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mercoledì 16 marzo 2022

Lettera dall’Argentina / “Religio depopolata”. Per la Chiesa e la fede un bilancio devastante #traditioniscustodes

Un'interessante traduzione di Aldo Maria Valli di una lettera di un vescovo argentino.
Luigi

4-3-22
di monsignor Hector Aguer*

Ho saputo che, a breve, in marzo o aprile, un’équipe composta da nove persone (due sacerdoti, due suore, una coppia di coniugi e tre laiche), su iniziativa della Commissione missionaria episcopale e delle Opere missionarie pontificie, andrà in una regione dell’Amazzonia peruviana, per svolgere lì compiti di missione. Suppongo che l’iniziativa abbia l’accordo e il sostegno delle autorità della Conferenza episcopale argentina (Cea), dal momento che una delle sue organizzazioni vi è coinvolta. Comprendo che, in questo modo, si profila una risposta al movimento determinato nella Chiesa dal sinodo dei vescovi, che nell’incontro del 2019 ha avuto come tema proprio i problemi della regione amazzonica nei suoi molteplici aspetti, compresi quelli religiosi. Le esigenze pastorali di quella vasta area sono innegabili. Questo commento si riferisce alla realizzazione della vocazione ad gentes, che è sempre stata vissuta nella Chiesa per esprimere la sua unità ispirata dall’Amore (agápē), e la sua universalità.
Ha però attirato la mia attenzione il fatto che si affermi la necessità di “creare una Chiesa dal volto amazzonico”. Mi viene da pensare, con un certo sospetto: perché non una Chiesa dal volto cinese o indiano?
È in ogni caso opportuno rallegrarsi, con la soddisfazione che viene dalla Fede, e anche dalla complessità della situazione attuale, del fatto che i fedeli cattolici, specie se consacrati nel sacerdozio, o nella professione religiosa, si preoccupino e s’impegnino sull’estensione della Chiesa, in ambiti che potremmo considerare “vacanti”, dove forse molte persone desiderano e sperano di ricevere la Parola di Dio, e i sacramenti che comunicano la sua Grazia. Tuttavia, riflettendo su questa generosa iniziativa, sono rimasto perplesso. E a casa, come siamo messi? Ho scritto molte volte su questo argomento, affermando che non è possibile nascondere le carenze religiose dell’Argentina e il costante ripiegamento della Chiesa. Non dobbiamo più solo lamentare la secolarizzazione della cultura e la scristianizzazione della società, che hanno radici storiche dovute al secolarismo e alla massoneria; penso di non esagerare quando dico che la religione cattolica, in ciò che è più essenzialmente elementare, è in piena ritirata. Più precisamente: tante chiese spopolate, seminari semivuoti, case religiose decimate dalla mancanza di vocazioni, diminuzione del numero di matrimoni e battesimi, e altre situazioni dolorose. Buenos Aires è la nostra Amazzonia. I gruppi evangelici stanno occupando i luoghi che la Chiesa cattolica abbandona per mancanza di risorse umane, e suppongo anche economiche. La Patagonia è terra di nessuno. Cosa penserà don Bosco, anche nella gioia inalterabile del Cielo? Qualcuno può obiettare che in alcune diocesi ci sono persone molto attive. Sì, piccoli gruppi, con una liturgia devastata che si è trasformata in rumorose baldorie di pochi partecipanti. Ci sono eccezioni, lo so. Ma la mancanza di precisione, solennità e bellezza nella Messa fa desiderare a non pochi tutto ciò che il motu proprio Traditiones custodes ha messo da parte.

La Chiesa ha perso la sua gioventù. In passato, l’Azione cattolica era riuscita a radunare un consistente contingente giovanile: non è mancata la formazione dottrinale e spirituale, insieme alla coltivazione dell’ardore apostolico. In proposito voglio ricordare l’opera di monsignor Jorge Carreras, parroco di Nostra Signora della Balvanera, nella capitale federale, e poi vescovo ausiliare di Buenos Aires e diocesano di San Justo. Padre di numerose vocazioni sacerdotali, monsignor Carreras aveva come posto di lavoro il confessionale. Purtroppo, a partire dalla metà degli anni Sessanta del Novecento, la politicizzazione dovuta alla Teologia della liberazione, e al cosiddetto Movimento dei sacerdoti per il Terzo mondo, ha devastato i giovani dell’Azione cattolica, oltre che quelli della pastorale universitaria: il marxismo, mascherato da peronismo, ha conquistato l’opinione e l’azione di molti. Anche in questo caso ci sono state eccezioni, senza dubbio, ma erano sempre una minoranza. Al momento non si trova un movimento giovanile cattolico diffuso. Nessuno ha interesse a parteciparvi, non suscitano passione, e non c’è l’entusiasmo di professare una fede conquistatrice degli individui, delle famiglie e della società.

In Argentina la liturgia (torno sulla questione che ritengo fondamentale) è caduta nella banalità, se non in qualcosa di peggio. La mancanza di precisione, solennità e bellezza si diffonde, soprattutto perché non c’è una buona formazione liturgica nei futuri sacerdoti. In questo contesto, molte persone, che non hanno nessun peso per la gerarchia ufficiale ecclesiastica, bramano un cambiamento, tutto il contrario di quanto è stato dispoticamente imposto con Traditiones custodes.

L’azione sociale, che dovrebbe ispirarsi alla Dottrina sociale della Chiesa, si limita ad alcuni ambiti di sostegno ai più poveri, ma non aspira al cambiamento urgente: liberare la democrazia dall’elettoralismo, che la rende schiava a vantaggio della casta politica. Qualcosa di peggio dell’ordine culturale sono i “nuovi paradigmi”: adottati come auspicabili nei centri ufficiali della vita cattolica, rispondono incautamente ai postulati del Nuovo Ordine Mondiale, sostenuti dall’imperialismo internazionale del denaro.

Potrei continuare con la descrizione di quelli che considero i nostri mali. Quattro anni fa sono diventato emerito, e mi stupisco contemplando dall’esterno dell’ufficialità episcopale la situazione religiosa in Argentina. Molti si dimostrano ansiosi di aderire a quello che è considerato l’orientamento dell’attuale pontificato. Incredibile. Perché questo orientamento non ha nulla a che fare con la realtà, che procede spedita per la sua strada. Per riassumere in un titolo la situazione che ho finora solo in parte delineata, dovrei dire religio depopolata.

Mi sono abituato a seguire (con piacere ma, allo stesso tempo, con dolore) la predicazione di alcuni pastori evangelici, che parlano di ciò che non si sente più dire nella Chiesa: il primato di Dio e di Cristo; il diavolo e la sua astuta attività ai nostri giorni; il peccato, causa di tanti altri mali spirituali e materiali; la necessità della conversione; e la testimonianza, che è dovere del cristiano, in riferimento all’atteggiamento della Chiesa nascente, di fronte alla società pagana. Al cattolicesimo mancano gli spazi nei media, che oggi si estendono all’universo della “rete”.

Faccio un’osservazione che mi sembra spiegare, in larga misura, la situazione religiosa argentina così come quella di altri Paesi ex cattolici: il moralismo che racchiude la diffusione della fede, e l’entusiasmo pastorale, nell’ambito kantiano della Ragion pratica. Così la Parola di Fede non risuona più del vigore che spinge alla conversione. La dimensione profetica della missione ecclesiale è bloccata, ridotta. Di fronte alla pandemia, ad esempio, riesce solo a ricordare l’“obbligo morale” di vaccinarsi, non quello di convertirsi mediante la preghiera e il digiuno affinché, come tante volte è manifestato nella Scrittura, il Signore intervenga e fermi la mano dello Sterminatore. La fede viene prima. Senza di essa, i giudizi morali non saranno veramente cristiani.

Mi riallaccio a quel che dicevo all’inizio. Potremmo rallegrarci se, nella ricchezza della fede ardente e della feconda sequela di Cristo, che si rispecchiano nella cultura e nella vita della società argentina, decidessimo di condividere questi beni con altri popoli nell’universalità della Chiesa. Ma non sembra ragionevole cedere a un colpo di testa, a uno impeto romantico o ideologico, quando qui da noi i problemi religiosi ancestrali persistono e si aggravano. Rimane, ufficialmente, ciò che la massoneria non ha difficoltà ad appoggiare, perché coincide con il proprio moralismo di esaltazione dell’Umanità. Dio e Cristo non sarebbero necessari. Il cristiano deve preoccuparsi della cura della “casa comune”, della giustizia nella distribuzione dei beni della Terra, della deforestazione, del cambiamento climatico e di tutto ciò che è necessario per “vivere meglio” in questo mondo.

Prego che la missione nell’Amazzonia peruviana raggiunga i risultati che i suoi organizzatori si sono prefissati. E a tutti loro suggerisco che, al ritorno da quell’area, decidano di tentare una missione in Argentina. Ma, naturalmente, prima dovrebbero accorgersi di quanto bisogno ne abbiamo.

*arcivescovo emerito di La Plata


Traduzione di Valentina Lazzari

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