Gli ex pretoriani - tutti inequivocabilmente scaricati uno alla volta con inedito cinismo - tentano ognuno vie di vendetta personale.
Luigi
31MAR 2022,
Di Francesco Balducci
Quando hanno sfogliato le pagine del Corriere della sera e si sono trovati sotto gli occhi l’articolo di don Julián Carrón, diversi ciellini sono sobbalzati sulla sedia. L’ex capo di CL, dimissionato dal Vaticano lo scorso novembre, si è inaspettatamente schierato sul fronte degli interventisti, e ha scelto le colonne di uno dei giornali più bellicisti d’Italia per portare avanti le sue posizioni. Che oltre a essere irragionevoli, contrastano in maniera insanabile con quelle del Papa, che nel conflitto russo-ucraino sta portando avanti, quasi in solitaria, una posizione nettamente e fieramente pacifista.
Una piccola “vendetta” del sacerdote spagnolo verso il Pontefice che lo ha disarcionato dalla guida di Comunione e Liberazione, che Carrón credeva di essere destinato a guidare a vita e di cui era convinto di dover nominare il successore, in barba al diritto canonico e alle leggi della Chiesa che regolano la prosecuzione di un carisma e di una famiglia religiosa una volta morto il fondatore? In molti lo hanno pensato ieri, sia dentro CL che in Vaticano. “La resistenza degli ucraini che tanto ci stupisce corrisponde all’impeto del cuore”, ha scritto Carrón in un afflato guerrafondaio, condendolo con citazioni decontestualizzate di don Giussani e del Papa: una sorta di marchio di fabbrica del sacerdote dell’Estremadura, quello di prendere pezzi di frasi di don Giussani, tagliarle al punto giusto e fuori contesto, e sostenere così le sue idee.
In realtà, l’articolo di ieri di don Carrón rientra in una sorta di strategia che lui e i suoi fedelissimi stanno portando avanti: una guerriglia volta a dividere CL e a contestare il Pontefice, reo di aver messo un freno alle cupole di potere insediatesi in diversi movimenti ecclesiali, una volta morto il fondatore. Carrón sta tenendo incontri con i gruppi rimasti a lui fedeli, in particolare a Milano. Ma non solo. L’11 marzo ha tenuto un incontro a Oropa, e altri ne sta tenendo. Le sue truppe scelte sono i Memores Domini, i laici consacrati che per primi hanno subito i provvedimenti vaticani, con lo scioglimento del direttivo e la nomina di un commissario. La maggioranza di loro, nei fatti, segue Carrón e non si riconosce nel nuovo corso del Movimento.
Il piano di Carrón e dei suoi era quello di aspettare con pazienza l’interim annuale del nuovo presidente della Fraternità di CL, Davide Prosperi, e poi “riprendere” il potere con uomini di loro fiducia, tramite le elezioni degli organi centrali della Fraternità, come previsto dalle nuove disposizioni del Dicastero per i laici. Un piano che è stato fermato dal prefetto del Dicastero, il cardinal Farrell, che nei giorni scorsi ha nominato Prosperi presidente per il prossimo quinquennio, fino al 25 novembre 2026. Una doccia fredda per la fazione carroniana.
L’ex capo di CL, che conta diversi amici nella stampa mainstream, sta usando tutti i mezzi a sua disposizione per portare avanti la sua strategia di riconquista, dominata da un desiderio di potere e di comando che, di giussaniano, non ha davvero nulla. Stupisce poi l’autonarrazione di Carrón, che nell’articolo sul Corriere invita a resistere al Potere, visto che da movimento amante della libertà, CL nel quindicennio carroniano si è trasformato in un’associazione ecclesiale impregnata di pensiero mondano e succube del potere politico: in molti ricordano con dolore il “no” di Carrón al Family Day, il suo via libera alla Legge Cirinnà, e un Meeting di Rimini sempre più schiacciato sulle posizioni del Pd e di Italia Viva.
Il totalitarismo intermittente secondo don Carròn: problemi di fede, ragione e potere
Di Mattia Spanò Aprile 1, 2022
Don Luigi Giussani e Julian Carròn
Ho letto la lettera di don Julian Carròn al Corriere della Sera sulla guerra in Ucraina.
Parto da una nota stilistica. Mi fa specie leggere brani di don Giussani e Grossman accostati a brandelli di papa Francesco e i dioscuri del giornalismo italiano Antonio Polito e Ezio Mauro. Servirebbe maggior accortezza ed omogeneità nei riferimenti. L’acme del dispiacere (almeno il mio) don Carròn lo tocca citando Massimo Recalcati con la sua “forza del desiderio”. Da Giussani a Recalcati, l’escursione termica rischia di mandare in pezzi un vetro antiproiettile (Recalcati che alluse all’altro Massimo, Cacciari, dandogli dell’onanista perché lo sventurato osava criticare la deriva anomica del governo in carica).
Quando però ho letto della “gara di solidarietà” con i profughi ucraini, volevo bere una pinta di cicuta e prendere commiato da questo asteroide infestato da spiriti alticci e, il va sans dire, immondi. La banalità del bene in tre parole.
Voglio però raccogliere l’invito di don Carròn ad evitare che la ragione si svincoli dalla realtà. In virtù di esperienze caotiche e letture disordinate, mi sono persuaso che la ragione in senso moderno – almeno dalla Rivoluzione Francese – è intrinsecamente svincolata dalla realtà. È per sua natura profondamente ideologica.
Provo a fare uno schizzo dell’argomento. Don Giussani ha sempre parlato del rapporto fra la fede e la ragione e descritto la prima come vertice della seconda. Chi smarrisce la prima, perde anche l’altra e viceversa. L’una non sussiste senza l’altra. Più che un’anamnesi della ragione, l’intero pensiero di Giussani è teso a mostrare la ragionevolezza della fede. Ogni dettaglio, la cultura, la retorica, il linguaggio, il sentimento, la vita sono messi al servizio di questo.
Tutta la grande filosofia, l’arte, tutta la migliore letteratura sono documenti di come un certo ordine basato sull’osservazione rigorosa conduca al divino, che lo riceve e restituisce in forma di bellezza e in certa misura perfezione, e il godimento di esse. La separazione della fede dalla ragione è il grande inganno dell’Illuminismo protestante. Nei suoi esiti più evidenti, rapidamente il sublime e il bello degradano in forme terrene: relative, funzionali, politiche, materiali, relazionali ma non veritative.
Tutto diventa, a partire da Cartesio sino a Freud ed epigoni (al netto di Jung, forse Lacan, certamente Eugenio Borgna, uno che guarda al dolore dall’interno verso l’esterno, dal buio alla luce), un oggetto psichico. È la ragione che usa di sé per spiegare se stessa. La definizione esatta di ideologia: il logos dell’idea. Non più il Verbo che s’incarna ma la sua inversione satanica: la carne che si fa verbo. L’uomo-dio.
Perciò l’affermazione di don Carròn che “l’unico vero argine al potere è il desiderio” è ideologia pura. Oltretutto, non tiene conto di un’ovvietà straripante: il potere stesso è desiderio di sé. Ogni desiderio, anche il minimo, se non approda a Dio è desiderio di potere.
Dire che il limite del potere è il desiderio umano è una enormità peggiore della guerra, che al contrario è un fenomeno storico profondamente umano. È la norma. La vita di chiunque è una piccola o grande guerra. Spacciare agli uomini sogni – parola feticcio cui nemmeno il Santo Padre si è sottratto – popolati da gnomi sorridenti che agitano bastoni di zucchero filato, è ingannarli atrocemente. La guerra, come il cancro, un figlio morto, un terremoto, è una catastrofe sempre possibile.
Non bisognerebbe aggrapparsi ad esplosioni emozionali (barbarie e sacrilegio! Bestialità! Orrore!) che rivelano una profonda disperante incapacità di dire la guerra, il dolore, la malattia, la morte. In estrema istanza, l’incapacità di parlare all’uomo delle cose ultime, di Dio. Ragion per cui tutto ciò che di male accade, anche un dito chiuso nella porta, diventa una tragedia intollerabile.
Né possiamo stupirci se lo zombi borghese fa le “gare di solidarietà” col vicino di casa, e quando il sangue scorre per le strade si mette a scrivere per terra coi gessetti canticchiando Imagine, o dice a chi gli ha ammazzato la moglie che non avrà il suo odio (se non ora, quando?). È il potere dei più buoni cantato da Gaber.
La verità più cupa circa costoro è che non hanno nulla da dire e nulla da fare, a parte ripetere ossessivamente ciò che è stato già detto e già fatto, naturalmente senza alcuna conseguenza apprezzabile. A vanvera. Magari persino convinti che sia un simulacro di perdono cristiano. Il tutto sfocia nel bieco schierarsi contro qualcun altro, denigrandolo, elogiando la nazistoide resistenza ucraina (leggete qui l’ammissione del fatto e la sua contemporanea negazione), raccogliendo ipotesi o voci che qualcuno – mica loro, non sono capaci – elimini Putin nell’illusione di essere noi a schiacciare la testa al serpente antico.
Il disagio che ho avvertito leggendo lo scritto di Carròn è che si tratta di una lezione sempre vera. Non ricordo parole simili quando la Siria piombò in un orrore che ancora dura. O spese per lo Yemen. Soprattutto, non ricordo una riflessione altrettanto profonda sul totalitarismo quando milioni di persone sono state rinchiuse nelle case, sottoposte ad un t.s.o. di fatto, altrimenti impedite di accedere ovunque, di spostarsi, lavorare, vivere. Questi non erano eroi, non erano uomini liberi con sete di verità e giustizia: sono stati insultati e disprezzati. Il problema del dire cose sempre vere è che poi vanno sempre dette, non a sprazzi.
Sono due anni che assistiamo a giustificazioni raffazzonate, false e lisergiche sulla pandemia, oggi sulla guerra, domani sulla carestia e la prossima settimana sull’inquinamento o sui vulcani che eruttano e la pioggia che bagna, nell’elettrico spaventarsi per le ombre cinesi che il potere proietta sui muri dei nostri cervelli. L’unico argine al potere, per un prete o un fedele cattolici, dovrebbe essere l’onnipotenza operosa di Dio e la possibilità – non l’ottusa certezza – della salvezza, che passa per la croce.
Mi raccontava un’amica della giovanissima figlia la quale, con grande calma e semplicità, commentando la guerra ha detto: “Mamma, se Dio permette questo vuol dire che è giusto così, è la cosa migliore per tutti”.
Questa è l’unica pace possibile: quella di una bambina che sa di avere un Padre che vuole il suo bene anche nel castigo, cioè nella purificazione, più grande. Mentre questa stessa profondità di visione, questo sguardo radente sui fenomeni erano pane quotidiano con don Giussani – e il suo costante cercare il confronto critico con chiunque avesse davanti – devo confessare di averla riscontrata in misura minore in don Carròn. Il che può essere dovuto ad una mia grave miopia, sia chiaro.
Come cristiano della comune specie sono stanco, anzi esausto, di sentirmi dire quanto è grande l’uomo e quanto potente è il suo desiderio. Non me ne frega nulla, e a parte questo sono bugie. Tutto ciò che non è innestato in Cristo – anche la guerra, come gli uomini sapevano benissimo nel Medioevo – è frattaglia maleodorante.
Don Carròn non è un prete professore di teologia come gli altri, né un opinionista. È stato investito di un affetto e una stima riservata a pochi da don Giussani. È stato invitato a lasciare da papa Francesco. Rimane una figura storica nella Chiesa e nella storia più breve di Cl. Non mi sembra elegante che dalle pagine del giornale monumento della borghesia laicista italiana continui a soffiare sul collo di chi gli succede.
Perché Carròn continua a dialogare con questi ambienti? Avrebbe scritto una meditazione sulla violenza del potere anche a proposito degli abomini insensati del governo Draghi, o lo fa ora perché ritiene meglio riferirsi a paesi e vicende lontani parlando a nuora perché suocera intenda? Gli interessa davvero il dialogo con la borghesia illuminata che sfrutta lui e perfino papa Francesco quando gli occorre il bollino acchiappa-gonzi, e li ignora quanto fanno spiacevoli appelli alla pace e consacrano la Russia, l’Ucraina e l’umanità tutta alla Madonna?
Ha ragione Francesco Balducci nell’articolo pubblicato da Aldo Maria Valli, quando scrive che Carròn mira ad ostacolare il nuovo corso di Comunione e Liberazione, in aperta opposizione alle disposizioni del pontefice?
Abbiamo annacquato Cristo all’inverosimile ed esaltato la povera cosa che è l’uomo oltre la decenza. Non è andata benissimo, mi pare. Ricorrere alle medesime proposte e strategie forse buone (forse) fino a un paio di anni fa, di fronte ad una situazione obiettivamente stravolta contrassegna quanto meno un appannamento del giudizio.
Quanto alla guerra in corso, consiglio a don Julian di leggere e possibilmente seguire William Arkin (su questo blog abbiamo pubblicato contributi autorevoli e critici con la vulgata televisiva, quasi esclusivamente da fonti americane), ex ufficiale dell’intelligence del Pentagono, analista molto informato e certo non filo-russo.