Un'altra analisi del documento sulla liturgia, Desiderio desideravi, di Papa Francesco.
Luigi
6 Luglio 2022, Corrispondenza Romana, Cristina Siccardi
Nessuna posizione viene presa dai Sacri Palazzi per le profanazioni e le blasfemie che continuamente vengono commesse nella società, per esempio, durante i Gay pride oppure nell’ “arte” contemporanea, che sforna senza ritegno oltraggi alla religione cattolica. Tuttavia, i vilipendi alla Fede vengono perpetrati ormai come nulla fosse proprio dentro le chiese, con il beneplacito dei parroci, come accecati dall’onda antiliturgica. Ecco quindi ostie consacrate elargite e prese senza la dovuta sacralità e attenzione; canti assolutamente distanti dalla pietà cristiana; atti contro la Carità divina; spose discinte e scomposte; sposi con abiti e tatuaggi eccentrici ed edonistici; invitati a comunioni, cresime, nozze o funerali senza neppure rendersi conto di non andare allo stadio per un concerto rock, bensì in chiesa; cani che portano all’altare gli anelli degli sposi con tanto di video youtube virali… ormai non c’è più freno alle blasfemie e, allo stesso tempo, al ridicolo e alle pagliacciate circensi da guinnes world records.
Nonostante questi accadimenti massivi e impressionanti che danneggiano e scherniscono la Chiesa, papa Francesco, invece di fare chiarezza e mettere un po’ di ordine con i mezzi di una tradizione bimillenaria, punta ancora il dito su chi è fedele alla Santa Messa apostolica, secondo il Rito Romano antico. Lo ha fatto nel giorno dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno scorso, con la Lettera apostolica Desiderio desideravi «sulla formazione liturgica del popolo di Dio», diretta ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli.
Il Pontefice inizia il suo scritto con queste parole: «Cari fratelli e sorelle, con questa lettera desidero raggiungere tutti – dopo aver già scritto ai soli vescovi in seguito alla pubblicazione del Motu Proprio Traditionis custodes [del 16 luglio di un anno fa, ndr] – per condividere con voi alcune riflessioni sulla Liturgia, dimensione fondamentale per la vita della Chiesa. Il tema è molto vasto e merita un’attenta considerazione in ogni suo aspetto: tuttavia, con questo scritto non intendo trattare la questione in modo esaustivo. Voglio semplicemente offrire alcuni spunti di riflessione per contemplare la bellezza e la verità del celebrare cristiano».
Sì, la Liturgia è veramente la dimensione fondamentale per la vita della Chiesa, altrimenti quest’ultima non avrebbe neppure ragione di esistere. È intorno all’altare che si è costituito il Cristianesimo, che si sono costruite le catacombe, le chiese, le pievi, i monasteri, le abbazie e le cattedrali. Ma sui milioni di altari dello spazio geografico e del tempo è sempre avvenuto un sacrificio vero e proprio (incruento) per opera di Dio attraverso le formule e le mani dei sacerdoti, Suoi ministri. Non si è mai celebrata, come pretendono gli eresiarchi protestanti, una semplice e virtuale memoria, atto che offende, snatura ed elimina l’essenza sia del Santo Sacrificio sia del sacerdozio. Alla luce di queste verità nei Santi Misteri appaiono allarmanti le riflessioni del Papa: «Se non avessimo avuto l’ultima Cena, vale a dire l’anticipazione rituale della sua morte, non avremmo potuto comprendere come l’esecuzione della sua condanna a morte potesse essere l’atto di culto perfetto e gradito al Padre, l’unico vero atto di culto. Poche ore dopo, gli Apostoli avrebbero potuto vedere nella croce di Gesù, se ne avessero sostenuto il peso, che cosa voleva dire “corpo offerto”, “sangue versato”: ed è ciò di cui facciamo memoria in ogni Eucaristia».
Ogni Santa Messa è un vero atto di culto perché riporta il corpo e sangue di Cristo fra gli umani e non può essere una banale e secolare «memoria» perché la memoria è un atto passivo e non attivo, è un atto umano e non miracoloso come la transustanziazione, un termine decisivo, ma che non viene mai riportato né nel motu proprio Traditionis custodes, né nella Lettera apostolica Desiderio desideravi.
Invece di porre dinanzi alla cattolicità l’evidenza dei fatti e dei frutti del Novus ordo, con tutti i suoi errori scaturiti da un’esigenza ecumenica utopica e lesiva, mutando gli ordini dei fattori in maniera teologica e fattuale come ormai in moltissimi sanno, si canonizza ancora il Concilio Vaticano II che ha portato nella Chiesa il regno dell’incertezza, come ebbe a denunciare tragicamente Paolo VI in quel 29 giugno di 50 anni fa esatti, quando sostenne che: «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita», quando è la Chiesa l’unica depositaria della vera vita, e poi si «credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli». Ma già tre anni dopo la chiusura dell’Assise, papa Montini parlò di «autodemolizione» della Chiesa, giunta oggi ad uno stadio impressionante per l’ignoranza che si è creata e per gli errori propagati in un’evangelizzazione/missionarietà che non è più tale come quella ordinata da Gesù in persona ai suoi Apostoli.
Citando Romano Guardini (ricordiamo che l’opera più importante di questo celebre autore, Lo spirito della liturgia del 1918, è divenuta pietra miliare del Movimento liturgico sorto in Europa nella prima metà del XX secolo e che influenzò la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II), papa Bergoglio invita alla formazione liturgica in un’ottica cristiano-antropocentrica: «È necessario trovare i canali per una formazione come studio della liturgia: a partire dal movimento liturgico molto in tal senso è stato fatto, con contributi preziosi di molti studiosi ed istituzioni accademiche. Occorre tuttavia diffondere queste conoscenze al di fuori dell’ambito accademico, in modo accessibile, perché ogni fedele cresca in una conoscenza del senso teologico della Liturgia – è la questione decisiva e fondante ogni conoscenza e ogni pratica liturgica – come pure dello sviluppo del celebrare cristiano, acquisendo la capacità di comprendere i testi eucologici, i dinamismi rituali e la loro valenza antropologica». Ma la liturgia nuova, scaturita da un movimento intossicato dal liberalismo e quindi dal relativismo, non potrà mai dare buoni effetti, come dimostrano più di 50 anni di esperienza in questo senso. Al contrario, il Vetus ordo ha mietuto e continua a mietere attenzione e successi, qualitativamente e quantitativamente, in abbondanza, soprattutto fra le nuove generazioni.
La participatio actuosa (partecipazione attiva) dei fedeli alla liturgia, come è intesa nel Novus ordo, non è come l’adesione spirituale alla Santa Messa del Vetus Ordo. È una partecipazione collettiva e non di ogni singola anima, la quale in verità è chiamata ad assistere al Miracolo eucaristico con la concentrazione e la sacralità dovute perché si è realmente di fronte all’Agnello immolato e realmente ci si può nutrire, solo se si è in grazia di Dio, di Lui. Troviamo perciò nella Lettera del Papa un criterio corretto quando afferma sulle note di Leone Magno: «La pienezza della nostra formazione è la conformazione a Cristo. Ripeto: non si tratta di un processo mentale, astratto, ma di diventare Lui. Questo è lo scopo per il quale è stato donato lo Spirito la cui azione è sempre e solo quella di fare il Corpo di Cristo. È così con il pane eucaristico, è così per ogni battezzato chiamato a diventare sempre più ciò che ha ricevuto in dono nel battesimo, vale a dire l’essere membro del Corpo di Cristo. Scrive Leone Magno: «La nostra partecipazione al Corpo e al Sangue di Cristo non tende ad altro che a farci diventare quello che mangiamo» (Sermo XII: De Passione III,7)». Sono messi tranquillamente insieme Leone Magno e Romano Guardini, creando un’altalena di concetti tradizionalmente ineccepibili e insegnamenti contradditori, fino a dichiarare: «Il compito non è facile perché l’uomo moderno è diventato analfabeta, non sa più leggere i simboli, quasi non ne sospetta nemmeno l’esistenza».
Purtroppo la responsabilità dell’analfabetismo è solo dei pastori, gran parte dei quali hanno scelto la rivoluzione ecclesiale per abbracciare il mondo, mettendo alle corde la Lex orandi, Lex credendi della Chiesa, roccia sulla quale la Sposa di Cristo si fonda. Cambiare la Messa – voltando le spalle a Dio, eliminando passi e gesti essenziali della liturgia divina mai sfregiata fino al ‘69, celebrando l’assemblea invece del Crocifisso, ponendo nella «riserva eucaristica» la divina Ostia, concelebrando con più sacerdoti… – è stato un atto umano e non divino. Eppure si continua a non prendere in considerazione il cuore del problema, ma si «tratta, piuttosto, di recuperare la capacità di porre e di comprendere i simboli della Liturgia. Non dobbiamo disperare, perché nell’uomo questa dimensione […] è costitutiva e, nonostante i mali del materialismo e dello spiritualismo – entrambi negazione dell’unità corpo e anima – è sempre pronta a riemergere, come ogni verità». È proprio così, Santo Padre, ogni verità è sempre destinata ad emergere: le chiese, infatti, si spopolano e le persone che vi entrano lo fanno spesso con quegli atteggiamenti che abbiamo riportato all’inizio dell’articolo.
«La domanda che ci poniamo è, dunque, come tornare ad essere capaci di simboli? Come tornare a saperli leggere per poterli vivere?». Ebbene, non certo con un rito fondato su dei compromessi ecumenici, stabiliti a tavolino con rappresentanti del protestantesimo come avvenne con la rivoluzione liturgica del 1969. Sia la formazione liturgica che i simboli, punti sui quali il Papa più insiste in questo documento, sono elementi che si radicano sul rito e quando il rito è in crisi, come lo stesso Pontefice evidenzia, significa che lo scopo principale di esso non è dare Gloria a Dio e salvare le anime, bensì creare uno spazio accettabile nel mondo, un’accettazione che poi in realtà non avviene, come accade quando si svende la propria identità per compiacere la cultura dominante, invece di guidare tutti noi peccatori.
I fallimenti catechetici e la scristianizzazione di massa delle famiglie dovrebbero illuminare le menti di quei pastori che umilmente potrebbero oggi fare una giusta e corroborante autocritica di anni ed anni passati a “contemplare” una lesiva e tragica teologia della liberazione, ecumenica, interreligiosa, ecologista. Allora sì che si potrebbe dire, come nella Desiderio desideravi: «L’ars celebrandi non può essere ridotta alla sola osservanza di un apparato rubricale e non può nemmeno essere pensata come una fantasiosa – a volte selvaggia – creatività senza regole. Il rito è per se stesso norma e la norma non è mai fine a se stessa, ma sempre a servizio della realtà più alta che vuole custodire».
È vero che «la norma più alta, e, quindi, più impegnativa, è la realtà stessa della celebrazione eucaristica che seleziona parole, gesti, sentimenti, facendoci comprendere se sono o meno adeguati al compito che devono svolgere», ma il Novus ordo ha selezionato ciò che non doveva. È vero che Maria Santissima «“sorveglia” i gesti del suo Figlio affidati agli Apostoli», ma se poi la Madonna viene lasciata alle “mani” di monsignor Tonino Bello di quale Vergine Santissima stiamo parlando? È verissimo che è «la celebrazione stessa che educa», ma se la celebrazione è intossicata, quale pedagogia ne esce? Sì, è estremamente vero che il sacerdote viene formato nell’azione cultuale dei Santi Misteri, ma se essi sono annacquati e addirittura avvelenati da uno schema ingiusto e svilente egli si forgerà su di esso.
«Per questo motivo non possiamo tornare a quella forma rituale che i Padri conciliari, cum Petro e sub Petro, hanno sentito la necessità di riformare, approvando, sotto la guida dello Spirito e secondo la loro coscienza di pastori, i principi da cui è nata la riforma. […] Per questo motivo ho scritto Traditionis Custodes, perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano».No, Santità, non possiamo, come clero, religiosi e fedeli «abbandonare le polemiche», perché non si tratta di critiche distruttive, ma di domande che esponiamo in maniera caritativa e costruttiva e che esigono risposte secondo logica, coerenza, giustizia e misericordia. D’altra parte, Santa Romana Chiesa, che è Madre e non matrigna, è tenuta a difendere e custodire la Fede e i suoi riti con l’obiettivo principale di condurre il più possibile anime al Verbo incarnato, perché «Salus animarum suprema lex».