteri”, ovvero dei sacramenti» (n. 25). Inoltre, afferma che l’«azione celebrativa è il luogo nel quale attraverso il memoriale si fa presente il mistero pasquale perché i battezzati, in forza della loro partecipazione, possano farne esperienza nella loro vita» (n. 49).

Il rischio di un tale cambiamento di enfasi è che (ciò che resta della) fede dei fedeli possa essere distorto in due dimensioni. Da un lato, possono essere portati a pensare che l'opera di salvezza sia da attribuire più al Padre e allo Spirito Santo che a Gesù, il Verbo incarnato, figlio di Maria, che ha versato il suo sangue per i nostri peccati. D'altra parte, potrebbero essere portati a pensare che Gesù Cristo non sia propriamente il Redentore, ma il "luogo" in cui Dio ci salva, poiché è nella Pasqua di Cristo che l'amore del Padre si rivela a noi. La pietà dei fedeli può anche essere portata a svalutare tutte le devozioni tradizionali che li incitano a espiare i loro peccati e quelli dell'umanità e portarli a sostenere di essere salvati solo per fede nel piano salvifico di Dio, senza completare nella loro carne «ciò che manca ai patimenti di Cristo» (Col 1,24); o, peggio ancora, a credere in una salvezza universale a causa dell'indefettibile alleanza di Dio con il genere umano.

Note

[1] Apuntes de Liturgia, p. 43-44.





Fonte: Onepeterfive, 9 agosto 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.