Un'interessante riflessione sulla barbara pratica della S. Comunione sulla mano.
Luigi
13 Maggio 2022, Marco Tosatti
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Un’eremita e la Comunione in mano
Cerco di spiegare quello che ho capito, ma è successo talmente nel profondo che non so se riuscirò ad essere chiara.
Comunque ci provo.
Dovrò adoperare molte parole ed esempi, mentre la comprensione è stata velocissima, non mediata da ragionamenti o discorsi.
É chiaro che non posso riuscire a trasmettere quell’immediatezza, quindi lo faccio al modo umano, perché non ne ce ne sono altri alla nostra portata.
Se prima mi avessero chiesto le motivazioni per non prendere in mano l’ostia consacrata, avrei detto: perché solo le mani del sacerdote sono consacrate e lui agisce in persona Christi, inoltre i frammenti dell’ostia (anche se infinitesimali quindi non visibili a occhio nudo), che si perdono e cadono per terra, sono il Cristo intero. E queste considerazioni restano validissime anche ora, ma non sono ancora il cuore di tutto, sono motivazioni umanamente comprensibili, poi magari non condivise da tutti, ma accessibili alla ragione.
E su di esse si può discutere all’infinito.
Ma c’è una motivazione, quella che sta alla radice, che parte dall’inizio degli inizi, talmente soprannaturale che su di essa non si può discutere, o la si riceve o la si o rifiuta.
Per riceverla bisogna però avere molto vivo il senso del peccato originale, un senso che oggi manca alla quasi totalità dei cristiani perché, ripeto, occorre avere la percezione profonda del disastro cosmico che il peccato ha prodotto e della tragedia che ha significato per l’uomo e l’intera creazione.
Tutto parte da quel momento, e la Comunione nella mano ha la sua radice proprio lì.
Un biblista, Pietro Bovati, sj, ha spiegato molto bene il significato dell’azione compiuta da Eva nell’Eden, e la propongo:
“Alla totalità dell’offerta è posto un limite: Dio chiede all’uomo di astenersi dal mangiare il frutto di un solo albero, situato accanto all’albero della vita (Genesi 2,9), ma da esso ben distinto.
Il divieto è sempre una limitazione posta alla voglia di avere tutto, a quella bramosia (un tempo chiamata ‘concupiscenza’) che l’uomo sente come una innata pulsione di pienezza. L’acconsentire a una tale bramosia equivale a far sparire idealmente la realtà del donatore; elimina dunque Dio, ma, al tempo stesso, determina pure la fine dell’uomo, che vive perché lui stesso è dono di Dio”.
E io aggiungo Filippesi 2,5-6: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso (letteralmente: una preda) la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò sé stesso …”
Quando noi prendiamo la Comunione in mano noi “prediamo” l’ostia, e quello della nostra mano che prende, è un passaggio guidato dalla concupiscenza, che ripete esattamente il gesto di Eva e ne è l’eco perfetta.
Dio non si prende, si riceve, e prendere la Comunione nella mano è cancellare il Donatore che si dona.
Eva prende con la mano il frutto direttamente dall’albero, non lo riceve da Dio, si stacca dalla Sua dipendenza. Diventa autonoma, o almeno lo crede.
Nel caso della Comunione sulla mano, noi ci auto-comunichiamo, cioè non comunichiamo, non entriamo in comunione con il Donatore, ma soltanto con noi stessi, mettendo in atto un circuito chiuso che ci separa da Cristo, perché tutto si riceve solo da Lui e con Lui.
C’è un limite da non travalicare tra l’umano e il divino, perché entra in campo una diversità che annienta l’uomo, se mal “com-presa”: Dio si dona a noi non come preda da ghermire, ma come dono immenso da adorare (letteralmente ad-os/oris = alla bocca).
Non si passa attraverso un’azione che ha una risonanza sinistra, perché nel campo soprannaturale ogni gesto ha un significato eterno e unico.
Non deve essere la nostra mano a prendere, replicando il gesto di Eva, ma deve essere la nostra bocca che riceve (adora) direttamente l’ostia, senza l’intermediazione della nostra concupiscenza, che è stata la causa del peccato.
Mi rendo conto che sembra una sottigliezza, ma non lo è, il suo significato soprannaturale è enorme: non si può prendere Dio, lo si può solo ricevere, spogliandoci del nostro io che invece, nel caso della Comunione in mano, viene rafforzato dal gesto della nostra mano.
Il serpente antico è sempre all’opera e continua a suggerire all’uomo che non deve dipendere da Dio, ma prendere tutto da sé.
L’oggetto dell’odio eterno di Satana è il Verbo incarnato, cioè l’unione del divino con l’umano, Dio che si fa uomo.
L’Incarnazione è il suo tormento e, se non può chiaramente annullare l’azione di Dio, allora si accontenta, come dice il beato Clemente Marchisio, di successi parziali: “se non può distruggere allora sporca, screzia, deforma”.
E l’Eucaristia è uno dei suoi bersagli preferiti.
Infatti, se ci si fa caso, si stanno moltiplicando le cosiddette “mense eucaristiche”: sul tavolo c’è una pisside o una patena colma di ostie, e ognuno si serve da solo.
La possibilità di prendere la Comunione in mano è un passaggio ordinato proprio a un successivo prendere direttamente, senza ricevere umilmente e con rendimento di grazie.
Tutto ci è dovuto, anche Dio.
Le persone che, per mille motivi, si comunicano in mano sono in buona fede e non hanno nemmeno lontanamente l’idea di cosa stia dietro a questo gesto, nella maggior parte dei casi pensano di avere un’intimità maggiore con Dio, e da qui il sentimentalismo (che è la deformazione del sentimento) si spreca: il mio Gesù, Lo tengo nelle mie mani ecc.
In tanti si mettono a frugare nella storia per vedere come facevano i primi cristiani, cercando nel tempo quello che supera il tempo, volendo trovare le ragioni di un evento divino nelle tradizioni umane, senza tener conto che lo Spirito si adatta alla nostra pochezza e ci istruisce poco a poco, perché la nostra mente razionale non ha gli strumenti per capire quello che la supera.
Occorrerebbe aver mantenuto la mentalità simbolica degli antichi, che è assolutamente necessaria per entrare nella modalità piena dei santi segni.
Comunque qui si entra in un altro discorso.
Mi sono dilungata, non so se sono riuscita a spiegarmi, ma quello che ho capito è ormai talmente impresso dentro di me che non potrei mai prendere la Comunione in mano, per nessun motivo.
Non potrei fare altrimenti, perché adesso so, conosco in profondità.
Faccio una piccola aggiunta, un’informazione che ho avuto a posteriori e che completa il discorso:
Nel Vangelo di Giovanni, quando si parla di Eucaristia, la parola “boccone” si trova quattro volte in poche righe, ed è un termine mai usato nei Vangeli: “psomion”, che letteralmente descrive l’azione dell’uccellino genitore che imbocca l’uccellino figlio.
Quindi il boccone si imbocca, si dà in bocca e così si riceve.
A cura di Sergio Russo e di Rosanna Maria Boccacci