22 Settembre 2021, Corrispondenza Romana
(Tommaso Scandroglio) La conferenza stampa del Santo Padre di ritorno dal viaggio in Ungheria e Slovacchia ha suscitato, come in precedenti occasioni simili, profonde perplessità e imbarazzi in molti fedeli. Vogliamo qui mettere in rilievo solo due aspetti di questa conferenza stampa. Il primo riguarda il contenuto delle affermazioni del Papa sulle Unioni civili, il secondo attiene alla forma degli interventi del Pontefice.
Come è noto, Papa Francesco ha negato liceità morale ai “matrimoni” omosessuali, ma si è mostrato favorevole a qualsiasi altro riconoscimento giuridico delle relazioni omosessuali (e non è la prima volta che ciò accade: il suo favore risale almeno da quando era arcivescovo di Buenos Aires). Il parere del Papa entra in rotta di collisione con le indicazioni espresse dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e contenute nel documento del 2003 Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, documento che ricevette l’approvazione esplicita di Giovanni Paolo II.
In esso troviamo scritto molto chiaramente: «In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali […] è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all’applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo» (5). Più avanti il documento così conclude: «La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. […] Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità» (11). Il rifiuto espresso dalla CDF si basa alla fine su questo semplice percorso logico: se l’omosessualità è una condizione intrinsecamente disordinata, anche le relazioni omosessuali lo sono e quindi non si può legittimare ciò che è disordine per l’uomo e per la collettività.
Passiamo al secondo aspetto che volevamo mettere in luce e che attiene alla forma degli interventi di Papa Francesco, sia scritti che orali come quello avvenuto di ritorno dal suo ultimo viaggio apostolico. E’ ormai assodato che le ascendenze culturali del Santo Padre affondano le loro radici nell’immanentismo, nello storicismo, nella fenomenologia etica, un approccio che accantona nella morale la metafisica e nella fede l’afflato trascendente. Insomma, una visione dell’uomo, del mondo e di Dio più orizzontale che verticale. Se dunque il paradigma di riferimento è il fattuale empirico, questo, per sua natura, muta: la verità sia quella pratica, cioè la morale, che quella speculativa, ossia riferita all’essere, diventa cangiante, transeunte e soprattutto liquida, proteiforme, dai confini imprecisati, sfumati. Il flusso degli eventi quindi liquefà la realtà, compresa la stessa identità della Chiesa cattolica, e dunque per rappresentare questo flusso è preferibile usare un magistero narrante, più che definitorio (la Storia raccontata poi insegna): il primo è analitico, si perde nel particolare ed è per forza di cose prolisso e verboso perché deve descrivere tutto e non ha una visione di insieme dell’esistenza umana, dunque galleggia spesso nel dubbio; il secondo è sintetico perché non descrive, ma prescrive dopo aver individuato la definizione, perché ha individuato l’identità, ossia la verità sulle cose, sugli uomini e su Dio. Da qui l’allergia alle definizioni (si veda l’idiosincrasia di molti ‘cattoprog’ per il Catechismo Maggiore) perché vogliono imbrigliare la multiforme vita, formalizzare l’informale. Definire infatti significa perimetrare, limitare, perché il fines è il confine, termine che rimanda a quei muri così tanto invisi da molti. Meglio scegliere un andamento ed un incedere fluviale, mai retto, ma sempre ricco di anse e sinuosità.
Questo linguaggio smussato, obliquo è poi utilissimo per perseguire alcune finalità riformatrici (rectius: demolitrici) della dottrina. Per non suscitare troppi scandali e troppe reazioni negative è meglio parlare a nuora perché suocera intenda, ossia meglio optare per l’implicito più che per l’esplicito, meglio sfumare che precisare, abbozzare che definire, generalizzare che specificare, narrare piuttosto che insegnare, suggestionare che formare, evocare che precisare, accennare e alludere che puntualizzare e determinare. Ecco il ricorso frequente e disinvolto alle metafore (es. la Chiesa ospedale da campo) e agli aneddoti personali. In tal modo, se chiamati alla sbarra degli accusati, ci sarà sempre modo per difendersi affermando che mai esplicitamente o chiaramente si è affermata una tal eresia.