Un'addenda al nostro post del 16 marzo (QUI) sul nuovo presidente pro gay e anti Humanae vitae del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II.
Luigi
Settimo Cielo, 16-3-21
(s.m.) Ricevo e pubblico. L’autore della nota, Thibaud Collin, è professore di filosofia al Collège Stanislas di Parigi e ha scritto importanti saggi sulle teorie del ”gender”, il matrimonio omosessuale e la laicità politica. Il suo ultimo libro, del 2018, ha per titolo: “Le mariage chrétien a-t-il encore un avenir?”.
Lo spunto della sua riflessione è l’avvenuta nomina di Philippe Bordeyne, 61 anni, teologo moralista, rettore dell’Institut Catholique di Parigi, a preside del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, in sostituzione di PierAngelo Sequeri.
L’avvicendamento avverrà in settembre. E segnerà una definitiva inversione di rotta dell’Istituto che porta il nome di Giovanni Paolo II, ma che è sempre più lontano dall’insegnamento del papa che l’ha fondato e del suo predecessore Paolo VI.
Il terremoto che nel 2018 ha sconvolto l’Istituto è stato messo in opera dal suo Gran Cancelliere, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, su mandato di papa Francesco e con il visibile disaccordo del papa emerito Benedetto XVI.
Ma restava ancora il preside Sequeri – teologo milanese di riconosciuto valore e non sospetto di conservatorismo – a coraggiosamente tenere viva un’interpretazione dell’enciclica “Humanae vitae” di Paolo VI fedele al suo senso originario:
Ma ora anche quest’ultimo argine è caduto. Bordeyne sostiene da anni il superamento di quell’enciclica e il ripensamento della teologia della famiglia, che per lui – e a suo giudizio anche per papa Francesco – “non si arresta affatto al triangolo piccolo borghese di un padre, una madre e dei figli”, ma “è il luogo in cui ciascun individuo cresce come una persona in relazione”, per cui “disprezzare le famiglie differenti sarebbe anche disprezzare quest’opera di socializzazione” (intervista a “La Croix”, 8 aprile 2016).
La parola al professor Collin.
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MA ALLORA CHIAMIAMOLO ISTITUTO “AMORIS LAETITIA”
di Thibaud Collin
La nomina annunciata di Mons. Philippe Bordeyne, attuale rettore dell’Institut Catholique di Parigi, a preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II è l’ultima tappa della rifondazione operata da Mons. Vincenzo Paglia e da papa Francesco di questa istituzione esplicitamente voluta da san Giovanni Paolo II e fondata da Carlo Caffarra, il futuro cardinale. Ciò conferma che questa rifondazione è una vera e propria rivoluzione.
La ricca riflessione del papa polacco sul corpo sessuato, il matrimonio e la famiglia può essere compresa come una risposta al fallimento della ricezione dell’enciclica di san Paolo VI “Humanae vitae”. Certo, questo documento non tocca l’integralità di quei temi, lungi dal pensarlo, ma può essere considerato come la pietra di paragone di tutta la dottrina della Chiesa sulla sessualità e il matrimonio. La mentalità contraccettiva alla quale l’enciclica si oppone è in effetti oggettivamente la condizione di possibilità della legittimazione sociale dell’aborto, delle tecnologie della procreazione e di tutte le rivendicazioni LGBTQ.
Ora, la rifondazione dell’Istituto Giovanni Paolo II avviata qualche anno fa da Mons. Paglia, passando per il licenziamento di buona parte dei suoi professori e la nomina di teologi come Maurizio Chiodi e Gilfredo Marengo, chiaramente non prende più “Humanae vitae” come pietra di paragone. Questo documento è ormai visto come troppo “astratto” e “teorico”; lo statuto che gli è accordato ne fa solo un ideale, quand’anche lo si qualifichi di “profetico”, come fosse un soprammobile che si mette sul caminetto per decorazione e non si tocca più. La nomina di Philippe Bordeyne conferma questo cambio di paradigma. Lo si giudichi stando ai fatti. Ecco ciò che egli dice in un testo scritto in occasione dei sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015:
“L’enciclica ‘Humanae vitae’ insegna che i metodi naturali di controllo della fecondità sono i soli leciti. Bisogna tuttavia riconoscere che la distanza tra la pratica dei fedeli e l’insegnamento del magistero si è ancor più scavata. Si tratta di semplice sordità ai richiami dello Spirito oppure è il frutto di un lavoro di discernimento e di responsabilità nelle coppie cristiane sottoposte alla pressione di nuovi modi di vita? Le scienze umane e l’esperienza delle coppie ci insegnano che i rapporti tra desiderio e piacere sono complessi, eminentemente personali e dunque variabili secondo le coppie, ed evolvono nel tempo e all’interno della coppia. Davanti all’imperioso dovere morale di lottare contro le tentazioni dell’aborto, del divorzio e della mancanza di generosità di fronte alla procreazione, sarebbe ragionevole rimettere il discernimento sui metodi di regolazione delle nascite alla saggezza delle coppie, mettendo l’accento su un’educazione morale e spirituale che permetta di lottare più efficacemente contro le tentazioni in un contesto spesso ostile all’antropologia cristiana.
“In questa prospettiva, ls Chiesa potrebbe ammettere una pluralità di cammini per rispondere all’appello generale a mantenere l’apertura della sessualità alla trascendenza e al dono della vita. […] La via dei metodi naturali che implica la continenza e la castità potrebbe essere raccomandata come un consiglio evangelico, praticato dalle coppie cristiane o non, che richiede la padronanza di sé nell’astinenza periodica. L’altra via la cui liceità morale potrebbe essere ammessa, con la scelta affidata alla saggezza degli sposi, consisterebbe nell’usare dei metodi contraccettivi non abortivi. Se gli sposi decidono d’introdurre questo medicamento nell’intimità della loro vita sessuale, sarebbero incoraggiati a raddoppiare il loro mutuo amore. Quest’ultimo è il solo a poter umanizzare l’uso della tecnica, al servizio di un’ecologia umana della generazione” (“Synode sur la vocation et la mission de la famille dans l’Eglise et monde contemporain. 26 théologiens répondent”, Bayard, 2015, pp. 197-198).
Questa citazione è un condensato di ciò che un gran numero di teologi e di episcopati hanno detto a proposito della norma etica richiamata da san Paolo VI e fondata da san Giovanni Paolo II antropologicamente nelle catechesi sulla “teologia del corpo” e moralmente nell’enciclica “Veritatis splendor”.
Ma ormai il cerchio è chiuso: lo spirito ecclesiale degli anni Settanta ha finito per conquistare Roma! Ma per quale motivo la “distanza” si è così “scavata” se non perché la maggior parte dei pastori, non avendo voluto abbracciare questa buona novella sulla regolazione delle nascite, identificata come un fardello insopportabile, non l’hanno mai veramente trasmessa a coloro che erano stati ad essi affidati? Da lì in poi, perché allora parlare di “sordità” agli appelli dello Spirito come se effettivamente la Sua voce avesse raggiunto le orecchie dei fedeli?
La realtà è che la gran parte di questi non hanno avuto sentore della dottrina della Chiesa su questo tema se non da parte dei media dominanti. Non essendo stato fatto il lavoro di trasmissione, non stupisce che l’assimilazione non ci sia stata.
Si ha dunque buon gioco a dire che quel documento, non essendo stato accolto, sarebbe quindi necessario passarlo al setaccio delle scienze umane e della “saggezza” delle coppie. Ragionamento circolare che permette di liquidarlo con discrezione. Fare della regolazione naturale delle nascite l’oggetto di un’opzione rivela che il sacramento del matrimonio non è più percepito come orientato verso la santità alla quale tutti i battezzati sono chiamati.
Come non vedere che queste affermazioni relativizzano gravemente l’insegnamento del magistero e inducono in errore le coppie di buona volontà, che di conseguenza vedono questa norma etica non come una via di felicità ma come un ideale quasi inumano? La dottrina di “Humanae vitae” esige sicuramente d’essere incarnata in una pastorale e in una “educazione mortale e spirituale” ma questa non deve essere misurata dalle scienze umane, incapaci per loro natura di cogliere la verità del linguaggio dei corpi. La finalità dell’educazione è la soggettivazione adeguata, vale a dire la realizzazione libera del vero bene umano.
I pastori e i laici impegnati nella pastorale del matrimonio devono dunque lavorare per rendere amabile il bene da realizzare negli atti liberi, tramite i quali gli sposi significano nel linguaggio del corpo la verità del loro amore coniugale. Affermare che si dovrebbe lasciare alla coscienza delle coppie la scelta del metodo di regolazione delle nascite rivela che la norma etica è applicata in maniera esteriore, senza impegnare la persona nella sua interezza; insomma, in una maniera che è già tecnica, un po’ come se io mi domandassi: “Devo andare nel tal posto: prendo la bici o l’auto?”. Da qui quell’espressione tanto rivelatrice che è la “umanizzazione della tecnica tramite l’amore”, quando invece proprio l’introduzione della tecnica finisce con l’offuscare il dono di sé, facendo dell’unione dei corpi una sorta di menzogna, che non significa più oggettivamente la comunione degli sposi. Il culmine della confusione è raggiunto quando si indica che questa umanizzazione della tecnica deve essere messa al servizio dell’ecologia umana!
Solo la virtù della castità, intrinsecamente legata al bene della comunione coniugale e fonte di temporanea continenza ma senza ridursi ad essa, può salvaguardare, nell’unità della persona in corpo e anima, la verità dell’amore. Solo la castità eleva la vita sessuale degli sposi all’altezza del valore della persona ed evita di ridurre questa ai suoi soli valori sessuali. Nel campo dell’amore, la tecnica non può né potrà mai rimpiazzare la virtù.
È stupefacente, infine, pensare la contraccezione come una sorta di baluardo contro l’aborto, quando tutti gli studi mostrano al contrario che il progresso della mentalità contraccettiva incoraggia di fatto l’aborto, senza contare che oggi molte pillole sono anche abortive.
In breve, la nomina a manager di un personaggio come Philippe Bordeyne conferma che l’Istituto Giovanni Paolo II, in piena emorragia di studenti, dovrebbe per onestà intellettuale cambiare di nome. Lo si potrebbe chiamare, per esempio, Istituto “Amoris laetitia”.
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