Un altro intervento di approfondimento di Peter Kwasniewski apparso su NLM e poi tradotto da Stilum Curiae.
Un po' di formazione liturgica nella pace della domenica.
Luigi
KWASNIEWSKI: MAGGIORE ACCESSIBILITÀ… A CHI, A COSA E PERCHÉ?
10 Ottobre 2020 Pubblicato da Marco Tosatti
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Nel corso degli anni della riforma liturgica – e per i molti e lunghi decenni successivi – la valanga di cambiamenti nel culto cattolico era spesso giustificata da poche frasi magiche che sarebbero state lanciate in modo quasi talismanico, con un’aria di infinita superiorità per le magre possibilità di approfondimento degli umili laici. Il principale “contendente” era certamente la frase “partecipazione attiva“, ma unita con “Uomo moderno“, “incontrare le persone dove si trovano“, “fare come la Chiesa primitiva” e con ciò che mi interessa di più in questo articolo, “maggiore accessibilità“.La liturgia rivista avrebbe dovuto essere, ed è stata rivendicata e asserita, “più accessibile“, ma questa è una cortina fumogena monumentale, se mai ce ne è stata una.
Dopotutto, nulla è più o meno accessibile in astratto o senza ulteriori precisazioni.
Bisogna sempre chiedersi:
“Accessibile “a chi ?” E dare accesso “a cosa ?” E allo scopo di …? ”
Quasi esclusivamente, l’accessibilità era intesa principalmente o esclusivamente come un fenomeno verbale-concettuale. Se riesci a cogliere immediatamente questa piccola porzione di contenuto, senza ulteriore preparazione, spiegazione o resto di sconcerto, allora tu la consideri accessibile.
L’oggetto di una comprensione così immediata e completa non può ovviamente essere Dio, che ogni teologo ortodosso dichiara fin dall’inizio come incomprensibile; né può essere l’uomo che, essendo fatto a immagine di Dio, è un mistero per se stesso; né può essere il mondo, che è troppo complicato e vasto per entrare nella mente dell’uomo, anche se mille Einstein dovessero polverizzarlo; né possono esserlo i misteri rivelati da Dio nella storia e trasmessi nella Scrittura, poiché ognuno di essi è una combinazione di tutto quanto sopra. Perciò una liturgia perfettamente accessibile, nel senso discusso sopra, dovrebbe essere basata sul nulla, senza alcun indirizzo ed introdurci nell’inesistente.
Questo, è vero, è un caso limite fortunatamente mai raggiunto: c’è sempre un residuo di inintelligibilità in qualunque cosa facciano gli esseri umani, anche se cercano di evitarlo. Nella misura in cui rimanevano elementi della liturgia divina tradizionale, rimaneva l’incomprensibilità di Dio, dell’uomo, del cosmo e dei misteri di Cristo.
Tuttavia, la riforma ha introdotto una tensione fondamentale tra il permettere alla liturgia di essere misteriosa, come deve essere, e il tentativo, in nome della scienza liturgica, di eliminarla dalle stesse caratteristiche che tendevano a renderla paurosa, oscura, intricata, meravigliosa, eppure, paradossalmente, lo rendono anche ordinato e sistematico, familiare e confortante, senza pretese e privo di irritazioni invasive.
Mi sembra che ci sia una potente ironia all’opera nella rinascita della liturgia latina tradizionale della chiesa romana. L’ironia è che, nonostante tutto ciò che gli studiosi e gli armeggiatori prevedevano, nonostante tutto il loro tormento, le nuove generazioni trovano i vecchi riti in generale abbastanza e sufficientemente accessibili, anzi “più” dei nuovi riti, purché si abbia una definizione più ampia e profonda di accessibilità.
La ragione non è lontana: l’antica liturgia fa appello in modo più coerente, più potente, a “tutta la gamma” della realtà, naturale e soprannaturale; di cosa significa essere umani; di come ci esprimiamo e di ciò che stiamo cercando di esprimere con parole, gesti, canzoni e sospiri. Fa appello a tutti i sensi, ai vari temperamenti e personalità, ai diversi livelli su cui si gioca la nostra vita interiore e si interseca con il mondo esterno.
La liturgia romana tradizionale – e questo è vero per ogni rito apostolico tradizionale nel cristianesimo – riconosce una verità su cui gli psicologi non si stancano mai di parlare: gli esseri umani comunicano principalmente in modo non verbale.
È un dato di fatto, non siamo mai attrezzati a “non” comunicare qualcosa, anche se non parliamo o non abbiamo intenzione di trasmettere un significato.
L’ordine e lo stare sulla difensiva la dicono lunga, proprio come la disattenzione e la casualità.
Una liturgia, come ogni cerimonia umana, comunica costantemente attraverso ogni parola, posizione, gesto, posizione, azione, silenzio. La vecchia liturgia, imbrigliando e regolando queste cose in modo armonioso per farne emergere il pieno significato, è più comunicativa; in questo senso, offre più accessibilità ed in molti più modi. La liturgia riformata, eliminando il linguaggio tradizionale non verbale e poi lasciando così tanto al caso e all’abito idiosincratico, assottiglia il contenuto ed in suo recepimento, mescolandolo con materia estranea e contraddittoria.
Molte di queste riflessioni sono state suggerite da un video sul linguaggio del corpo che mi ha reso molto più consapevole dell’importanza dei dettagli piccoli “e non verbali” nella liturgia (e, quindi, dell’importanza di esserne consapevoli e fedeli alla loro corretta esecuzione). L’esperto intervistato, Joe Navarro, guarda le persone dal punto di vista di un agente dell’FBI che cerca di valutare potenziali minacce, testimoni, ecc. La parte del video più rilevante per la liturgia va dal minuto 7:10 al minuto 8:10 (video al momento non allegato).
Ecco una trascrizione di alcuni dei punti che tocca sul linguaggio del corpo:
“Il modo in cui ci vestiamo, come camminiamo, ha un significato e lo usiamo per interpretare ciò che è nella mente della persona.”
“Potremmo pensare di essere molto sofisticati, [ma] non siamo mai in uno stato in cui non stiamo trasmettendo informazioni”.
“Trasmettiamo tutti in ogni momento; come scegliamo gli abiti che indossiamo, come ci puliamo, come ci vestiamo, ma anche come ci comportiamo noi stessi, come veniamo in ufficio in questo particolare giorno, con molta energia oppure ci arriviamo con un tipo diverso di ritmo … e ciò che cerchiamo di carpire sono piccole differenze di comportamento, fino alla minima parte di: qual è la postura di questo individuo mentre cammina per strada, sono all’interno del marciapiede, all’esterno, possiamo vedere la sua frequenza di battito di ciglia , quanto spesso guarda l’orologio … “
“Puoi avere una faccia da poker, ma non puoi avere un corpo da poker – da qualche parte verrà rivelato.”
“Parliamo di linguaggio “non verbale” perché è importante, perché ha gravità, perché influenza il modo in cui comunichiamo tra di noi.”
“Quando si tratta di modi non verbali, non è cosa da poco. Comunichiamo principalmente in modo non verbale e lo faremo sempre. “
Frasi come: “comunichiamo principalmente in modo non verbale” e “non comunichiamo mai qualcosa” sono molto rilevanti per la celebrazione della Messa. Ogni gesto – per esempio, la velocità di movimento intorno all’altare; dove il sacerdote è in piedi o seduto, quando e perché; come vengono trattati i vasi sacri; se lo sguardo del sacerdote è rivolto al popolo o modestamente abbattuto – confessa ciò che il celebrante e il popolo credono di fare.
Perché i riformatori liturgici sembravano così stonati o incapaci delle cose più ovvie della vita? Non si rendevano conto che cambiare il linguaggio del corpo, i gesti, le posture, l’orientamento, il movimento degli occhi, avrebbe prodotto un cambiamento epocale nella mentalità e nella spiritualità? Oppure . . . il fatto era che capivano “perfettamente”, e quindi abolivano pezzo per pezzo un linguaggio non verbale, per sostituirlo con un altro contenente un messaggio contrario?
Mi viene in mente ciò che è stato detto sulla perdita di fede nella Presenza Reale.
Questo non è stato un risultato sfortunato di una mancanza di catechesi.
Era il risultato voluto di una catechesi rinnovata.
Non è stato un sottoprodotto accidentale della riforma liturgica andata storta; era un esito premeditato di una nuova ecclesiologia che identificava la comunità di culto “per eccellenza” con il Corpo di Cristo e cercava di opporsi al “feticismo” o “magia” del culto eucaristico che si era sviluppato nella Chiesa da almeno mille anni.
Come sottolinea Martin Mosebach riguardo alla Santa Comunione:
[Un] intero bagaglio di gesti rispettosi aveva circondato il sacramento dell’altare, e questi gesti erano l’omelia più efficace, che mostrava continuamente ed abbastanza chiaramente a sacerdoti e fedeli la misteriosa presenza del Signore sotto le forme del pane e del vino. Possiamo essere certi: nessun indottrinamento teologico dei cosiddetti teologi illuminati ha così danneggiato la convinzione dei cattolici occidentali della presenza del Signore nell’Ostia consacrata quanto l’innovazione del ricevere la comunione nella mano, accompagnata dall’abbandono di ogni cura nella manipolazione delle particelle dell’Ostia.
Eppure davvero non si può ricevere la comunione con riverenza nella mano? Ovviamente è possibile. Tuttavia, una volta che le tradizionali forme di riverenza erano in atto, esercitando la loro benedetta influenza sulla coscienza dei fedeli, la loro interruzione conteneva il messaggio – e non solo per i semplici fedeli – che così tanta riverenza non era realmente necessaria, e insieme a quella lì di conseguenza crebbe la convinzione (inizialmente taciuta) che non vi fosse “nulla” che richiedesse rispetto. (Cattolicesimo sovversivo: Papato, Liturgia, Chiesa, 80-81)
P. Roberto Spataro fa un punto simile ma più ampio:
L’umiltà è più di una virtù, è la condizione per una vita virtuosa. Ecco allora gli inchini e le genuflessioni che l’uomo umile compie fiduciosamente davanti a Dio e in spirito di obbedienza, riconoscendone la sovranità misericordiosa, il suo amore senza limiti, la sapienza creatrice. Anche la ragione non è tentata di insuperbirsi, come accade nel processo rivoluzionario, perché nella messa “Vetus Ordo”’ non tutto può o deve essere spiegato con la ragione che, invece, accetta di adorare e non di comprendere Dio e a Lui si rivolge adoperando una lingua sacra diversa da quella adoperata nel linguaggio ordinario, perché nell’ordine armonioso della creazione che la liturgia ripropone nella sua ritualità, non c’è mai una ripetizione monotona o una tediosa uniformità, ma c’è una sinfonia di diversità, e sacro e profano , senza opporsi, rispettano la loro alterità. E la ragione rinuncia pure a un uso eccessivo delle parole come purtroppo avviene nella prassi liturgica inaugurata dal Novus Ordo e interpretata in modo decisamente logorroico da molti sacerdoti. Nella Messa “Vetus Ordo”, invece, la ragione fa appello ad altre dimensioni della comunicazione e, oltre alla parola pronunciata o cantata, dà spazio al silenzio, che è come l’atmosfera, impregnata di Spirito Santo, in cui nasce il pensiero credente e la parola orante.(Elogio della Messa tridentina e del latino, Lingua della Chiesa, 30 – qui è stato riportato il testo originale dell’edizione italiana – pag. 44-45)
Quello che facciamo con il nostro corpo è comunicativo quanto quello che diciamo con le nostre labbra. La liturgia, quindi, dovrebbe governare i movimenti e le disposizioni delle nostre membra e dei nostri sensi, imbrigliandoli come simboli di verità e strumenti di santificazione. Questo ci aiuterà a pregare, a entrare più profondamente in comunione con il Signore e ad abbandonarci a verità che non possono essere espresse in parole o catturate in concetti. Come dice San Paolo nell’Epistola ai Romani, dovremmo fare delle nostre membra corporee “strumenti di giustizia”:
“Né cedete le vostre membra come strumenti di iniquità al peccato” – il peccato di irriverenza, di mancanza di rispetto per le cose sante, di comportamento casuale, azzardato e sconsiderato durante la nostra udienza formale davanti al grande Re – “ma presentatevi a Dio” nel culto teocentrico che governa la nostra auto-presentazione, “come coloro che sono vivi dai morti “- la morte vivente della moderna cultura anti-naturale, anti-cristica -” e le vostre membra come strumenti di giustizia a Dio “(Rom 6:13), la giustizia, cioè della virtù della religione.
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