Un'interessantissima analisi di Paix Liturgique sull'"unica" forma della lex credendi: è davvero unica o è molteplice, a seconda di chi la celebra? Le aggiunte e le invenzioni fantasiose sono estranee al Novus Ordo o forse vi trovano terreno fertile? Sicuramente conosciamo (rarissimi) sacerdoti che celebrano la liturgia riformata con devozione, sacralità e persino con elementi tradizionali (per esempio, coram Deo) ma sappiamo bene che sono lodevoli eccezioni e talora scoraggiati dalle stesse gerarchie, mentre pressoché ovunque possiamo trovare Messe creative con più varianti di un virus...
In definitiva, un Novus Ordo "ben celebrato" è davvero l'alternativa alla Messa di sempre oppure è semplicemente un mito?
Nella foto, tratta da Avvenire, una delle prime Messe beat, al tempo in cui la riforma liturgica veniva concepita...
Stefano
LA MESSA DI PAOLO VI “BEN CELEBRATA”... UN MITO!
La Lettre de Paix liturgique – n. 833 del 15 Novembre 2021
Alcune settimane fa un gruppo di sacerdoti, religiosi e laici animati dal nostro amico Denis Crouan dell’associazione Pro-Liturgia ha colto l’occasione della pubblicazione del motoproprio di Papa Francesco Traditionis Custodes per lanciare una supplica ai nostri pastori affinché sia «finalmente» applicato il Novus Ordo secondo le sue norme liturgie, abbandonando tutte quelle iniziative che secondo loro lo snaturerebbero, costituendo uno dei motivi di allontanarsi da esso, per i fedeli legati alla liturgia tradizionale.
È un mito vecchio quanto l’esistenza stessa del Novus Ordo. Le esperienze di «buona celebrazione» della Messa di Paolo VI sono in realtà tentativi di mascherarne le debolezze intrinseche. Inoltre, sono considerate dalle autorità come celebrazioni «integriste» e pertanto represse.
Abbiamo evocato nella nostra lettera 683 del 19 febbraio 2019 il caso dell’abbé Jean-François Guérin, poi fondatore della communauté Saint-Martin, che nel 1969 aveva adottato per obbedienza il nuovo rito continuando a celebrarlo con tutta la solennità tradizionale e l’ortodossia che implicava, e si vide immediatamente ammonire da mons. François Marty, cardinale arcivescovo di Parigi, che non lo intendeva così… Vale a dire che per mons. Marty, la celebrazione del Novus Ordo, non doveva essere pervasa da uno spirito di tradizione liturgica e teologica, bensì da uno spirito liturgico e teologico del tutto nuovo.
Potremmo citare anche gli sforzi di quella straordinaria figura del clero parigino, l'abbé Gabriel Grimaud («un prete ultratradizionalista», Médiapart, 19 febbraio 2017), ex cappellano della scuola della Legion d'onore, che gestisce il Foyer Jean Bosco, in rue de Varize 23. Dalla sua ordinazione, circa 50 anni fa, padre Grimaud ha fatto in modo di celebrare il Novus Ordo con dignità, ad orientem, senza mai concelebrare, con ampio uso del latino. È, come era logico, è stato perseguitato dall'arcidiocesi di Parigi quasi fosse un intollerabile fondamentalista.
Come abbiamo detto, questo stato d'animo aveva portato molti fedeli, che si riunivano intorno a questi sacerdoti, a scegliere finalmente la fedeltà alla liturgia tradizionale, una liturgia che talvolta non conoscevano, ma che sembrava più conforme alla loro Fede, alle loro tradizioni religiose e a quelle dei loro avi. Senza voler offendere questi sacerdoti meritevoli (si potrebbe anche menzionare il defunto abbé Montarien, che celebrava in latino nella parrocchia polacca di Parigi); i fedeli preferivano l'originale tradizionale alla copia.
È un po' patetico vedere che gli amici di Denis Crouan e di alcuni altri hanno conservato le loro illusioni sulla realtà della natura della riforma liturgica derivante dal Concilio Vaticano II e vederli, novelli Sisifo o piuttosto novelli Don Quijote, continuare a fare crociate per una causa persa in partenza: vogliono correggere gli effetti (gli "abusi" liturgici), ma senza attaccare la causa (una riforma che ha fatto esplodere il ritualismo).
Per rispondere e illuminare i nostri lettori, riproduciamo il testo chiaro e limpido di Cyril Farret d'Astiès, che risponde ai fedeli legati al messale romano di San Paolo VI.
Rev. padre, fratello, cari amici,
Ho letto con grande interesse la lettera da lei indirizzata ai vescovi, a nome dei fedeli «legati al Messale Romano di San Paolo VI affinché, ovunque, la liturgia sia celebrata con dignità e fedeltà ai testi promulgati dopo il Concilio Vaticano II».
Per cominciare chiedo perdono, perché so che la offenderò e forse la ferirò. La liturgia è un tema così centrale, così importante, così costitutivo della Chiesa e della nostra vita di battezzati che non può essere altrimenti. E mi sembra proprio sano che non dobbiamo essere insensibili ad esso, perché in nessun altro luogo se non nella liturgia ci avviciniamo alle realtà soprannaturali in cui crediamo.
Ma la ricerca della verità, la speranza di uscire dalla crisi attuale, e l'amore per la liturgia stessa mi portano a pubblicare questa risposta, troppo breve, che spero continui qui e altrove con voi e altri. Questa era la mia intenzione quando ho pubblicato un saggio sull'argomento un anno fa. Ma chi avrebbe il coraggio di organizzare un dibattito serio e franco su questo tema essenziale? Jean-Marie Guénois? Bild marziale? Aymeric Pourbaix?
Detto questo, e le chiedo ancora una volta di credere alla mia fraterna sincerità, devo ora contraddirla e sollevare le incongruenze della sua lettera. Perché bisogna dire ciò che si vede e, come esortava Péguy, vedere ciò che si vede, il che è più difficile.
Lei giudica che la creatività è comune nelle parrocchie e che, come tale, è un problema.
Cari amici, la creatività fa parte della nuova liturgia, ed è incoraggiata e attesa ovunque, in un quadro che certamente non permette tutti gli eccessi, ma che permette molte fantasie.
In una sua prefazione (a Cérémonial de la sainte messe à l'usage ordinaire des paroisses suivant le missel romain de 2002 et la pratique léguée du rit romain di Mutel e Freeman, so quanto questo manuale le stia a cuore), Mons. Aillet ha parlato di una «vaghezza descrittiva» nelle rubriche del nuovo messale, che dà luogo a una sorta di «obbligo alla creatività». Questa descrizione la dice lunga sulla profonda difficoltà di capire cosa esattamente ci si aspetta e si chiede al celebrante e ai fedeli. Nell’Ordinamento generale del Messale Romano (OGMR del 2002, il testo della massima autorità che fissa concretamente ciò che si deve fare per la celebrazione della Messa) l'espressione «se opportuno» è usata 29 volte, «può» 113 volte, «a meno che» 10 volte, «comunque» 33 volte, «giudicare» 13 volte, «invece» 2 volte, «raccomandato» 7 volte, «desiderabile» 4 volte, «di solito» 13 volte, «adattamento« 22 volte... tutte queste espressioni sono legate alle possibilità e alle opzioni offerte alla libera scelta e all'ispirazione.
Il n. 352 afferma inoltre che «L’efficacia pastorale della celebrazione aumenta se i testi delle letture, delle orazioni e dei canti corrispondono il meglio possibile alle necessità, alla preparazione spirituale e alle capacità dei partecipanti. Questo si ottiene usando convenientemente quella molteplice facoltà di scelta che sarà descritta più avanti» e in effetti le possibilità descritte sono numerose (vedi n. 390)...
Lei scrive che «l'efficacia della liturgia nella vita della Chiesa è in gran parte dovuta alla fedeltà ai riti prescritti che sono portatori della grazia legata al sacramento».
Questa parola «efficacia» non fa male alle orecchie? Non sembra incongrua questa intrusione taylorista e manageriale nel santuario liturgico, tutto patinato di cristianità e già tinto dei colori del cielo? Tuttavia, non posso che essere d'accordo con lei che è proprio per una maggiore efficienza, in particolare pastorale (es. Sacrosanctum Concilium al n. 49, o l’OGMR al n. 352), che la riforma è stata voluta, portata avanti e applicata.
Al contrario, lo spirito liturgico come è sempre stato inteso nella Chiesa fino alla metà del XX secolo ha sempre cercato la lentezza, l'inutilità, la sregolatezza (fiori, candele, incenso) e l'irrazionalità per rendere a Dio il culto che gli è dovuto.
Lei chiede ai nostri vescovi di far conoscere e applicare le norme stabilite dal Concilio Vaticano II e incluse nel Messale Romano.
Questo è davvero un compito enorme. Quali norme? Quelli che consistono nell'usare il cingolo e la dalmatica ad libitum, nel recitare questo o quel credo, nello scegliere questa o quella lettura e, più problematicamente, perché stiamo trattando il cuore della questione della riforma liturgica, la norma che non fa differenza tra il canone romano e le preghiere eucaristiche per i bambini (OGMR n° 365)?
Lei affronta poi alcuni aspetti pratici e concreti nella sua richiesta ai vescovi. Rivediamoli brevemente:
Sacro silenzio
La nuova messa, che si basa su un'esigenza comunitaria molto forte, fa un posto estremamente importante per le monizioni, i commenti, le parole di benvenuto, gli avvisi... Le monizioni proposte sono numerose e anche difficili da contare con certezza, i testi ufficiali invitano a parlare ovunque: accogliendo la comunità, prima della liturgia della parola, prima e dopo la preghiera universale, prima e dopo la comunione... si possono anche dare indicazioni sugli atteggiamenti da osservare La funzione di «commentatore» è definita come ministeriale nel OGMR (n. 105).
È difficile ristabilire il silenzio e soprattutto lo spirito liturgico del silenzio descritto in modo notevole dall'abbé de Tanoüarn nelle sue meditazioni sulla Messa al capitolo 26.
Il Proprio della Messa
Il Proprio della Messa e i bei testi che offre subiscono lo schiacciamento causato dalle scelte lasciate alla discrezione del celebrante e del suo consiglio (vedi OGMR 58 per l'introito e il suo surrogato per esempio). Stesse cause, stessi effetti. Non insisto.
Orientamento
L'orientamento non è infatti impossibile nella nuova Messa (in occasione la Candelora, i papi hanno praticato questo uso nella Sistina per alcuni anni), ma certamente la nuova Messa non è stata pensata per questo uso. Alcuni esempi lo dimostrano ampiamente:
Sempre allo scopo di incoraggiare la partecipazione, l’OGMR suggerisce ripetutamente che i fedeli vedano ciò che il sacerdote sta facendo all'altare; il n. 307 chiede che il posizionamento dei candelabri non impedisca «non impediscano ai fedeli di vedere comodamente ciò che si compie o viene collocato sull’altare». Il n. 299 afferma molto chiaramente che «l’altare sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo: la qual cosa è conveniente realizzare ovunque sia possibile». Il n. 303 chiede che «nelle chiese già costruite, quando il vecchio altare è costruito in modo da rendere difficile la partecipazione del popolo [...], si costruisca un altro altare [...]. Soltanto sopra questo altare si compiano le sacre celebrazioni».
E se l’OGMR precisa effettivamente a più riprese (nn. 154, 157, 158, 185) che il sacerdote «si rivolge» verso i fedeli, questa formulazione in realtà, più che un'inversione di 180° suggerisce più probabilmente (e tenendo conto di quanto abbiamo appena ricordato) che il sacerdote “rivolga” la sua attenzione verso i fedeli, che li guardi, si rivolga a loro, che la sua applicazione passi dall'altare alla comunità.
Il messale del 1965 era già concepito per una celebrazione rivolta verso il popolo e in volgare (il Papa stesso aveva dato l'esempio).
Infine, ricordate la raffica di legnate che si è abbattuta sulle fragili spalle del caro cardinale Sarah quando ha cercato di ripristinare nel suo diritto l’orientamento alla conferenza internazionale Sacra Liturgia in Inghilterra nel 2016.
Il latino
Neanche il latino (più ancora dell’orientamento) è vietato, ma anche lì lo spirito e la lettera del nuovo messale dicono tutt’altro. Mi si permetta una lunga citazione del papa Paolo VI stesso, legislatore supremo che non può essere sospetto di non comprendere lo spirito del messale che porta il suo nome. Questo discorso è stato pronunciato il 26 novembre 1969 a proposito dell’adozione del nuovo messale, che sarebbe sopraggiunta quattro giorni dopo:
«Qui, è chiaro, sarà avvertita la maggiore novità: quella della lingua. Non più il latino sarà il linguaggio principale della Messa, ma la lingua parlata. Per chi sa la bellezza, la potenza, la sacralità espressiva del latino, certamente la sostituzione della lingua volgare è un grande sacrificio: perdiamo la loquela dei secoli cristiani, diventiamo quasi intrusi e profani nel recinto letterario dell’espressione sacra, e così perderemo grande parte di quello stupendo e incomparabile fatto artistico e spirituale, ch’è il canto gregoriano. Abbiamo, sì, ragione di rammaricarci, e quasi di smarrirci: che cosa sostituiremo a questa lingua angelica? È un sacrificio d’inestimabile prezzo. E per quale ragione? Che cosa vale di più di questi altissimi valori della nostra Chiesa? La risposta pare banale e prosaica; ma è valida; perché umana, perché apostolica. Vale di più l’intelligenza della preghiera, che non le vesti seriche e vetuste di cui essa s’è regalmente vestita; vale di più la partecipazione del popolo, di questo popolo moderno saturo di parola chiara, intelligibile, traducibile nella sua conversazione profana. Se il divo latino tenesse da noi segregata l’infanzia, la gioventù, il mondo del lavoro e degli affari, se fosse un diaframma opaco, invece che un cristallo trasparente, noi, pescatori di anime, faremmo buon calcolo a conservargli l’esclusivo dominio della conversazione orante e religiosa?».
Il canto gregoriano
In tutto l’Ordinamento generale del messale romano del 2002, non viene evocato che una sola volta, al n. 41 (su un totale di 399).
La polifonia
Anch’essa è evocata al n. 41, che gli altri generi musicali «rispondano allo spirito dell’azione liturgica e favoriscano la partecipazione di tutti i fedeli». L’OGMR delega (al n. 393) alle conferenze episcopali il compito di «approvare melodie adatte […]. È loro competenza, inoltre, giudicare quali forme musicali, quali melodie e quali strumenti musicali sia lecito ammettere nel culto divino, perché siano veramente adatti all’uso sacro o possano adattarvisi».
L’organo
Lo stesso vale per l’organo, che rimane, ma accanto a tutto ciò che l'immaginazione e le culture locali vogliono usare in nome della partecipazione e della pastorale.
Ecco, troppo brevemente, alcune osservazioni su questi punti. Ovviamente, come lei dice, tutte queste cose sono «lasciate in eredità a noi come un tesoro inestimabile che eleva potentemente le nostre anime al cielo». Ma non sono più parte costitutiva della liturgia riformata, sono opzioni, possibilità che, inoltre, per alcuni di loro, vanno piuttosto contro l'edificio generale, penso in particolare al latino, all'orientamento e al gregoriano. La nuova Messa, contrariamente a quanto lei auspica, non considera più questo tesoro come inestimabile, poiché mette sullo stesso piano la pratica lasciata in eredità e tutte le invenzioni del giorno (quando non favorisce queste ultime).
Cari amici, purtroppo credo che cercando nel nuovo messale ciò che non c'è più, se non per avventura o per caso, si inseguirà qualche chimera o unicorno. Ma, ciò che è più triste, ci si priva inconsciamente del grande scrigno della liturgia tradizionale che è a portata di mano e che le riempirebbe l'anima, perché avete evidentemente una grande pietà liturgica.
Prima di tutto, e questo è ovviamente il più importante, vi troverete l'ammirevole Offertorio e il Canone Romano, e certamente ne trarrete una rinnovata e approfondita devozione alla Santa Eucaristia. Ma scoprirete anche molti altri tesori: il suddiaconato, gli ordini minori e le loro funzioni liturgiche, un calendario ammirevole, un pontificale magistrale con incomparabili lezioni di ecclesiologia, e una miriade di piccole rubriche molto piacevoli...
«Da dove verrà la rinascita per noi, che abbiamo sporcato e svuotato tutto il globo? Solo dal passato, se lo amiamo» (Simone Weil, Gravità e grazia).
Cyril Farret d’Astiès
RIFLESSIONI DI PAIX LITURGIQUE
- C'è un Novus Ordo "sognato" dagli amici di Pro-Liturgia e da alcuni altri e un vero Novus Ordo che gli è completamente estraneo e che non costituisce una forma liturgica ma una moltitudine di possibilità liturgiche.
- Quindi non è incoerente pensare che non esista un "vero" Novus Ordo ma tanti Novus Ordo quanti sono i sacerdoti che lo celebrano o le circostanze in cui viene celebrato.
- Come può dunque questo Novus Ordo essere l'unica espressione della Lex Credendi quando esso stesso esprime una moltitudine di Lex Credendi nelle varie occasioni della sua celebrazione?
Articolo davvero interessante con moltissimi spunti.
RispondiEliminaNella mia parrocchia la domenica mattina ci sono due messe.
La messa "della comunità" rispetta quell' "obbligo di creatività" che viene descritto. Manine che roteano sopra le spalle, canti anni 80, ogni tipo di strumento musicale indigeno e purtroppo l'horror vacui. Mai un attimo di silenzio, di concentrazione. Un ritmo "televisivo", per cui si arriva alla consacrazione quasi storditi.
La messa successiva viene celebrata con grandissima attenzione ai gesti, ai silenzi, ai dettagli che dettagli non sono. Sono spesso presenti organo e coro. Non è una impressione quella di riuscire ad elevarsi (per quello che la nostra natura concede) ai misteri celebrati. Nasce il desiderio di capire ogni singolo gesto della liturgia eucaristica, che viene compiuto solennemente e in un clima di palpabile tensione verso le cose eterne.
Purtroppo la mia impressione è che ci sia un obbligo implicito, una sorta di legge morale che impone di di "dare in pasto" sempre e comunque alla comunità, ai bambini una messa "creativa", chiassosa, mondana, televisiva. Poi se possibile si celebra anche una messa, solo dopo aver fatto la prima, con tutta l'attenzione che una vera messa esigerebbe.
Proprio così. Anche nella mia ex-parrocchia esisteva la cosiddetta Messa dei giovani, infarcita di canti, scemenze e avanspettacolo di d'accatto, e la Messa denominata dai giovani con una nota di spregevole ironia "dei vecchi", dove l'organista accompagnava i canti "classici" religiosi che la gente ben conosceva, e cantava. Sobrietà e preghiera.
EliminaHo assistito a migliaia di messe e devo dire che è difficile trovare due preti che celebrino allo stesso modo.Spesso girando per l'Italia sono incappato in preti che celebrano la messa come se si trattasse di un'incombenza da sbrigare in qualche modo e nel più breve tempo possibile.Ultimamente in una bella chiesa il celebrante aveva talmente voglia di fare in fretta che in certi momenti non si riusciva a capire bene le parole che pronunciava attaccate le une alle altre .Si interrompeva solo per riprendere fiato. Ho avuto voglia di andare a trovarlo in sacrestia per lamentarmi.Ci ho rinunciato per rispetto del sacerdote ,che resta sacerdote malgrado un comportamento a dir poco diseducativo.
RispondiEliminaHo assistito a migliaia di messe e devo dire che è difficile trovare due preti che celebrino allo stesso modo.Spesso girando per l'Italia sono incappato in preti che celebrano la messa come se si trattasse di un'incombenza da sbrigare in qualche modo e nel più breve tempo possibile.Ultimamente in una bella chiesa il celebrante aveva talmente voglia di fare in fretta che in certi momenti non si riusciva a capire bene le parole che pronunciava attaccate le une alle altre .Si interrompeva solo per riprendere fiato. Ho avuto voglia di andare a trovarlo in sacrestia per lamentarmi.Ci ho rinunciato per rispetto del sacerdote ,che resta sacerdote malgrado un comportamento a dir poco riprovevole.
RispondiEliminaSe vogliamo soffermarci alla superficie allora il discorso che molti fanno in merito alla questione antico/nuovo "l'importante è che venga celebrata bene, rispettosamente e con senso del sacro" può avere un senso e certamente ce l'ha. Siamo però ad un livello puramente superficiale.
RispondiEliminaLa questione liturgica non si può ridurre a questi, seppur importantissimi, aspetti "esteriori" come latino, gregoriano, organo, silenzi, ars celebrandi, etc...
La questione liturgica purtroppo è molto più complessa e profonda e riguarda la connessione con la Tradizione Apostolica, con la potenza di preghiere antiche di secoli, della più autentica e verace lex orandi che informa e struttura la cattolica lex credendi.
Per contro il nuovo rito cosa ha da spartire con quello antico? Da quello nuovo, anche se "ben celebrato" con latino, orientamento coram Deo, gregoriano, etc..., quale teologia scaturisce? Di certo non la medesima dell'antico. Il nuovo non è infatti solo di una "forma" diversa (seppur simile quando celebrato "dignitosamente") ma anche, anzi soprattutto, di una "sostanza" particolarmente diversa.
È bene tenere presente anche questi aspetti che i cardinali Ottaviani e Bacci già in tempi non sospetti manifestarono dettagliatamente all'attenzione dell'allora Romano Pontefice che preferì proseguire nel solco della rottura con la Tradizione Apostolica per quel senso di novità che ha caratterizzato così diabolicamente gli anni'60 del Novecento.
La dimostrazione di quello che sostengo l'abbiamo nella costruzione delle nuove chiese che nella loro bruttezza ed aniconicità descrivono perfettamente il nuovo rito modernista svuotato del più profondo senso del perfetto Sacrificio. Lo stesso vale per il modo in cui viene celebrato il nuovo, creato appositamente a tavolino per essere celebrato "male" favorendo iniziative che finiscono per scadere nello spontaneismo e in altre aberranti trovate di pessimo gusto.
Un problema è anche il fatto che la liturgia è spesso "presa in ostaggio" dagli "animatori" parrocchiali.
RispondiEliminaPosto che il termine stesso - animazione - suggerisce implicitamente la falsa idea che la Messa sia qualcosa di spento, morto, grigio, che deve essere animato, colorato, addobbato dal contributo di ciascuno.
Io ho visto tantissime messe moderne celebrate con semplicità, senza fronzoli e particolarismi in un clima rilassato e sereno e con prediche che aiutano i fedeli nella loro vita quotidiana. Non è che il problema siete voi?
RispondiEliminaio ho visto Messe in cui il prete ha saltato parti importanti perchè era in difficoltà a concentrarsi e nessuno ha battuto ciglio, tantomeno lo ha aiutato a riprendere il segno
Eliminamolti cattolici sono così aliturgici che accetterebbero qualsiasi liturgia