«La verità universale si incarna nella Chiesa. L'ideale definitivo e il fine ultimo risiedono non nello spirito di nazione, che di per sé costituisce una forza puramente ausiliaria, bensì nella Chiesa, che è la missione più alta e il fine del servizio, ed esige un eroico impegno morale non solo dalla singola personalità, ma anche dal popolo tutto»
(Vladimir Sergeevič Solov'ëv)
Riceviamo e pubblichiamo.
Per le letture dei nostri lettori.
Luigi
Per «ricostruire l’umano» servono azione e contemplazione
Un libro racconta la storia di San Gregorio Magno. Può un Papa vissuto 1.500 anni fa dirci qualcosa di utile e significativo sul nostro presente?
«A chi dobbiamo riferirci, a quale fonte abbeverarci, per muovere i primi passi di una ricostruzione dell’umano che appare sempre più urgente, giorno dopo giorno?». Inizia così la prefazione di mons. Massimo Camisasca a Una strada nella tempesta. Attualità dell’esperienza di Gregorio Magno (Cantagalli, 2021, pagg. 208), ultima opera di Gianluca Attanasio, sacerdote della Fraternità di san Carlo Borromeo.
Prefetto durante il crollo dell’Impero
Ci sono uomini che chiudono un’epoca e ne aprono un’altra, Gregorio è di questi: ultimo papa dell’età romana e primo del medioevo. Nato nel 540 nella famiglia patrizia degli Anici, ha vestito in giovane età la toga senatoria, arrivando a diventare praefectus urbis a poco più di trent’anni. L’autore racconta come la Roma di Gregorio fosse una città surreale, in cui un popolo disorientato si aggirava tra templi ormai in rovina («Quella che un tempo sembrava essere la signora del mondo, Roma, a cosa sia ridotta lo vediamo con i nostri occhi: abbattuta da molti immensi dolori, dalla desolazione dei cittadini, dall’incombere dei nemici», così Gregorio nelle celebri Omelie su Ezechiele). Ma Roma era anche la città dove quel prefetto nobile e saggio, quel giovane che si aggirava per via «vestito di seta e adorno di gemme», appariva agli occhi di tutti come un vincente, come la guida perfetta.
Azione o contemplazione?
All’improvviso, la crisi. E una svolta inaspettata. Gregorio depone la toga senatoriale per la tonaca benedettina, distribuisce ai poveri un terzo dell’enorme patrimonio di famiglia e per sé tiene soltanto il suo palazzo del Celio, che trasforma nel monastero di sant’Andrea, dove trascorre cinque anni di studio e penitenza. Cos’è successo? Per i biografi è difficile dirlo. Gianluca Attanasio scrive che «la voce della divina chiamata è già risuonata nel suo cuore, e gli affari del mondo, paragonati allo splendore della luce celeste, gli appaiano insipidi e noiosi». Queste parole esprimono esattamente il dramma che segna l’intera vita di Gregorio, e che l’autore di Una strada nella tempesta pone come tema centrale del libro.
«Egli è un mistico – scrive Attanasio – e desidera più di ogni altra cosa il silenzio e la preghiera. Dio, però, gli ha donato doti di governo assolutamente fuori dal comune». È per questo che gli è difficile rinunciare al suo posto nella società, specialmente «mentre Roma trema per la minaccia dei Longobardi». La grande intuizione di Gregorio è comprendere che i suoi interrogativi rivestono un valore universale, per Attanasio «sono gli stessi che attanagliano i pastori d’anime, i vescovi, gli abati e, più in generale, tutti coloro che desiderano vivere in Dio senza condurre un’esistenza puramente contemplativa».
Le basi dell’Europa cristiana
Per l’uomo che riuscirà a riaccendere la speranza nei suoi contemporanei ponendo le basi dell’Europa cristiana, l’interrogativo se sia «possibile che l’esperienza più esaltante della vita sia preclusa alla maggioranza degli uomini» è a tal punto lacerante, che da una parte lo fa cadere in una profonda depressione, dall’altra lo sprona a scrivere quel capolavoro di spiritualità che è La regola pastorale, «testo breve e magnifico» che «per tutto il Medioevo sarà il manuale di chi ricopre incarichi di governo nella Chiesa e nella società civile».
Ma è ormai evidente che nella vita di Gregorio dietro ogni “contraddizione” si nasconda un progetto; solo in quest’ottica può spiegarsi come ogni volta che questi scelga il silenzio della contemplazione, qualcosa lo rigetti nel vortice più burrascoso. Un nuovo colpo di scena, infatti, è alle porte. A trentanove anni è costretto ad abbandonare la comunità monastica di Sant’Andrea per tornare agli affari del mondo: Papa Pelagio II, che intanto l’ha ordinato diacono, lo invia come apocrisario a Costantinopoli per «combattere i residui dell’eresia monofisita» e per ottenere dall’imperatore un aiuto contro i Longobardi.
Come governare la peste
Tornato a Roma dopo nove anni, Gregorio si trova davanti alla piaga di una peste che, oltre al Pontefice regnante, ha già sterminato un numero enorme di abitanti. Divenuto Papa a furor di popolo (malgrado i tentativi di fuga), la condotta che assume nel fronteggiare l’epidemia non può non riportare il lettore di Una strada nella tempesta nel pieno dell’oggi pandemico, accendendo la curiosità verso un approccio tanto “integrale” quanto risolutivo. Ricordando che il Papa invitò la popolazione a una profonda penitenza e contrizione del cuore, Gianluca Attanasio sottolinea che la sua proposta «rivela non soltanto la forza spirituale di chi è certo che la preghiera possa operare miracoli», ma anche – forte anche del suo passato da prefetto – «un talento organizzativo non comune».
In un ammirevole programma fatto di precisione liturgica e organizzativa, l’autore riporta le parole di Papa Gregorio: «Sette cortei devono partire da altrettante chiese di Roma per poi raggiungere la basilica di Santa Maria Maggiore, dove si svolgeranno tre giorni di canti e preghiere per implorare la cessazione dell’epidemia». L’epilogo è noto: il Papa scorge sulla cima del mausoleo di Adriano un angelo che ripone la spada: è il segnale che il Cielo ha accolto le preghiere e che il flagello volge al termine. Da allora il monumento prenderà un nuovo nome: Castel Sant’Angelo.
Gregorio come «metodo educativo»
Gustando le prodezze di Gregorio, opportunamente attualizzate nel saggio, tornano in mente le parole introduttive di mons. Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, laddove questi parla del Papa “Magno” come «una fonte a cui abbeverarsi, una intelligenza che illumina, una strada», spingendosi a presentarlo come «un metodo educativo». Parole centrate, se si pensa alla maestria spirituale con cui Gregorio ha affrontato ogni ostacolo del suo pontificato. Primo tra tutti l’ostica e urgente questione longobarda, per esempio, circa la quale, secondo Attanasio, «se da una parte Gregorio riconosce la necessità di fermare l’avanzata dei barbari per garantire la sopravvivenza di Roma», dall’altra «è preoccupato della salvezza di quel popolo, di cui tutti hanno solo paura». Ecco allora tessere con loro rapporti di amicizia e fraternità, e sfoderare quella “diplomazia epistolare” i cui frutti sono idealmente racchiusi nella splendida Corona ferrea che Teodolinda, regina dei Longobardi, donò al Duomo di Monza.
«Trasferirli dal culto dei demoni al culto del Dio vero»
Il “metodo educativo” di Gregorio Magno si palesa in tutta la sua efficacia anche in quello che Attanasio chiama «l’esemplificativo caso della Britannia». Per sottolineare «il suo pensiero profondamente moderno», l’autore prima fa toccare con mano l’impeto missionario di Gregorio («Ci è pervenuta notizia che la stirpe degli Angli desidera ardentemente, per misericordia di Dio, convertirsi alla fede cristiana […] Per questo abbiamo provveduto a mandare lì il monaco Agostino, il cui zelo e ardore ci sono ben noti, con altri monaci»), e poi, quasi a voler suggerire la remota origine di molti dialoganti documenti conciliari, ci riporta la preoccupazione di Gregorio circa la valorizzazione degli aspetti positivi della cultura locale («i templi degli dei di quel popolo non bisogna distruggerli, ma bisogna abbattere gli idoli che sono in essi. Si faccia dell’acqua benedetta, si sparga […] Bisogna trasferirli dal culto dei demoni al culto del Dio vero, di modo che la gente, quando non vede distruggere i suoi luoghi sacri, abbandoni l’errore e […] frequenti con naturalezza i luoghi che usava frequentare»).
Se i contemporanei gli danno ragione
Anche attraverso il saggio utilizzo di giganti quali Dante e Dostoevskij, oltre che di poeti (Péguy), scrittori (Fallaci e Tamaro), psichiatri (Borgna e Andreoli), teologi (Scola e von Balthasar), sessuologi (Thérèse Hargot), lungo tutto il suo articolato lavoro, Attanasio non si stanca di mostrare quanto il pensiero di Gregorio Magno rappresenti, oggi più che mai, una chance in grado di guidare «nell’affascinante avventura dell’educazione, della testimonianza e […] dell’amore verso i fratelli». Ecco, allora, che il nodo può sciogliersi: la vita contemplativa e l’azione non sono due realtà separate, ma come dimostra l’esistenza santa e tempestosa di un Papa rimasto sempre fedele al suo compito di pastore, queste sono destinate ad alimentarsi e arricchirsi a vicenda. «L’unità vissuta tra la preghiera e l’azione – conclude l’autore – dona all’uomo una letizia grandissima, che persiste anche nei momenti più drammatici, colmando il cuore di pace e […] di un’indomabile forza costruttiva».