Ma non era stato esautorato con infamia?
Luigi
La messa “privata” celebrata da papa Francesco nel pomeriggio del giovedì santo nell’abitazione del cardinale Giovanni Angelo Becciu – di cui la Santa Sede ha dato notizia “de relato”, avvertendo nello stesso tempo che “non ci sono conferme ufficiali” – è stata rilanciata dai media come l’ultimo capitolo del tormentato rapporto tra i due, sei mesi dopo la brutale e mai motivata defenestrazione del cardinale da parte del papa.
La messa “in coena Domini” della sera del giovedì santo è l’archetipo di tutte le messe: “Fate questo in memoria di me”. Che il vescovo la celebri in cattedrale è pietra angolare della liturgia cattolica. Tant’è vero che nelle norme liturgiche del messale romano è prescritto che la sera del giovedì santo non si moltiplichino ingiustificatamente le messe e “si presti attenzione a che le celebrazioni [in più] non siano compiute a favore di singole persone o gruppi particolari e di piccole dimensioni e che non sminuiscano l’importanza della messa vespertina”.
Ma evidentemente l’attuale vescovo di Roma, il papa, non tiene affatto conto di queste norme, e ancor meno del loro spirito.
Negli anni passati il giovedì santo non è mai stato per Francesco il giorno solenne della messa “in coena Domini” in cattedrale o in San Pietro, ma quello della lavanda dei piedi nei luoghi più disparati e alle persone più varie, dai carcerati agli immigrati di diverse fedi.
E quest’anno? Già nel calendario delle celebrazioni pasquali diffuso in anticipo dalla sala stampa vaticana non si faceva parola del papa per la messa serale del giovedì santo, delegata al cardinale Giovanni Battista Re. E l’ipotesi, affacciata da qualcuno, che l’assenza del papa dalla messa “in coena Domini” fosse motivata da ragioni di salute era smentita dalla sua presenza alle altre celebrazioni precedenti e successive.
Alle domande su che cosa il papa avrebbe fatto, e dove, mentre in San Pietro il cardinale Re avrebbe celebrato la messa “in coena Domini”, non è mai stata data risposta. Fino a che, a cose fatte, si è appunto saputo che era andato a casa del cardinale Becciu.
Questo è solo l’ultimo esempio della disinvoltura con cui Francesco agisce in campo liturgico.
Il penultimo è il divieto delle messe “individuali” nella basilica di San Pietro, divieto che i cardinali Robert Sarah e Giuseppe Zen Zekiun – con vibrata, pubblica protesta – hanno chiesto al papa di revocare, senza trovare ascolto.
Il terzultimo esempio è avvenuto durante il viaggio in Iraq, con la messa celebrata dal papa il 6 marzo nella cattedrale caldea di Baghdad. Una messa in rito caldeo latinizzato, con violini, pianoforte, celebrazione “versus populum” e comunione solo con le ostie, annunciata come modello di aggiornamento liturgico ma in realtà plateale travisamento dell’impronta originaria del rito, in palese contrasto con le indicazioni del Concilio Vaticano II (“Orientalium ecclesiarum”, n. 6) sulla purificazione dei riti orientali.
I rappresentanti delle Chiese sorelle d’Oriente che vi hanno partecipato erano allibiti. E a Roma nessuno se ne è assunta la piena responsabilità: la commissione “ad hoc” della congregazione per le Chiese orientali è in scadenza da sette mesi e non è più operativa.
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