Dagli amici di Campari e de Maistre un ricordo per i 130 anni dalla nascita dell'autore de Il Signore degli Anelli.
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Luigi
Tolkien fra lingue elfiche e liturgia
di Francesco Filipazzi
John Tolkien nasceva al cielo quarantacinque anni fa, dopo averci donato un'opera mitopoietica senza eguali che, oltre alla narrazione, offre una quantità di spunti ed insegnamenti senza fine. Oggi vogliamo proporre al lettore due riflessioni, una riguardo le lingue elfiche ideate dal Professore e una riguardo la sua notoria adesione al cattolicesimo romano.
Le lingue maggiormente parlate dagli elfi di Tolkien sono il Quenya e il Sindarin. Nella terza era, dove si svolgono le avventure narrate in Lo Hobbit e nel Signore degli Anelli, la lingua parlata era il Sindarin, mentre la prima, nota anche come Alto Elfico, era la lingua colta. Si trattava infatti del linguaggio parlato dagli Elfi nel Reame Beato di Valinor e nel Beleriand durante la Prima Era. Le persone di alto lignaggio e i più "antichi" vedevano questa lingua, che pure fra loro parlavano, come una sorta di latino. Quando Bilbo giunse a Gran Burrone salutando con un "Elen síla lúmenn'omentielvo" (Una stella brilla sull’ora del nostro incontro), l'elfo Gildor esclama "Non parlate dei vostri segreti! Abbiamo qui uno studioso dell'Antica Lingua: Bilbo era un buon maestro". Per gli elfi provenienti dalle Terre al di là del mare, quella era la lingua della propria stirpe, della tradizione, di coloro che si erano conservati in santità senza tradire il patto con Iluvatar, ma si sbaglierebbe chi pensasse ad una semplice nostalgia del suono di una lingua sacra e bellissima. Il Quenya rappresentava anche la grande speranza del popolo elfico di tornare a casa alla corte dei Valar, i santi di Iluvatar, a vivere in pace e riconciliati. Potremmo fare un parallelo fra il Quenya e le lingue sacre utilizzate nelle liturgie della Chiesa, latino e greco antico in primis, l'aramaico, che nonostante il martirio recente sopravvive, senza dimenticare lo slavo ecclesiastico di Cirillo e Metodio. Per un cristiano queste sono le lingue, in primis, di Gesù Cristo, poi degli apostoli, dei primi martiri, dei Vangeli. Il loro utilizzo, in particolare quello del latino, maggiormente messo in discussione, non è un problema di nostalgia o di capriccio, ma come accade con l'Alto Elfico, è una tensione verso la santità di chi ci ha preceduti ed è soprattutto frutto della speranza nel ritorno a casa, alla corte dell'Altissimo. Qualcuno penserà che il paragone sia azzardato, ma depone a nostro favore il fatto che lo stesso Tolkien non fu molto incline, ad esempio, ad accettare la riforma liturgica, consapevole dell'importanza ricoperta dalla lingua sacra nella percezione che ha di sé un popolo.
Giungiamo dunque all'adesione convinta di Tolkien al Cattolicesimo romano. In un'epoca di secolarismo e materialismo, in piena rivoluzione dei costumi fra gli anni 60 e 70 e nell'avvenuta negazione del sacro dei decenni successivi, il Signore degli Anelli spopolava e spopola. Eppure si tratta di un'opera intrisa di sacralità, scritta da un cattolico sostanzialmente tradizionale. Il "romanzo del XX secolo", cioè il romanzo del secolo dell'apostasia, è nei fatti fortemente cattolico. Milioni di persone evidentemente ci hanno trovato qualcosa di importante, segno del fatto che il cuore dell'uomo, seppur addormentato o addirittura pervertito, è sempre alla ricerca di qualcosa di più alto. Sembra quindi che Tolkien abbia contribuito a passare un insieme di valori alle generazioni a venire, tanto che non è sbagliato dire che il Professore sia ormai parte integrante della formazione dei cattolici più giovani.