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martedì 14 settembre 2021

Aurelio Porfiri. Musica sacra: non quello che mi piace ma quello che mi dovrebbe piacere

Riceviamo dal Maestro Aurelio Porfiri e pubblichiamo, ringraziandolo.
Luigi

C’è un errore di prospettiva importante quando si parla di musica sacra, un errore che ha radici lontane. Cioè l’idea che la musica sacra deve prima di tutto piacerci per poter essere usata nella Messa. Certo, questo errore è perfettamente comprensibile se si lega con la radice di cui riferivo sopra, il modernismo che si risolve poi nell’immanenza che conduce all’agnosticismo e al culto dell’uomo al posto di quello di Dio (“Vero è che l'agnosticismo non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa; la positiva sta tutta nell'immanenza vitale”, san Pio X, Pascendi). E cos’è in fondo il modernismo se non l’intronizzazione dell’uomo al posto di Dio? Tutto questo è stato fatto per la liturgia e in conseguenza per la musica sacra, perché le due sono legate. Il primo scopo della liturgia non è il soddisfacimento dell’assemblea, ma la gloria di Dio da cui deriva poi l’edificazione dei fedeli. Perso quest’ordine si perde il senso di tutto. Se tutto si risolve nel vissuto, nella storia, ci impicchiamo al nostro destino senza una via di salvezza (“Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa”, san Pio X, Pascendi). Ecco che tutto viene messo sottosopra, le esigenze dell’uomo vengono messe prima dei diritti di Dio, anche il dogma non diviene che l’espressione di intimi bisogni di un io strappato alla sua filiazione divina (“Nasce il dogma dal bisogno che prova il credente di lavorare sul suo pensiero religioso, sì da rendere la sua e l'altrui coscienza sempre più chiara”, San Pio X, Pascendi). 
Tutto questo ben spiega il processo in cui noi ci troviamo.

Come principio io suggerisco che non bisogna usare musica sacra la musica che ci piace, ma la musica ci deve piacere perché sacra. Cioè dovremmo amare quella musica che meglio incarna quelle caratteristiche che lo stesso san Pio X aveva ben enunciato in un documento che precedeva di quattro anni la sua enciclica sul modernismo, il motu proprio per la musica sacra, dove si chiedeva che la musica per la Chiesa avesse santità, bontà di forme e universalità. Se si fosse approfondita questa richiesta, forse non saremmo mai arrivati alla situazione attuale. Se si concede che la musica debba essere quella che piace ai giovani, si fa di loro gli educatori, non coloro che vengono educati. Poi bisognerebbe aggiungere che si prende sempre come esempio quello dei giovani ineducati, perché quando essi vengono formati sono gli Apostoli più ferventi della buona musica sacra. Il latino oramai fa paura solo ad alcuni in Vaticano. Quando insegnavo a Macao con le mie studentesse cinesi (adolescenti e non cattoliche) rimanevo io edificato dal fatto che sentivano il fascino spirituale di quella lingua e che spesso canticchiavano per strada i mottetti latini che avevamo provato poco prima. Al conservatorio di Shanghai, dove gli studenti non avevano avuto nessuna esposizione al Cristianesimo, chiedevo agli studenti che cosa un certo Pater Noster facesse loro pensare. E loro sorprendentemente mi dicevano che gli sembrava una cosa per la Chiesa, quella musica che per loro era scoraggiata li richiamava ad una atmosfera spirituale.

Bisogna capire la crisi della liturgia e della musica sacra come un trionfo del modernismo. Del resto Antonio Fogazzaro lo aveva ben previsto nel 1905 con il suo romanzo Il Santo, non per niente messo all’Indice nel 1906: “« Ecco, diss'egli, siamo parecchi cattolici, in Italia e fuori d'Italia, ecclesiastici e laici, che desideriamo una riforma della Chiesa. La desideriamo senza ribellioni, operata dall'autorità legittima. Desideriamo riforme dell'insegnamento religioso , riforme del culto, riforme della disciplina del clero, riforme anche nel supremo governo della Chiesa. Per questo abbiamo bisogno di creare un'opinione che induca l'autorità legittima ad agire di conformità sia pure fra venti, trenta, cinquant'anni…». Non aveva capito tutto? Aveva anche capito di cosa sarebbe stata capace l’intransigenza antimodernistica dei suoi tempi mutata in intransigenza al servizio del modernismo? “Signora mia, disse il professore Lei non sa di cosa sieno capaci alcuni intransigenti in tonaca. Gl'intransigenti laici sono agnelli, in paragone”. E questa è stata, da parte del noto scrittore, una triste profezia.

Aurelio Porfiri