“L'osservanza del cattolico è mutata in un'infinita remissività verso tutti i venti del mondo”“Non essendo riuscita ad ottenere che gli uomini pratichino ciò che insegna, la Chiesa attuale ha risolto di insegnare ciò che essi praticano”(Nicolàs Gòmez Dàvila).
"Coloro che difendono ciecamente e indiscriminatamente qualsivoglia giudizio del Sommo Pontefice su qualsiasi materia indeboliscono l'autorità della Sede Apostolica, non la sostengono, la sovvertono, non la rafforzano. Pietro non ha bisogno delle nostre menzogne né della nostra adulazione"(Melchor Cano, De locis theologicis, Libro V, cap. V, p. 340 dell'edizione di Lovanio del 1569, cit. in Athanasius Schneider, Christus vincit, Il trionfo di Cristo sulle tenebre del nostro tempo, Ed. Fede & Cultura, pag. 197).
Oggi impegneremo i nostri lettori su alcune - lunghe - note di quadro sulla nuova Enciclica del S. Padre Francesco "Fratres omnes": ci pare importante fare una prima analisi del Documento, che sembra scardinare secoli di certezze magisteriali.
Pubblichiamo sotto un primo commento di Don Alfredo Morselli al riguardo, un brandello importante della Regola di S. Francesco, dove si vede bene la falsificazione della presunta citazione dell'Enciclica e - proprio su questo - un meraviglioso commento di Camillo Langone.
Evitiamo di commentare approfonditamente i riferimenti, nell'Enciclica (al n. 286) sul fatto che Francesco si sia sentito motivato, nello scriverla, a Martin Luther King e Desmond Tutu.
Su Tutu QUI e QUI una dolorosa analisi sul personaggio (noto ora anche per le sue aperture al matrimonio gay); QUI e QUI le ossessioni sessuali di Martin Luther King. Allo stesso modo ci addolora che l'ispirazione dell'Enciclica gli sia venuta dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb di Al Azhar (al n. 5 dell'Enciclica), noto, inter alia, per il suo favore alla crocifissione per certi peccati gravi (QUI e QUI).
alcune note sulla "guerra giusta", apparentemente condannata dal Papa (con un affermazione che, pare, in contrasto con il Catechismo, cfr. CCC nn. 2307 e ss.); "«Hostem ferire victoria est, reum aequitas, innocentem homicidium» (sant'Ambrogio [339/340-397], Lettera a Paterno 393). «Ci sono casi in cui la lotta armata è una realtà inevitabile a cui in circostanze tragiche non possono sottrarsi neanche i cristiani» (S. Giovanni Paolo II [1978-2005], Omelia per la celebrazione dei Vespri d’Europa nella Heldenplatz, Vienna 10 settembre 1983).
Sull'obbedienza al Magistero, facciamo notare un'importante risposta del Card. Ladaria su questo tema (QUI anche il video):
D. – Là dove la lettera afferma “il dovere” della Chiesa “di escludere ogni ambiguità circa l’insegnamento del magistero sull’eutanasia e il suicidio assistito”, le “ambiguità” si riferiscono anche a pronunciamenti di vario tipo di qualche ufficio o di qualche responsabile vaticano, come monsignor Paglia?
R. – [Sorriso] Io tornerei a ciò che dice anche il Concilio Vaticano II nella costituzione “Lumen gentium” sulla Chiesa, e poi a diverse spiegazioni che ha dato la congregazione per la dottrina della fede. […] Il Concilio dice che vi sono tre elementi [da prendere in considerazione]: la frequenza di una dichiarazione, il tono di questa dichiarazione, l’indole del documento. Non è lo stesso un Concilio che una dichiarazione a un giornalista. Questo deve essere molto chiaro. Non è lo stesso un’enciclica, un discorso che il papa fa, o se adesso io dico qualche cosa davanti a voi. […] Può anche accadere che in certi momenti, in certi tipi di dichiarazioni, che non sono infallibili, il cattolico si veda in difficoltà. In questi casi anche i documenti della Chiesa prevedono che si possa fare un momento di silenzio, senza fare una opposizione pubblica, ma questo non […] vuol dire che un vescovo quando apre la bocca parla in un modo infallibile o impegna il magistero della Chiesa. No. La Chiesa ha gli elementi di discriminazione, di giudizio, perché il magistero è sommamente articolato e si esercita a molti livelli.
QUI e QUI due interviste a Ettore Gotti Tedeschi: soprattutto nella seconda da leggere il paragrafo dedicato all'attacco alla proprietà privata che pare esserci nell'Enciclica.
QUI una profezia di Charles de Foucauld che fa riflettere, essendo il Beato citato nell'Enciclica.
QUI Samuel Gregg dell'Acton Institute.
QUI la TFP.
QUI Riccardo Cascioli con un'interessante osservazione sul fatto che l'Enciclica da una visione completamente opposta al Magistero sociale di Giovanni Paolo II.
QUI un commento sulle continue autocitazioni di Francesco nell'enciclica: circa 180!
QUI una confutazione dell'erronea affermazione, contenuta nell'Enciclica, riguardo al presunto ritardo sulla condanna alla schiavitù: “pur dotata di tali motivazioni, la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza”. Errore!
QUI il prof. Pietro de Marco su "“Fratelli tutti”, anche le “famiglie” dello stesso sesso" (!).
QUI un articolo laudatorio dell'Enciclica della rivista massonica del Grande Oriente d'Italia Erasmo.
QUI Padre Serafino Lanzetta sul rapporto tra l'Enciclica e Carl Rahner.
Grazie all'amico Giovanni Formicola per la citazione di Gòmez Dàvila, di Melchor Cano e della Regola di S. Francesco.
Luigi
Siamo tutti fratelli?
Don Alfredo Morselli, parroco e teologo, commenta l’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco.
di Don Alfredo Morselli
È appena uscita l’enciclica Fratelli tutti e già si sentono commenti di tutti i tipi: ritengo utili alcune considerazioni, onde evitare frettolose autopsie a cadavere ancora caldo.
SIAMO TUTTI FRATELLI?
Alcuni punti fermi, preliminari alla lettura di Fratelli tutti
Essere fratelli presuppone avere lo stesso padre, a meno che la madre non sia vedova nella migliore delle ipotesi, poco onesta nella peggiore.
L’avere lo stesso Padre comporta una certa immagine, oltre che una vaga somiglianza. L’immagine di Dio nell’uomo (come negli angeli) è data dalla natura libera e intelligente; detto più “fenomelogicamente”, dall’essere una “persona”.
San Tommaso spiega quanto sopra in questi termini:
“Ora, i vari esseri hanno con Dio una prima somiglianza genericissima in quanto esistono; una seconda in quanto vivono; una terza in quanto pensano o intendono. E questi ultimi, al dire di S. Agostino, “hanno con Dio una somiglianza tanto stretta, da essere la più vicina concessa alle creature”. Dunque è chiaro che, parlando propriamente, le sole creature intellettuali sono a immagine di Dio” (S. Th. Iª q. 93 a. 2 co).
Inoltre possiamo dire che la figliolanza è una categoria analogica; nessuno è Figlio come Gesù, e noi siamo “figli nel Figlio”.
Questa divisione analogica, che ci permette di afferrare i concetti di “Figliolanza per sé” e “Figliolanza per partecipazione”, ci permette pure di comprendere come esistono dei gradi anche nella figliolanza per partecipazione.
Come Gesù è “più Figlio” di quanto non lo siamo noi, così anche tra le creature razionali esistono dei gradi di figliolanza.
Quindi non ci si può limitare a dividere in “figlio sì” o “figlio no”, ma bisogna distinguere “figli in vari gradi”.
Da che cosa è determinata l’intensità ontologica della figliolanza? Siccome il figlio è immagine dei genitori, tanto più l’uomo è a immagine di Dio, tanto più sarà figlio.
Siccome l’immagine è data dalla natura intellettuale della creatura, l’uomo sarà tanto più figlio quanto più elevata sarà la capacità della sua facoltà conoscitiva.
Analogamente alla visione, che è dovuta all’occhio e alla luce, così la conoscenza è dovuta all’anima illuminata ora dalla luce naturale dell’intelletto, ora dalla luce della fede, ora dalla luce della visione beatifica.
San Tommaso così spiega:
“Perciò l’immagine di Dio nell’uomo si può considerare sotto tre aspetti. Primo, in quanto l’uomo ha un’attitudine naturale a conoscere e ad amare Dio: e questa attitudine consiste nella natura stessa della mente, che è comune a tutti gli uomini. Secondo, in quanto l’uomo conosce e ama Dio in maniera attuale o abituale, però non in modo perfetto: e questa è l’immagine dovuta alla conformità della grazia. Terzo, in quanto l’uomo conosce e ama Dio in maniera attuale e perfetta: e questa è l’immagine secondo la somiglianza della gloria. Perciò, commentando il versetto del Salmo: “È stata impressa in noi la luce del tuo volto, o Signore”, la Glossa distingue tre immagini: e cioè di creazione, di nuova creazione, e di somiglianza. –
Concludendo, la prima immagine si trova in tutti gli uomini, la seconda nei soli giusti, la terza soltanto nei beati” (Iª q. 93 a. 4 co).
In base al suddetto triplice grado di immagine, si pongono nell’uomo tre gradi di figliolanza, e – conseguentemente – tre gradi di fratellanza tra gli uomini; tra uomini per il fatto di essere uomini, tra cristiani battezzati, tra anime purganti e beati.
In ciascun uomo i gradi di figliolanza stanno in rapporto tra loro secondo la relazione di potenza e atto.
Ogni uomo è figlio di Dio in atto per natura; lo è in potenza, ma non necessariamente in atto, in quanto figlio di Dio per la fede e in quanto beato.
Mentre la figliolanza naturale fisica è indipendente dal libero arbitrio (un padre non può chiedere a un figlio se vuole essere generato prima che questo nasca), la figliolanza soprannaturale è – per quanto in potenza – anch’essa indipendente dal libero arbitrio, ma – in quanto in atto – è causata dalla grazia e dal libero arbitrio mosso e sostenuto nel suo essere e nel suo agire dalla grazia.
“A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome” (Gv 1,12).
In altre parole, quanto plasmiamo, atto salutare dopo atto salutare, il nostro essere immagine di Dio “secondo la misura del dono di Cristo” (Ef 4,7), tanto generiamo la nostra figliolanza verso Dio e la nostra fratellanza con gli altri uomini.
L’essenziale di quanto sopra è proposto a credere dalla Chiesa ed è riassunto nella domanda 24ª del Catechismo maggiore di San Pio X:
“24 D. Perché si dice che Dio è Padre?
R. Si dice che Dio è Padre, 1.° perché è Padre per natura della seconda Persona della Santissima Trinità, cioè del Figliuolo da lui generato: 2.° perché Dio è Padre di tutti gli uomini, che egli ha creato, conserva e governa: 3.° perché finalmente è Padre per grazia di tutti i buoni cristiani, i quali perciò si chiamano figliuoli di Dio adottivi”.
In base a quanto sopra:
Si può dire che un bambino che sta per essere abortito è nostro fratello, anche se non battezzato, per la sua figliolanza di natura.
Si può dire che un infedele è nostro fratello per la sua figliolanza di natura, rimanendo in noi il più fraterno obbligo di annunciargli il Vangelo, perché passino in atto i gradi di figliolanza che sono in lui solo in potenza, e quindi siamo tra noi ancora più fratelli.
Si può dire che un infedele senza colpa per ignoranza invincibile, il quale compie, mosso dalla grazia, tutto quanto può per conoscere il vero Dio, è soprannaturalmente nostro fratello in atto mediante la fede implicita.
Di fronte a questa verità ci sono due generi di errori: per difetto e per eccesso.
Per difetto, ovvero considerare gli uomini in qualche modo “meno fratelli” di quello che sono: ci sono gli errori che non considerano la dignità della persona umana dal concepimento alla morte, oppure la stessa persona sacrificabile e proprietà di uno stato o di una lobby economica che si mette nei suoi confronti al posto di Dio.
Ancora in questo genere troviamo la “fraternité” della Rivoluzione francese e della massoneria, ovvero di una fraternità senza un vero Padre, realmente distinto dal mondo.
Così pure il pessimismo luterano conseguente alla teoria del servo arbitrio, che porta a ipotizzare l’esistenza di uomini certamente futuri dannati.
Per eccesso, troviamo errori derivanti da temi propri della Nouvelle théologie e dalla teologia di Karl Rahner.
Nel primo caso riscontriamo la svalutazione della realtà del fine naturale dell’uomo (che invece secondo la buona teologia rimane in tutta la sua consistenza ontologica, seppure subordinato al fine soprannaturale). Detta svalutazione porta necessariamente ad appiattire la fratellanza e ad annullarne i gradi per partecipazione: se siamo già tutti fratelli, a che serve il kerigma? La Chiesa sarà “in uscita” solo per i bisogni materiali. L’unità si limiterà alla fedeltà alla costituzione, pur con ampie concessioni (togliamo crocifissi e presepi) etc.
Radicalmente più grave è la teologia di Karl Rahner, dove di fatto tutti sono cristiani anonimi, per cui – credenti e no – siamo tutti fratelli alla “ça va sans dire”.
Posti i suddetti punti fermi, di fede, si potrà valutare l’enciclica, sia quanto alla chiarezza espositiva sia quanto ai contenuti. N.B. “valutare” non è “giudicare”, ma, nel caso del Magistero, è dire “si capisce/non si capisce come ci sia continuità con la dottrina certa”; se non si capisce, si fanno domande (“dubia”); e finché non ci sono risposte, si rimane a ciò che è certo.
Conclusione: prima ci faremo santi, prima finisce la crisi nella Chiesa e prima saremo veramente fratelli; l’unica via per essere Fratelli tutti.
SAN FRANCESCO D'ASSISI
Regola non bollata (1221), che riprende in larga parte l'originale regola (andata perduta) che Francesco mostrò a papa Innocenzo III nel 1210. Questa regola è molto ricca di citazioni evangeliche, ed è la prima regola scritta del santo che ci è pervenuta.
[1]Questa è la prima Regola che il beato Francesco compose, e il signor papa Innocenzo gli confermò senza bolla.
[...]
CAPITOLO XVI
Dl COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI E GLI ALTRI INFEDELI
[42]1 Dice il Signore: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. 2 Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe” (Mt 10,16).
3 Perciò qualsiasi frate che vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il permesso del suo ministro e servo.
4 Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore (Cfr. Lc 16,2), se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione.
[43]5 I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. 6 Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1Pt 2,13) e confessino di essere cristiani. 7 L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5).
[44]8 Queste ed altre cose che piaceranno al Signore, possono dire ad essi e ad altri; poiché dice il Signore nel Vangelo: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32); 9 e: “Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando tornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli” (Lc 9,26).
[45]10 E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che si sono donati e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo. 11 E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: “Colui che perderà l’anima sua per causa mia la salverà per la vita eterna” (Cfr. Lc 9,24.; Mt 25,46). 12 “Beati quelli che sono perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,10). 13 Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20). 14 E: “Se poi vi perseguitano in una città fuggite in un’altra (Cfr. Mt 10,23). 15 Beati sarete, quando gli uomini vi odieranno e vi malediranno e vi perseguiteranno e vi bandiranno e vi insulteranno e il vostro nome sarà proscritto come infame e falsamente diranno di voi ogni male per causa mia (Cfr. Mt 5,11 e 12); 16 rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli (Lc 6,23; Mt 5,12). 17 E io dico a voi, miei amici: non lasciatevi spaventare da loro (Cfr. Lc 12,4) 18 e non temete coloro che uccidono il corpo e dopo di ciò non possono far niente di più (Mt 10,28; Lc 12,4). 19 Guardatevi di non turbarvi (Mt 24,6). 20 Con la vostra pazienza infatti salverete le vostre anime (Lc 21, 19). 21 E chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo” (Mt 10,22; 24,13).
Nell’enciclica “Fratelli tutti” il Papa fa dire al santo di Assisi il contrario di ciò che ha detto. Di fronte a tanta impudenza c’è da rimanere esterrefatti
Il Foglio, 6-10-20, Camillo Langone
San Francesco, hai visto come ti ha usato il Papa che usa il tuo nome? Al numero 3 della nuova enciclica cita le Fonti Francescane ma le cita censurandole ossia falsificandole, tagliando il numero 43 proprio dove affermi che i Saraceni devono battezzarsi, farsi cristiani, “poiché se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio”.
Insomma ti fa dire il contrario di ciò che hai detto, per arruolarti nella sua crociata immigrazionista. Di fronte a tanta impudenza sono rimasto esterrefatto, San Francesco, non volevo credere ai miei occhi, ho sospettato uno scherzo, una parodia, ma purtroppo era proprio il sito del Vaticano ed era proprio il testo ufficiale. Sempre al numero 3 il Papa che usa il tuo nome esorta esplicitamente (sebbene fra gesuitiche virgolette) alla sottomissione all’islam. Altra stropicciata d’occhi. Altra verifica: lo ha scritto davvero.
“Fratelli tutti” va oltre l’indifferentismo del Documento cattomusulmano di Abu Dhabi, più volte citato, e raggiunge “Sottomissione” di Michel Houellebecq che però è il romanzo di un romanziere, non un’enciclica del capo della Chiesa. San Francesco, tu che provasti compassione per tutte le creature, prova compassione per noi cattolici.
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