Un interessante intervento del Card. Walter Brandmüller.
Luigi
29 Luglio 2021 Stilum Curiae
Carissimi Stilumcuriali, il card. Walter Brandmüller, eminente storico della Chiesa, ha pubblicato su Kath.net questo intervento relativo al motu proprio Traditionis Custodes che vi offriamo nella nostra traduzione. Buona lettura.
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Con il suo motu proprio Traditionis custodes, Papa Francesco ha praticamente scatenato un uragano che ha messo in subbuglio quei cattolici che si sentono attaccati al rito “tridentino” della messa rinverdito dal Summorum Pontificum di Benedetto XVI.
D’ora in poi – secondo la dichiarazione essenziale della Traditionis custodes – il Summorum Pontificum di Benedetto sarà in gran parte sospeso e la celebrazione della Santa Messa, con alcune eccezioni, sarà consentita solo secondo il Messale di Paolo VI.
Uno sguardo alla scena dei blogger e ad altri media rivela come la protesta mondiale sia scoppiata contro il documento, che è insolito nella forma e nel contenuto.
In contrasto con le proteste relative al contenuto della Traditionis custodes, occorre ora fare qui alcune riflessioni che si riferiscono a momenti fondamentali della legislazione ecclesiastica – a proposito della Traditionis custodes.
Se la discussione sulla Traditionis custodes ha riguardato finora il contenuto legislativo del motu proprio, qui sarà considerato da un punto di vista formale come un testo giuridico.
Prima di tutto, bisogna notare che una legge non richiede un’accettazione speciale da parte degli interessati per acquisire forza vincolante.
Tuttavia, deve essere ricevuta da loro. La ricezione significa l’accettazione affermativa della legge nel senso di “farla propria”. Solo allora la legge acquista conferma e permanenza, come insegnava il “padre” del diritto canonico, Graziano († 1140), nel suo famoso Decretum. Ecco il testo originale:
“Leges instituuntur cum promulgantur. Firmantur cum moribus utentium approbantur. Sicut enim moribus utentium in contrariem nonnullae leges hodie abrogatae sunt, ita moribus utentium leges confirmantur” (c. 3 D. 4).
(Nostra traduzione: Le leggi si stabiliscono quando vengono promulgate. Si confermano con l’approvazione del comportamento di chi le usa. Così infatti a causa del comportamento degli utenti in senso contrario, alcune leggi sono state abrogate, e così per il comportamento degli utenti le leggi vengono confermate).
Ciò significa, tuttavia, che perché una legge sia valida e vincolante, deve essere approvata da coloro a cui è rivolta. Così, d’altra parte, alcune leggi oggi sono abolite dalla non osservanza, così come, al contrario, le leggi sono confermate dal fatto che gli interessati le osservano.
In questo contesto, si può anche fare riferimento alla possibilità prevista dal diritto consuetudinario secondo cui un’obiezione giustificata contro una legge della Chiesa universale ha almeno inizialmente un effetto sospensivo. Ciò significa, tuttavia, che la legge non deve essere obbedita finché l’obiezione non è stata chiarita.
Bisogna anche ricordare che in caso di dubbio sul fatto che una legge sia vincolante, essa non lo è. Tali dubbi potrebbero, per esempio, essere dovuti a una formulazione inadeguata del testo della legge.
Qui diventa chiaro che le leggi e la comunità per la quale sono emanate sono legate l’una all’altra in modo quasi organico, nella misura in cui il bonum commune della comunità è il loro obiettivo.
In parole povere, tuttavia, questo significa che la validità di una legge dipende in ultima analisi dal consenso di coloro che ne sono colpiti. La legge deve servire il bene della comunità – e non viceversa la comunità la legge.
Le due cose non sono opposte, ma legate l’una all’altra, nessuna delle quali può esistere senza o contro l’altra.
Se una legge non viene o non viene più osservata dall’inizio o nel corso del tempo, perde la sua forza vincolante e diventa obsoleta.
Questo – e questo va sottolineato con forza – vale naturalmente solo per le leggi puramente ecclesiastiche, ma in nessun caso per quelle basate sulla legge divina o naturale.
Come esempio di una lex mere ecclesiastica, si consideri la costituzione apostolica Veterum sapientia di Papa Giovanni XXIII del 22 febbraio 1962, con la quale il Papa prescriveva il latino per l’insegnamento universitario, tra le altre cose.
Giovane dottore che ero, ho reagito solo scuotendo la testa. Beh, il latino era la norma all’Università Gregoriana di Roma, e questo aveva un buon senso vista la babele di lingue tra gli studenti, che venivano da tutti i continenti. Ma se Cicerone, Virgilio e Lattanzio avrebbero capito le lezioni, c’è da dubitare. E ora: la storia della chiesa, anche dei tempi moderni, in latino? Con tutto l’amore professato per la lingua dei romani – come potrebbe funzionare?
E così è rimasto. Veterum sapientia fu a malapena stampata e presto dimenticata. Ma ciò che questa fine ingloriosa di una costituzione apostolica significò per il prestigio dell’autorità papale divenne evidente solo cinque anni dopo, quando l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI fu quasi annegata tra le proteste del mondo occidentale.
Fatto, dunque, amici, e pazienza. Mai lo zelo non illuminato ha servito la pace, il bene comune. Fu San John Henry Newman che, citando il grande Agostino, ci ricordò: “Securus iudicat orbis terrarum”. Nel frattempo, facciamo attenzione al nostro linguaggio. Il “disarmo verbale” è già stato chiamato così. In parole più pie: nessuna violazione dell’amore fraterno (e recentemente sororale)!
Ora – di nuovo sul serio: che idea grottesca che il mistero stesso dell’amore diventi un pomo della discordia. Di nuovo, citiamo Sant’Agostino, che chiamava la Santa Eucaristia il legame d’amore e di pace che racchiude il capo e i membri della Chiesa. Non sarebbe un più grande trionfo dell’inferno se questo legame si rompesse di nuovo, come è successo molte volte in passato. E il mondo sogghignerebbe: “Guarda come si amano!”.