Post in evidenza

Sono sante le carmelitane scalze di Compiègne, ghigliottinate nel 1794 dai rivoluzionari

Mercoledì scorso, Papa Francesco ha esteso alla Chiesa universale il culto dei martiri di Compiègne: la Beata Teresa di Sant'Agostino e ...

sabato 25 giugno 2022

Nomine cardinalizie che provocano sguardi pieni di smarrimento e indignazione

Sempre peggio.
Luigi

9 Giugno 2022, Korazym
di Vik van Brantegem

Ritorniamo con due contributi sull’annuncio di Papa Francesco che il 27 agosto 2022 farà una nuovi infornata di cardinali di Santa Romana Chiesa, tra cui il Vescovo emerito di Gent, Mons. Luc Van Looy, S.D.B. (Tielen, 28 settembre 1941; per 20 anni missionario in Corea del Sud e per altri 20 anni membro del Consiglio Generale della Congregazione Salesiana di Don Bosco, Vescovo di Gent dal 19 dicembre 2003 al 27 novembre 2019) e il Vescovo di San Diego, Mons. Robert McElroy, di cui ci siamo già occupati.

Riceviamo e pubblichiamo il Comunicato Stampa del “Werkgroep Mensenrechten in de Kerk” (Gruppo di Lavoro Diritti Umani nella Chiesa) belga, in riferimento alla nomina a cardinale del Vescovo emerito di Gent, Mons. Luc Van Looy: «Sia il nostro movimento che le vittime guardano a questo titolo onorifico con sguardi pieni di smarrimento e indignazione. Perché, per quanto simbolico possa essere, è una forma di gratitudine che può aver incassato come diplomatico, ma non ha meritato come pastore, prendendosi cura delle “pecore ferite”». Ricordiamo il suo intervento Accompagnare significa essere presenti, ascoltare con porte e cuore aperti (che riportiamo di seguito) alla XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 2018 sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale.

Vescovi Usa “freddi” per il cardinale filo LGBT di Nico Spuntoni su La Nuova Bussola Quotidiana, 8 giugno 2022: «La scelta di Papa Francesco di creare cardinale Robert McElroy continua a far discutere oltreoceano. La Conferenza Episcopale USA liquida con freddezza la decisione di Francesco, che invece viene lodata da Padre James Martin, che definisce il neo cardinale un “amico della comunità LGBT”». Il Vescovo onostante la sua inerzia per le accuse contro il famigerato ex Cardinale Theodore McCarrick. Abbiamo tutti la responsabilità di parlare quando vengono portati alla nostra attenzione gravi torti, ma il Vescovo McElroy non parlò quando avrebbe dovuto farlo.Il Vescovo emerito di Gent, Mons. Luc Van Looy, S.D.B.

Comunicato Stampa del Gruppo di Lavoro Diritti Umani nella Chiesa belga, a seguito della nomina a cardinale del Vescovo emerito di Gent, Mons. Luc Van Looy
(Nostra traduzione italiana dal neerlandese)

Il Vescovo emerito di Gent e salesiano Luc Van Looy riceverà presto il cappello porpora da cardinale. Il Gruppo di lavoro sui Diritti Umani nella Chiesa si chiede se questa nomina amichevole, segno di gratitudine dello stesso Papa, sia un buon segnale. La porpora simboleggia nella Chiesa il martirio.

In passato abbiamo più volte comunicato con questo vescovo su fatti riguardanti gli abusi sessuali su minori commessi dal clero nella sua diocesi e all’interno del suo ordine, i Salesiani di Don Bosco. Ma il Vescovo Van Looy prediligeva anche i movimenti cattolici con caratteristiche settarie come “Het Werk” (L’Opera) e le “Blauwe Zusters” (Suore Blu). che recentemente hanno ricevuto una sistemazione a Velzeke, grazie a questo vescovo. Ha anche consegnato un premio a un sacerdote, Guy Theunis, della sua diocesi che era stato accusato di partecipazione al genocidio in Ruanda [QUI].

Non solo il Vescovo Van Looy era a conoscenza degli abusi sessuali commessi dal salesiano Luc Delft, che ha abusato di diversi bambini in Centrafrica. Lo ha anche facilitato consultandosi con il vescovo locale, anche lui salesiano, Mons. Albert Van Buel, che ha messo involontariamente in cattiva luce Caritas Internazionale [QUI]. Un imperdonabile errore di questi due vescovi salesiani. Solo dopo che la CNN ha affrontato Luc Delft con le sue azioni, il provinciale Wilfried Wambeke lo ha richiamato in Belgio [QUI].

Anche il sacerdote e delinquente seriale Omer Verbeke riuscì a fuggire e fu sempre protetto da questo vescovo. Una vittima congolese ha testimoniato alla stampa estera nel 2019, riunita a seguito di una conferenza sugli abusi di minori nella Chiesa [Incontro dei Presidenti di tutte le Conferenze Episcopali su La protezione dei minori nella Chiesa che si è tenuto in Vaticano dal 21 al 24 febbraio 2019], e ha indicato che Padre Verbeke potrebbe aver fatto centinaia di vittime. Ancora una volta, co-facilitato da questo vescovo e dal suo ordine [1].

Ma accolse volentieri anche “Het Werk”, un movimento settario, fondato all’epoca da Julia Verhaeghe di Geluwe, di cui molti già testimoniarono come vittime nella Commissione parlamentare belga d’inchiesta sulle sette 1996-1997. Nel nostro lavoro “Werkgroep Mensenrechten in de Kerk” (Gruppo di Lavoro Diritti Umani nella Chiesa), ci sono state così tante lamentele da parte di ex membri in quegli anni, che non ho avuto altra scelta per essere ascoltato, che scrivere un libro al riguardo, ovvero Het Werk. Een katholieke sekte? (L’opera, una setta cattolica?), che è uscito nel 1996 [2]. Ma anche in seguito, il Vescovo Van Looy ha continuato a sostenerli e incoraggiarli. È successo di nuovo nel 2015. Doris Wagner, che aveva lasciato il movimento, ha scritto una toccante testimonianza dal titolo Nicht mehr ich: Die wahre Geschichte einer jungen Ordensfrau – Non più io. La storia vera di una giovane religiosa (edition a 2014, 288 pagine), in cui raccontava le sue esperienze.

Poco prima del suo pensionamento, il Vescovo Van Looy ha dato spazio al controverso movimento “Blauwe Zusters” (Dienaressen van de Heer en de Maagd van Matará – Le Ancelle del Signore e la Vergine di Matará) per stabilirsi a Velzeke, vicino a Zottegem. Il loro fondatore, Padre Miguel Buela, è stato ritenuto colpevole di aver abusato sessualmente dei suoi seguaci. Questo movimento è noto per reclutare famiglie giovani, spesso vulnerabili. I minori fanno le promesse lì in età minore, per poi entrare nell’età adulta. Le conseguenze sono spesso dure per se stessi, i parenti e gli amici: sono separati dalle loro famiglie, non hanno il permesso di avere contatti con altre persone, a volte vengono affamati per mantenerli deboli. Alla fine scompaiono, tramite case di transito, verso destinazioni in, tra le altre, Italia. C’è una tale casa di transizione a Velzeke. Ciò è avvenuto grazie al sostegno di questo Vescovo di Gent.

Ogni volta scrivevamo al Vescovo Van Looy con domande per intervenire. Ogni volta non arrivò risposta. Da nessuna parte, nei molti casi di cui ci occupiamo, abbiamo notato alcun atto, per non parlare della compassione, con questo vescovo. Papa Francesco ci sembra quindi non essere stato sufficientemente informato di questo monsignore che, pur avendo un ampio sorriso, teneva molto nel segreto per salvaguardare l’istituzione.

Sia il nostro movimento che le vittime guardano a questo titolo onorifico con sguardi pieni di smarrimento e indignazione. Perché, per quanto simbolico possa essere, è una forma di gratitudine che può aver incassato come diplomatico, ma non ha meritato come pastore, prendendosi cura delle “pecore ferite”. È urgente che l’opinione pubblica, il campo politico e la magistratura prendano meglio coscienza di queste pratiche, in modo che si possa avere un confronto approfondito anche sui limiti della separazione tra Chiesa e Stato e sulla libertà di religione, per il beneficio del benessere dei bambini e delle persone vulnerabili.

Per il Gruppo di Lavoro Diritti Umani nella Chiesa, Rik Devillé

[1] «Sono un sopravvissuto del Seminario minore di Kanzenze-Kolwezi (Repubblica Democratica del Congo). Avevo appena 13 anni e fu abusato da Padre Omer Verbeke della Diocesi di Gent. Padre Verbeke è un missionario belga nella Diocesi di Kanzenze-Kolwezi. Sono un’infermiera professionale registrato a Saint Louis, Missouri (USA). Sono padre di tre ragazzi e anche uno studente di dottorato in educazione infermieristica. Sono un membro attivo del progetto “ECA Global Justice” (ECA Giustizia Globale) [ECA-Ending Clergy Abuse (Porre fine agli abusi del clero) è un’organizzazione mondiale di attivisti per i diritti umani e sopravvissuti provenienti da oltre 21 Paesi e 5 Continenti che si concentra sui diritti dei bambini e delle vittime per costringere la Chiesa Cattolica Romana a porre fine agli abusi del clero, in particolare agli abusi sessuali sui minori, al fine di proteggere i bambini e cercare una giustizia effettiva per le vittime. L’ECA chiede la fine del meccanismo strutturale della Chiesa che consente gli abusi]. Sto lavorando attivamente per la protezione dei bambini e la sensibilizzazione per evitare traumi sessuali durante l’infanzia» (Benjamin Kitobo, vittima e attivista, Repubblica Democratica del Congo, 2018. Worldwide Survivors of Sexual Abuse by Clergy-Sopravvissuti in tutto il mondo agli abusi sessuali da parte del clero).
«Nel 1987, il Vescovo di Kanzenze-Kolwezi, Mons. Floribert Songasonga, Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo) ha rispedito il missionario belga Padre Omer Verbeke alla diocesi natale del sacerdote di Gent dopo essere stato sorpreso ad abusare sessualmente di un ragazzo. Ne seguì uno scandalo e ai genitori di un’altra giovane vittima, Benjamin Kitobo, fu detto che il loro figlio era da biasimare per aver indotto il prete al peccato. Verbeke aveva aggredito sessualmente Kitobo per quattro anni, a partire dal 1980, quando il ragazzo aveva 13 anni. Il ragazzo era stato studente al Seminario minore di Kanzenze, dove il sacerdote era insegnante e poi direttore. L’abuso includeva stupro orale e anale. Verbeke ha abusato anche di molti altri ragazzi. Successivamente è stato riferito che Verbeke era stato originariamente inviato in Zaire a causa di un incidente in Belgio.
Dopo il suo ritorno in Belgio nel 1987, Verbeke ha ripreso il ministero attivo nella Diocesi di Gent. Negli anni novanta ha abusato sessualmente di una ragazza nella sua parrocchia di Sint-Amandsberg, una frazione della Città di Gent. In risposta, il Vescovo di Gent, Mons. Arthur Luysterman (1991-2003) ha sospeso Verbeke nel 2001, ma ha lasciato intatti la sua libertà e il suo status sacerdotale. Verbeke ha rivolto la sua attenzione all’organizzazione no-profit per gli orfani di Kigali, in Ruanda, che aveva fondato nel 1996.
Nel frattempo Benjamin Kitobo si era trasferito negli Stati Uniti ed era diventato un infermiere. Nel 2002, dopo aver scoperto che la Chiesa non era riuscita a impedire a Verbeke di lavorare con i bambini, Kitobo ha assunto un avvocato americano. Kitobo telefonò a Verbeke in Belgio e registrò la conversazione. Il sacerdote ha ammesso l’abuso ma si è difeso dicendo “non esageriamo qui” e “non devi rovinarmi la vita”. Subito dopo, l’Avvocato di Kitobo ha denunciato Verbeke al Vescovo Luysterman, che ha inoltrato la denuncia all’inchiesta sugli abusi della Chiesa in Belgio, la Commissione interdiocesana per il trattamento delle denunce di abusi sessuali commessi nelle relazioni pastorali. All’inizio del 2005, la Diocesi di Gent, passato sotto la guida del Vescovo Luc Van Looy (19 dicembre 2003 al 27 novembre 2019), ha inviato a Kitobo 25.000 dollari USA.
Nonostante la consapevolezza della Diocesi di Gent dei crimini commessi, Verbeke ha potuto continuare le sue attività in Ruanda senza ostacoli. Nel 2007 lui e la sua ONG sono stati accolti al Parlamento europeo a Brussel e nel 2009 il Vescovo Van Looy ha celebrato il 50° anniversario dell’ordinazione sacerdotali di Verbeke e di altri sacerdoti.
Alla fine del 2014, il caso di Omer Verbeke ha attirato nuovamente l’attenzione dell’opinione pubblica dopo un’indagine di De Standaard/Het Nieuwsblad, spingendo il Vescovo Van Looy a contattare il Consolato generale onorario di Ruanda e a giurare pubblicamente che il visto di viaggio del sacerdote sarebbe stato essere sospeso. La Diocesi di Gent ha anche detto a De Standaard/Het Nieuwsblad che i pubblici ministeri federali begli erano in possesso del fascicolo di Verbeke e che il suo caso era all’esame della Congregazione per la Dottrina della Fede a Roma.
Nella primavera del 2018 si riteneva che Verbeke fosse ancora sacerdote e i vescovi che non erano riusciti a proteggere i bambini da lui, visto che hanno mantenuto la loro posizione nella chiesa. Luc Van Looy rimane Vescovo di Gent, e Arthur Luysterman e Floribert Songasonga rimangono vescovi emeriti per le rispettive Diocesi di Gent e Lubumbashi, Repubblica Democratica del Congo» (Nostra traduzione italiana dall’inglese da BishopAccountability.org https://www.bishop-accountability.org/bishops/enabling/index.html, la più grande biblioteca pubblica di informazioni sulla crisi degli abusi da parte del clero cattolico, una raccolta digitale di documenti, testimonianze di sopravvissuti, rapporti investigativi e copertura mediatica, che fa anche ricerche di base sulle storie di abusi e sulla gestione della Chiesa Cattolica Romana).
Ulteriori informazioni di Benjamin Kitebo nel rapporto presentate a nome del Survivors Network of those Abusated by Priests And Individual Victims/Survivors (Rete di sopravvissuti di coloro che hanno subito abusi da parte di sacerdoti e singole vittime/sopravvissuti) al Center for Constitutional Rights di New York, 13 settembre 2011. Comunicazione delle vittime ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto di Roma con richiesta di indagine e perseguimento di alti funzionari vaticani per lo stupro e altre forme di violenza sessuale come crimini contro l’umanità e la tortura come crimine contro l’umanità, pagina 63 [QUI].

[2] Het Werk. Een katholieke sekte? (L’opera, una setta cattolica?) di Rik Devillé (Van Halewyck 1996, 182 pagine)
Mentre “Het Werk” (L’Opera) naviga sotto la bandiera della Chiesa Cattolica Romana, può essere tranquillamente paragonato a una setta. La maggior parte dei Cattolici non ha mai sentito parlare di “Het Werk”, né lo confonde con l’Opus Dei, il che non sorprende. I leader di “Het Werk” formano una delle più nascoste concentrazioni di potere al più alto livello della Chiesa Cattolica. I primi passi per beatificare la fondatrice di “Het Werk”, la fiamminga Julia Verhaeghe, sono già stati compiuti. Come l’Opus Dei, “Het Werk” (Opus Christi Regis” sarà pontificia proprio nel secolo successivo. Qualcosa che il cardinale Danneels stava già confermando. “Het Werk” sarà così promossa dal Papa come la via, la verità e il modello preminente del Cristiano del XXI secolo. In questo libro Devillé è andato alla ricerca delle radici e dei rami di questa società e fa testimoniare gli ex membri dei loro anni con “Het Werk”.
Quando i sacerdoti chiedono di andare in pensione, di solito tutto tace. Dopo un po’ arriva la richiesta del vescovo che quei piani siano rinviati di qualche anno in più. Quando Rik Devillé ha presentato la sua domanda nel 2009, ha ricevuto il messaggio dopo una settimana: “Va tutto bene!” Questo dice tutto sulla sua popolarità tra i leader della Chiesa dell’epoca. Perché Devillé è stato ed è l’uomo che, con il suo Gruppo di Lavoro Diritti dell’Uomo nella Chiesa, ha denunciato gli abusi sessuali e di altro genere. Quando nel 2010 è scoppiata il caso Vangheluwe [3], aveva ragione: la Chiesa Cattolica Romana ha un problema strutturale. Dieci anni dopo il suo ritiro, Devillé si scrolla di dosso la sua lotta con il suo “Werkgroep Mensenrechten in de Kerk” (Gruppo di Lavoro Diritti dell’Uomo nella Chiesa), perché di certo il riconoscimento per le vittime sembra in vista. Ma la roccia di fondo è davvero emersa? Nella cantina della casa del parroco ci sono tre pareti piene di armadi con archivi. Contengono più di mille testimonianze di vittime. In questo libro, Devillé non solo guarda indietro, ma dà anche la parola a centouno di quelle vittime. Perché le teorie e i numeri sono una cosa, le storie individuali un’altra. Un libro come testamento per i posteri.

[3] Nella notte tra il 19 e il 20 aprile 2010 la famiglia di una vittima di abusi sessuali da parte di Mons. Roger Joseph Vangheluwe (Roeselare, 7 novembre 1936), allora Vescovo di Brugge dal 15 dicembre 1984, ha inviato una email ai vescovi belgi e li ha portati a conoscenza della loro esperienza. Il 23 aprile 2010 ha pubblicamente riconosciuto di aver abusato sessualmente di un giovane ragazzo tra il 1980 e il 1987, quindi anche dopo la sua nomina a vescovo. Lo stesso Papa Benedetto XVI ha accettato la sua rinuncia al governo pastorale della diocesi.
Per questi fatti monsignor Vangheluwe non poteva essere condannato perché caduti in prescrizione. Tuttavia è stata ugualmente aperta un’inchiesta da parte della magistratura belga per verificare che i fatti siano effettivamente prescritti e per assicurare che non avesse commesso abusi su altre persone. La Conferenza Episcopale Belga ha trasmesso alla Congregazione per la Dottrina della Fede il fascicolo chiedendo di esaminare le sanzioni ecclesiastiche. In una conferenza stampa, l’Arcivescovo metropolita di Mechelen-Brussel e Presidente della Conferenza Episcopale Belga, Mons. André-Joseph Léonard ha comunicato che la vittima di abusi era un nipote del vescovo. Mons. Vangheluwe ha dichiarato di avere ripetutamente riconosciuto la sua colpa alla vittima e ai genitori, rinnovando le richieste di perdono in privato. Secondo lui però questo non è stato sufficiente per placarli. Ha anche dichiarato che la copertura mediatica degli inizi del 2010 sui casi di abusi sessuali commessi da preti avrebbe rafforzato il trauma. La vittima e la sua famiglia hanno quindi deciso di parlare. Sebbene il termine di prescrizione per un processo canonico fosse stato superato (vent’anni dopo la maggiore età della vittima), la dimissione dallo stato clericale, con una procedura eccezionale, è stata richiesta dai membri del clero belga ed è stato considerato dalla Santa Sede. Nel dicembre del 2010 la Santa Sede ha confermato che il Papa aveva chiesto alla Congregazione per la Dottrina della Fede di affrontare la questione di Mons. Vangheluwe. Il 12 aprile 2011 essa ha espresso un primo parere e ha confermato che i fatti commessi dal prelato sono prescritti anche secondo il diritto canonico. Tuttavia ha deciso che Mons. Vangheluwe avrebbe dovuto lasciare il suo Paese e seguire un trattamento psicologico e spirituale di orientamento, in vista di una decisione definitiva da parte del dicastero. Durante questo periodo gli è stato proibito di esercitare pubblicamente il suo ministero sacerdotale ed episcopale. Altre sanzioni sarebbero potuto essere adottate da allora in poi in attesa del risultato della terapia a cui il vescovo si sarebbe sottoposto. Pochi giorni dopo, il 14 aprile, quando l’inchiesta giudiziaria ha concluso che tutti i fatti con di cui era accusato erano prescritti, Mons. Vangheluwe ha concesso un’intervista al canale belga VIER. Ha ammesso pubblicamente di aver abusato di un famigliare. Diverse personalità lo hanno criticano per aver mostrato nelle sue osservazioni un atteggiamento poca compassione per la vittima e per l’aver minimizzato la gravità delle sue azioni. Anche la Santa Sede e i vescovi del Belgio si sono dichiarati scioccati dal contenuto dell’intervista.
Poco dopo che il caso era scoppiato, Mons. André-Joseph Léonard ha affermato che Mons. Vangheluwe, a causa dei suoi atti, avrebbe dovuto essere dimesso dall’episcopato. Mons. Léonard ha anche invitano le vittime di abusi nella comunità ecclesiale a farsi avanti verso la Commissione per il trattamento delle denunce di abusi sessuali in una relazione pastorale, nata nel 2000 e negli anni precedenti non aveva ricevuto un gran numero di reclami. I giorni seguenti hanno visto un vasto afflusso di testimonianze: centinaia di persone sono uscite dal silenzio per denunciare fatti anche vecchi. Negli anni successivi altre persone hanno accusato Mons. Vangheluwe di abusi sessuali ma egli ha sempre respinto decisamente le accuse affermando di aver confessato tutto ciò di cui si era reso colpevole.

Sinodo dei Vescovi
XV Assemblea Generale Ordinaria (3-28 ottobre 2018) sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale
Intervento di Mons. Luc Van Looy, S.D.B., 16 ottobre 2018
Accompagnare significa essere presenti, ascoltare con porte e cuore aperti

Buon pomeriggio, caro Santo Padre, fratelli e sorelle, ragazzi e ragazze.
Vorrei parlare dell’arte di accompagnare. Si tratta di un’attività quotidiana. Grandi e santi educatori ci dicono che la regola fondamentale per accompagnare i giovani è esser presenti nella loro vita in ogni momento. Piuttosto che ritenerlo una forma di controllo, è la via dell’amicizia e della fiducia, per condividere la vita dei bambini e dei giovani. Può sembrare un controllo sul loro comportamento; invece è la via dell’amicizia e della fiducia, per farli sentire liberi e a casa con noi.
In quale altro modo potremmo scoprire chi sono e di cosa hanno bisogno? In quale altro modo potremmo sapere come si relazionano agli adulti, ai loro coetanei e alle istituzioni? Come potremmo evitare che siano attirati in quegli ambienti che gli farebbero più danno che beneficio? Come potremmo insegnare loro a stare lontani dal male? Come potremmo scoprire ciò che lo Spirito di Dio sta dicendo loro? Come potrebbero imparare a pregare da noi?
Penso a Gesù, che passava tutto il tempo con i suoi discepoli. Egli sapeva come si relazionavano fra di loro. Quando avevano bisogno di aiuto, li prendeva un momento in disparte, come fece con Pietro. Per lui i discepoli e il popolo erano la sua terra santa.
Per avere una comprensione profonda su una persona sarà importante coinvolgere la comunità. Nel guidare i giovani non siamo soli. Tutti in una comunità, sia una scuola, un istituto o parrocchia, hanno una loro idea su di un giovane. Pertanto, se ad esempio abbiamo bisogno di una decisione sulla vocazione, non è importante solo l’opinione dei professori del seminario o del superiore; dovrebbero essere ascoltati anche il parroco, i catechisti, i cuochi, gli uomini e le donne della comunità del candidato.
In Belgio ammiro quegli educatori delle scuole che ogni mattina accolgono gli studenti al cancello degli istituti. Li vedo nel cortile che parlano con gli studenti e sono di nuovo al cancello quando i ragazzi tornano a casa. Semplicemente, sono presenti in ogni momento. Conoscono le loro pecore e le pecore conoscono loro, proprio come faceva Gesù. Vedo sacerdoti che continuamente escono fuori, verso la gente; la domenica sono all’ingresso della chiesa prima e dopo l’Eucaristia, ascoltano i fedeli e condividono le loro gioie e i loro dolori. In quel momento il loro posto non è in sagrestia.
Accompagnare significa essere presenti, ascoltare con porte e cuore aperti, con un interesse profondo e concreto, dando sempre coraggio e speranza. Un educatore che accompagna i giovani non è solo un professionista in una stanza di consulenza, o uno psicologo che esamina tipi di comportamento; è un amico nella vita di una persona, pronto a camminare insieme…
Alla fine Gesù divenne così intimo con i suoi discepoli che lavò loro i piedi, condivise con loro il suo corpo e il suo sangue e li invitò a pregare con lui quando stava soffrendo.Il Vescovo di San Diego, Mons. Robert McElroy.

Vescovi USA “freddi” per il cardinale filo LGBT
di Nico Spuntoni

La scelta di Papa Francesco di creare cardinale Robert McElroy continua a far discutere oltreoceano. Per un Padre James Martin che esulta per la porpora a colui che definisce “un amico della comunità LGBTQ” che fu anche “uno dei primi sostenitori di Building a Bridge, c’è tutto un mondo cattolico statunitense cresciuto con i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che storce la bocca.

La stessa reazione della Conferenza Episcopale, guidata dall’Arcivescovo di Los Angeles José H. Gomez – che si vede negare di nuovo il cardinalato assegnato invece ad un vescovo di una sede suffraganea alla sua – è piuttosto tiepida, per usare un eufemismo. Un comunicato di poche, scarne, righe e nel quale si è limitato a dire che con questa nomina “Papa Francesco ha mostrato la sua cura pastorale per la Chiesa negli Stati Uniti”. Sul fatto che con questa designazione Bergoglio abbia voluto dare un messaggio inequivocabile concordano sia i vincitori che i vinti: non sfugge ai più la posizione di McElroy critica coi vescovi che insistono per negare l’Eucarestia ai politici pro-choice.

La porpora arriva proprio in una fase in cui il tema, 18 anni dopo il caso John Kerry e la nota dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger sull’Essere degni di ricevere la santa comunione, è di stretta attualità per la presenza di un presidente cattolico che battaglia con la Corte Suprema per difendere il diritto all’aborto. Negli stessi giorni in cui l’Arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone vieta a Nancy Pelosi l’ammissione all’Eucarestia, ad essere premiato con la porpora è invece il Vescovo di San Diego abituato a bollare queste iniziative come “strumentalizzazioni politiche”.

Un assist che ha fatto andare in estasi gli ambienti del cattolicesimo liberal al punto da lanciare una provocazione sulle pagine del loro organo di punta, il National Catholic Reporter: far guidare la delegazione ufficiale degli Stati Uniti al concistoro del 27 agosto proprio alla speaker dem della Camera.

Le nomine cardinalizie di Francesco negli States, tutte orientate in una direzione precisa, confermano il mancato feeling tra l’attuale pontificato e la maggior parte dell’episcopato a stelle e strisce. Una distanza resa manifesta dalle clamorose parole papali pronunciate 3 anni fa in volo prima della Visita apostolica in Mozambico (“Gli americani mi attaccano? Per me è un onore!”). Un’analisi di questo amore mai sbocciato l’ha azzardata padre Antonio Spadaro nel suo “Il nuovo mondo di Francesco”, scrivendo che il “cattolicesimo americano plasmato dalle culture wars” giudicherebbe questo pontificato “pericolosamente vicino o non sufficientemente combattivo contro il liberalismo secolarista incarnato dal Partito democratico” e quindi “come una sconfessione del paradigma intellettuale e morale (…) identificato in termini definitivi da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI”.

Interessante notare come il gesuita siciliano, ritenuto vicinissimo al Santo Padre, riscontri una differenza soltanto di forma ma non di sostanza tra l’approccio delle organizzazioni laicali/media/think tank e quello dell’episcopato. Quest’ultimo, infatti, secondo Spadaro terrebbe verso l’attuale pontificato “atteggiamenti istituzionali di apparente neutralità” che in realtà nasconderebbero una piena adesione alla linea più dichiaratamente critica degli altri.

Da qui, forse, il tentativo di far voltare pagina rispetto al passato recente, imponendo – a suon di porpore – un modello di guida episcopale ben definito e molto lontano da quello ancora maggioritario. Ma per imprimere alla Chiesa USA un cambiamento gradito, serve ridisegnare l’episcopato. Un compito non facile se non si gioca in casa, come ha dimostrato nel 2019 l’esito dell’elezione dei vertici della Conferenza Episcopale.

Intanto, la scorsa settimana è stato nominato a capo della Diocesi di Winona-Rochester, Monsignor Robert Barron fino ad allora Ausiliare di Los Angeles. Barron è una vera e propria celebrità oltreoceano, essendo il fondatore e il volto di punta di Word on Fire, un’organizzazione no profit che fa apostolato a centinaia di migliaia di persone via web. C’è chi sostiene che questa nomina sia da interpretare come un promoveatur ut amoveatur per indurre il presule ad allentare il legame col suo impero mediatico.

Barron, inoltre, è stato recentemente al centro di indagini giornalistiche sulla presunta cattiva condotta sessuale di un ex dipendente di Word on Fire e sul trattamento del personale. È curioso notare che gli attacchi sono arrivati prevalentemente dai media cattolici più liberal (in primis NCR [National Catholic Reporter[) che storicamente non lo amano per la sua adesione alla linea dell’ermeneutica della riforma e del rinnovamento nella continuità sul Vaticano II già cara a Benedetto XVI.

Il fondatore di Word on Fire, però, viene criticato anche dai tradizionalisti per aver elogiato James Martin ed aver commentato con favore un suo libro. C’è chi, semplificando, lo definisce un centrista. Profili di questo tipo potrebbero costituire la nuova generazione di vescovi americani: la quota minoritaria di progressisti che c’è nell’episcopato rende non scontata la promozione di tanti nuovi McElroy.

Il 2022, in ogni caso, sarà un anno determinante per capire che direzione prenderà la Chiesa americana: a novembre, infatti, scade il mandato come presidente di monsignor Gomez. Tre anni fa i presuli avevano preparato una successione all’insegna della continuità, eleggendo come vicepresidente – e quindi, da consuetudine, come successore in pectore – il conservatore Allen H. Vigneron, Arcivescovo di Detroit. Vedremo se andrà effettivamente così o se ci saranno colpi di scena.

Articoli collegati