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giovedì 17 febbraio 2022

Il Santo del giorno in Plinio Corrêa de Oliveira #33 Beato Giovanni da Fiesole, detto Angelico (18 febbraio)

Continuiamo i commenti del Santo del giorno del prof. Plinio Corrêa de Oliveira (QUI): beato Giovanni da Fiesole, detto Angelico (1395 circa - 1455).

18 febbraio. A Roma, beato Giovanni da Fiesole, detto Angelico, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, sempre unito a Cristo, espresse nelle sue pitture ciò che contemplava nel suo intimo, in modo tale da elevare le menti degli uomini alle realtà celesti. (Martirologio Romano ed. 2004)

L.V.

18 gennaio
Beato Angelico

“Guido di Pietro (1395-1455) nacque a Firenze. Quando aveva vent’anni, mentre ascoltava, in una notte di Natale, l’omelia di un noto domenicano, decise di entrare nell’Ordine dei Predicatori e vi fu ammesso come novizio nel convento di San Domenico, a Fiesole. Il giovane dimostrava già una grande attitudine artistica, ma ritenne più opportuno abbandonarla per consacrarsi a Dio. I suoi confratelli di abito invece lo dissuasero da questa idea, incoraggiandolo a sviluppare i suoi talenti. Perciò, il priore gli ordinò subito di ornare i ‘Libri delle ore’ della biblioteca conventuale. La sua vita, inizialmente tranquilla, fu alterata per tre volte dai trasferimenti di convento. Infatti, il primo spostamento si dovette allo Scisma d’Occidente, poiché il superiore di Fiesole, il beato Giovanni Dominici non riconosceva il papa che la repubblica di Firenze aveva ammesso.

“Tuttavia, questi trasferimenti contribuirono all’arricchimento spirituale e artistico di Fra Giovanni, l’Angelico, specialmente il periodo trascorso a Foligno, vicino ad Assisi, che il santo frate visitava con frequenza. Da buon domenicano, aveva un grande entusiasmo per l’opera di San Tommaso d’Aquino, la conosceva perfettamente, di essa nutriva la sua pietà e su di essa, inconsciamente, fondava le basi della sua opera futura. Nella Somma Teologica scopriva la sua nuova ragion d’essere e il suo ideale artistico.

“Per la bellezza sono necessari tre doni, diceva San Tommaso: in primis, l’integrità e la perfezione, perché le cose incompiute, sono in quanto tali deformate; inoltre, ci vuole una proporzione ed armonia tra le parti. Infine, occorrono la chiarezza e lo splendore. Infatti riteniamo belle le cose dai colori chiari e splendenti. Fra Giovanni fece di questa legge la sua regola d’oro. Nel 1418, i domenicani di Fiesole ritornano al loro convento e allora il santo frate, colmo di soddisfazione, si dedica alla sua arte. La sua prima grande opera fu un quadro destinato alla Certosa di Firenze; si susseguirono altre, sempre più numerose. I frati trasbordavano di ammirazione. Uno di loro disse: ‘Fra Giovanni non dipinge, prega’.

“In effetti la sua arte era un cantico, una preghiera. Non prendeva mai i suoi pennelli senza invocare l’Onnipotente ed è in stato di grazia che collocava i suoi angeli nei giardini fioriti del Cielo. I suoi angeli musicanti erano così belli e talmente puri che la loro melodia sembrava diffondersi in note cristalline tra le arcate del convento, man mano che il pittore dava loro vita. Era allora che, ogni tanto, un anziano frate apriva la cella del pittore, guardava meravigliato e se ne andava senza fare rumore, nascosto dal suo cappuccio. E fu proprio questo ammiratore discreto e dimenticato che gli diede il nome glorioso: quello di Angelico. Un unico religioso, prima di lui, era stato degno di averlo: San Tommaso d’Aquino, la sua guida e il suo maestro. Da quel giorno in poi, Fra Angelico si meritò l’epiteto di ‘divino’ e divenne il ‘San Tommaso’ della pittura.

“Nel 1435, Fra Angelico fu incaricato di dipingere gli affreschi del vecchio Convento di San Marco, a Firenze. Si impegnò anima e corpo al lavoro e, ogni giorno, prima dell’aurora, uno spettacolo divenne familiare ai monaci di San Marco: in piedi sopra una impalcatura che gli permetteva di toccare il tetto di ogni stretta cella, un curioso penitente recitava il suo Rosario: era il Fra Angelico che pregava prima di incominciare a dipingere. Inginocchiati a terra, altri due giovani monaci lo accompagnavano nella preghiera. Tre povere lampade a olio illuminavano la scena, facendo tremolare le ombre e splendere le tonsure. Dunque, il pennello dell’Angelico, che dicevano quasi fosse fatto con capelli di angeli, iniziava a muoversi e a colorare. Il suo azzurro era ineguagliabile. ‘Dipingo ispirandomi alla volta celeste del Paradiso’, soleva dire sorridendo. Fra Giovanni ottenne da Roma la stima e l’amicizia del Santo Padre. Un giorno, questi lo giudicò degno del Arcivescovato di Firenze, che era vacante. Ma l’Angelico supplicò il Papa di designare al suo posto un suo fratello dell’Ordine domenicano, suo amico, un religioso pieno di scienza e umiltà. Fu così che Fra Angelico indicò un arcivescovo che verrebbe canonizzato cent’anni dopo, Santo Antonino, che combatté tenacemente il Rinascimento…

“L’umile religioso, divenuto uno degli artisti più celebri del suo tempo, era ancora a Roma quando l’ultima infermità lo sorprese nel convento dei Frati Predicatori di Santa Maria Sopraminerva. La sera del 18 febbraio del 1485, il monastero era ravvolto da un grave silenzio. Ogni frate aspettava, nella propria cella o nel coro, l’istante in cui la campana avrebbe rintoccato per annunciare l’ultimo sospiro di Fra Angelico. Alle otto, il breve e doloroso segnale suonò. In pochi minuti, la cella e i corridoi si riempirono di monaci in ginocchio. Da quel silenzio si innalzò la melodia della Salve Regina, mentre il viso di Fra Giovanni si illuminava con un calmo sorriso. La leggenda narra che, in quel momento, una lacrima scivolò sul viso di tutti gli angeli dei suoi quadri, quegli angeli che egli aveva dipinto senza sapere che gli avrebbero portato l’aureola del suo inimitabile genio e della sua santità”.

È una bellissima scheda storica, perché è una bellissima biografia. Mi trovo perfino in imbarazzo nel selezionare qualche aspetto da commentare con voi.

Innanzitutto, qui è affermato un principio fondamentale della Civiltà cristiana: il principio della reversibilità dei piani. In cosa consiste?

Ogni forma di ordine, di bellezza, di virtù esistente in un piano, è suscettibile di essere trasposta in un altro piano. Perciò, se c’è un Tommaso d’Aquino nella filosofia e nella metafisica, ci deve essere un “Tommaso d’Aquino” nella musica e in tutti gli altri ordini. Questo a causa del principio monarchico nell’universo, secondo cui tutte le perfezioni sono reversibili fra loro, e devono ridursi o sublimarsi in una perfezione suprema. Devono esistere “supremi” in tutti gli ordini.

Questa reversibilità si fonda sugli stessi principi dell’essere. L’essere ubbidisce a certe regole che non sono altro che lo svolgersi dei principi a esso inerenti. Perciò, le regole della pittura, della musica, dell’arte, del governo dei popoli, insomma tutto, non è altro che l’applicazione dei principi generali dell’essere ai vari campi. Da ciò risulta che la vita umana forma un’armonia meravigliosa, nella quale gli stessi principi fondamentali si incrociano, si scambiano e si spiegano a vicenda, costituendo quella totalità che formerà la perfezione di ciò che tanti santi hanno chiamato il Regno di Maria, cioè un’epoca storica in cui Nostro Signore Gesù Cristo e Sua Madre Santissima regneranno specialmente sulle anime e, quindi, sulla società.

Nel Regno di Maria, quando si entrerà in una cattedrale, in essa si vedrà non solo l’espressione dell’ordine religioso, ma anche di quello politico, economico e sociale vigenti. In essa si ascolterà una musica che sarà la versione musicale dell’architettura sacrale della cattedrale, ma anche dell’ordine politico, economico e sociale allora vigenti. Quando si svolgerà la liturgia, essa avrà la pomposità che manifesta l’ordine interno della Chiesa cattolica. Però, dato che il vero ordine temporale non è altro che una proiezione inferiore dei superiori principi dell’ordine spirituale della Chiesa, tutto ciò, a sua volta, produrrà un’altra armonia ancora. E l’uomo vivrà inondato di armonie, e non di aberranti contraddizioni. Armonie che formeranno una specie di immensa sinfonia di armonie, il cui punto di unità ci parlerà continuamente di Dio.

Consideriamo san Tommaso d’Aquino e il beato Giovanni da Fiesole. La scheda storica appena letta descrive entrambi molto bene chiamandoli “angelici”: il “Dottore Angelico” e il “Pittore Angelico”. Se, a causa del più funesto crimine della storia dopo il tradimento di Giuda, il Medioevo non fosse stato distrutto prematuramente, avremmo avuto “angelici” in tutti i campi sociali. Abbiamo, per esempio, due “guerrieri angelici”: san Luigi IX di Francia e san Ferdinando III di Castiglia.

Nel Regno di Maria avremo tante realtà “angeliche”. Sarà un ordine angelico, coerente, luminoso, soprannaturale, profondamente logico, l’ordine della Civiltà cristiana e della Santa Chiesa cattolica apostolica romana. Un ordine quasi più consono agli angeli che agli uomini. Un ordine che li indirizzerà verso il Paradiso.

Alla base dell’opera di Fra Angelico, come di quella di san Tommaso d’Aquino, vi è la virtù della sapienza: una virtù architettonica mediante la quale l’uomo cerca come un bene supremo, già in questa vita, la profonda armonia fra le cose, e con la quale scopre la coerenza del creato. Innanzitutto, perché in quest’armonia la propria natura trova la sua piena espansione. Ma anche, e questa è la ragione più alta, perché quest’armonia, in fondo, mostra qualcosa di ineffabile, di totale, che è il migliore simbolo di Dio. Dio si riflette nell’armonia di tutte le cose. Chi ama quest’armonia, ama il simbolo di Dio, cioè, ama Dio stesso.

Per esempio, chi ama il nostro leone araldico, ama la TFP. Il leone esprime ciò che noi siamo. Chi ama quel leone, ama qualcosa di spirituale che corrisponde a una nostra caratteristica, senza la quale noi non saremmo noi stessi. Così come un leone può simboleggiare un’associazione, a fortiori, l’intero universo può simboleggiare Dio Nostro Signore. In questa suprema armonia vi è un’espressione di Dio, che non è la visione beatifica, ma ne è una pregustazione. Chi ama queste realtà simboliche, predispone l’anima per amare Dio nella visione beatifica.

Questa armonia non è ugualitaria. È un’armonia monarchica, che ha il suo punto centrale nel sublime, che si inserisce in un punto supremo dell’ordine creato, dal quale poi derivano tutte le armonie. Qual è quest’armonia? In che cosa si manifesta meglio?

Nell’ordine delle creature, si manifesta nella Madonna.

Tra le creature, Ella non è soltanto la più perfetta. Secondo il concetto che stiamo considerando, il più perfetto non è solo il primo tra i pari, ma contiene in sé le perfezioni di tutti gli altri esseri inferiori. Di modo che tutti gli esseri perfetti che si trovano nei livelli inferiori, sono da lui sintetizzati e compendiati. Alla luce di questo principio, la Madonna ha in sé tutte le forme e tutti i gradi di perfezione di tutte le creature compendiate in Lei, e in Lei elevate a un grado di sublimità che non trova parallelo con nessun’altra creatura. La Madonna non è solo la sintesi di tutto, ma è la sintesi posta in uno stato di sublimità che esclude qualsiasi parallelo con qualsiasi creatura inferiore. Tra Lei e noi non c’è soltanto un abisso, ma una serie di abissi insondabili. È così che la Madonna è la più perfetta di tutte le creature.

Esiste, però, Qualcuno ancor più perfetto.

Nella Sua santissima umanità, Nostro Signore Gesù Cristo era più della Madonna. La perfezione di tutte le perfezioni si trova nel Sacro Volto. Il Suo sguardo, la Sua fisionomia rispecchia tutte le forme e tutti i gradi possibili di perfezione dell’anima umana, aggiunto di qualcosa di divino e, dunque, di ineffabile.

Perfetto in ogni dettaglio, Nostro Signore Gesù Cristo doveva avere tra gli aspetti più perfetti il viso, che è il compendio di tutte le perfezioni del corpo. Sono sicuro che se qualcuno riuscisse a conoscere questo Volto com’era davvero, e non dopo le deformazioni dovute alla Passione, capirebbe che le proporzioni dei suoi tratti dovevano contenere tutte le regole dell’armonia dell’universo. Studiando il Sacro Volto, si riuscirebbe a conoscere tutta la bellezza dell’universo. Tutto l’ordine dell’universo si intuirebbe a partire dalle proporzioni del Sacro Volto.

Contemplando il Sacro Volto si scoprirebbe non solo la suprema bellezza naturale, ma anche qualcosa che non sempre si trova unita alla bellezza: il fascino. Molte volte vediamo forme di bellezza prive di fascino, come forme di fascino prive di vera bellezza. Nostro Signore, invece, aveva un fascino incredibile! Il Suo fascino spaziava dalla maestà più impressionante, per noi quasi impossibile da fissare, sino alla grazia più tenera, più affabile, più capace di farsi piccola per accarezzarci. Tutto ciò costituiva uno charme supremo oltre alla bellezza perfetta, insieme a una intelligenza infinita e a una santità trascendente. Ecco com’era la Sua fisionomia!

In fondo, è questo che san Tommaso ha visto e sul quale ha meditato. È questo che il Beato Angelico ha visto e che cercò di svelare tutta la sua vita attraverso l’arte. È questo che risplenderà nel Regno di Maria. Attraverso tutte le armonie della civiltà del Regno di Maria, vedremo qualcosa che ci farà pensare al viso immacolato, santissimo, regale, materno e dolcissimo della Madonna, e al viso per il quale non vi sono parole, in cui cessano gli aggettivi, in cui tutto è silenzio, adorazione e riverenza: il Sacro Volto di Nostro Signore Gesù Cristo!

Contemplando queste armonie ci prepareremo alla visione beatifica per tutta l’eternità.

Fonte: Plinio Corrêa de Oliveira, Cum Sanctis Tuis, ChoraBooks (QUI per acquistare)

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