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mercoledì 25 maggio 2022

Il pianto del coccodrillo

Proponiamo ai nostri lettori questo brano di Enzo Bianchi - che fotografa con onestà una situazione reale - non certo perché non condividiamo l’amara constatazione (al contrario: la facciamo nostra), men che meno perché vogliamo prendercela ingenerosamente con l’Autore, ma perché lo riteniamo emblematico di un atteggiamento sempre più diffuso in ambienti inequivocabilmente conciliari e progressisti. Ambienti in cui si è predicata per anni una fede debole e sentimentale, cioè inutile, tutta ammiccante alle peggiori mode intellettuali del mondo scristianizzato, nei quali oggi ci si trova a dolersi del suo crollo. Ambienti dove si è applicato scrupolosamente il CVII, e dove, adesso che si vede quanto fosse pastoralmente inconcludente, per non dire controproducente, e come abbia prodotto l’unica cosa che poteva produrre, cioè un fallimento di dimensioni epocali, ci si domanda con candido stupore come mai sia potuto accadere. Abbiamo così schiere di teologi e di pastori
à la page i quali, dopo essersi comportati per decenni come medici che cercano di contrastare il diabete con una massiccia dieta a base di dolci, ancor oggi, pur vedendo il disastro che ha marciato principalmente con le loro gambe, continuano a non capirci niente.

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I vescovi italiani e la crisi della fede

La Repubblica - 23 maggio 2022

di Enzo Bianchi

Oggi si apre l’assemblea dei vescovi italiani chiamati innanzitutto non al rinnovamento delle cariche istituzionali, ma a leggere insieme l’oggi di Dio per la chiesa, scrutare insieme i segni dei tempi che devono indirizzare le scelte e delineare, per il futuro prossimo, i passi da osare. Non è un’ora facile, e si potrebbe anche dire con linguaggio profetico che questi sono “giorni cattivi” perché si è fatta sempre più evidente la crisi ecclesiale in molti suoi aspetti.

È ormai attestato che dopo la pandemia le piazze sono tornate a riempirsi, ma le chiese restano vuote, con una diminuzione di partecipanti alle assemblee liturgiche che inquieta e deve interrogare. Le motivazioni che di consueto vengono individuate per illustrare questa crisi iniziata negli anni ottanta – la secolarizzazione, il mutamento di vita nella società del benessere, il consumismo, il relativismo morale – non sono più sufficienti a spiegare l’accelerazione con la quale siamo stati introdotti in una società post-cristiana e in una cultura dalla quale il cristianesimo è stato espulso.

Avevamo annunciato tempi in cui le chiese cristiane avrebbero avuto lo statuto di minoranze, ma eravamo certi che sarebbero state minoranze significative, capaci di inoculare diastasi salutari nella società. Oggi non ne siamo più sicuri perché l’indifferenza verso il cristianesimo è talmente imperante che sembra aver sopito addirittura la domanda di senso, le domande ultime.

Difficile definire questo fenomeno: non è declino, non è decadenza morale, non è mancanza di pensiero autorevole, ma resta un venir meno silenzioso, visibile solo per chi frequenta le chiese e constata una fuga delle donne e soprattutto dei giovani dalla liturgia.

Abbiamo speso cinquant’anni per l’evangelizzazione, in un impegno che la chiesa italiana ha saputo onorare e vivere seriamente, eppure il risultato è una sterilità crescente. Conosco bene le chiese occidentali dell’Europa per poter dire che la chiesa italiana ha cercato con fatica nuove strade, ispirandosi in modo convinto al concilio Vaticano II più di altre chiese europee, e tuttavia ciò che le resta da riconoscere è che l’attuale crisi è una crisi innanzitutto della fede! Comprendo che l’affermazione spaventa, ma occorre avere il coraggio di questa denuncia: non manca la testimonianza (sempre inadeguata al Vangelo!), non manca la disponibilità a lavorare, perché la chiesa oggi è stanca, esaurita, fiaccata, ma manca la fede a partire dal popolo di Dio. La verità è questa: se non si crede che Gesù Cristo è vivente, è risorto da morte e ha vinto la morte, che ragione c’è a professarsi cristiani, che beneficio se ne trae? Se non si crede che la morte è solo un esodo, che ci sarà un giudizio sull’operato umano e una vita oltre la morte, una vita senza più pianto né lutto, perché si dovrebbe diventare cristiani e perseverare in questa appartenenza? Non basta l’etica per essere cristiani: gli esseri umani sanno darsi un’etica. Non basta la spiritualità: gli esseri umani sanno crearsela. Ma se viene meno la fede, se non c’è più la memoria che trasmette la fede, come sarà possibile essere cristiani? Oggi la “chiesa brucia”, il “gregge è smarrito” e soprattutto diviso più che mai, ma se non ci si interroga sulla fede l’agonia in Europa continuerà.

I vescovi italiani sapranno indicare che la vera urgenza è ridestare la fede “nuda e appesa alla croce”, senza rincorrere l’opinione dominante e senza ridurre la fede a messaggio etico?