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sabato 4 luglio 2020

Non c'è più motivo: basta Messe igieniste


Un altro bell'articolo su un tema nodale oggi.
E scriviamo alla CEI:  segreteria.arcivescovo@diocesi.perugia.it.
Luigi

27-06-2020, La Nuova Bussola Quotidiana, Luisella Scrosati


Comunione senza guanti e sposi senza mascherine: le concessioni del governo annunciate ieri sera aggravano la sudditanza della Chiesa rispetto allo Stato, che per la prima volta impone la Comunione in mano. E rendono ancora più pesante la situazione per cui si va a Messa come se si entrasse in un reparto infettivi in ospedale, con abusi neanche previsti dal Protocollo Governo-CEI. Ma più il tempo passa più certe norme appaiono enormemente sproporzionate ai reali rischi sanitari e rispetto a quanto richiesto per altri luoghi pubblici. Non ci possiamo rassegnare a questa discriminazione, né al tentativo di imporre una modalità di Comunione motivata dall'ideologia. Occorre scrivere e interpellare il proprio vescovo, il presidente della CEI, la Congregazione per il Culto divino. Il diritto dei fedeli deve essere ripristinato.
[da leggere anche questo] - VESCOVI, ASCOLTATE LA VERA SCIENZA: RIVEDETE IL PROTOCOLLO, di Paolo Gulisano

È ormai passato più di un mese dal “ripristino” delle Messe con il popolo. In queste settimane abbiamo dovuto accettare, volenti o nolenti, che le nostre chiese venissero invase da metri e metri di nastri di plastica bianco-rossi, trasformando l’ambiente sacro in un cantiere.

Le indicazioni date dal Ministero sono state arricchite dalla stravaganza clericale, più igienista dell’Ufficio igiene pubblica; la più indigesta tra tutte, quella di impedire (non ovunque, grazie a Dio) ai fedeli di inginocchiarsi durante la consacrazione. In alcune chiese, poi, la fantasia di parroci e vescovi ha arbitrariamente esteso le distanze interpersonali oltre la ragionevolezza: nei cartelli esposti alle porte del luogo sacro si parla di mantenere la distanza di più metri, e la collocazione dei posti occupabili ha previsto distanze che vanno dai due ai tre metri. Ad abundantiam.

Poi, il momento della Comunione è un'altra delle fasi più sofferte della Messa: in alcune chiese bisogna rigorosamente rimanere al posto, seduti o in piedi, a seconda che si voglia ricevere o meno il Sacramento. Altrove, ci sono “gli ausiliari del traffico”, muniti di pettorina o di fascia al braccio, che fanno segnali per indicare chi può mettersi in fila e chi no.

Le nuove disposizioni arrivate ieri dal Comitato tecnico-scientifico, interpellato dal Ministero dell'Interno, in risposta a due quesiti posti dalla CEI rendono il tutto ancora più irritante: viene concesso al prete di non mettere i guanti per distribuire la comunione e per quanto riguarda i matrimoni gli sposi sono esentati dall'indossare le mascherine. Tutto il resto rimane com'è stato fino ad oggi, anzi, per la prima volta è un documento ministeriale a esplicitare l'obbligo di comunione distribuita in mano. Si tratta di una ingerenza gravissima che la CEI incassa senza battere un colpo, anzi quasi soddisfatta di aver strappato una qualche concessione.

Allora, ci pare doveroso presentare ai vescovi la domanda che queste norme arbitrarie vengano rimosse. Perché è piuttosto fastidioso constatare che al supermercato ci si può muovere più liberamente di quanto si possa fare nelle chiese. Abbiamo tutti bisogno di normalità, ed in particolare, quando andiamo in chiesa, vorremmo avere la libertà di pensare al Signore, senza essere continuamente distratti da tutte queste “precauzioni”, che lasciano trasparire, al di là delle intenzioni, che l’idea che si ha dei fedeli è più o meno quella del popolo bue, incapace di badare a se stesso.

E poi c’è il problema dei problemi: quello della Comunione imposta sulle mani. Si è già avuto modo di far notare (vedi qui) rispettivamente che:
Non esiste alcuna evidenza scientifica del fatto che la Comunione sulla mano sia più pericolosa di quella direttamente in bocca. Anzi. Qualche giorno fa il tanto discusso (e discutibile) Walter Ricciardi ha ribadito che «la stragrande maggioranza dei contagi avviene attraverso le mani, quindi lavarle è un'abitudine che può controllare circa il 60% dei contagi, [...] Il distanziamento fisico e il lavaggio delle mani da soli possono evitare quasi il 100% dei contagi». Ecco. Quindi se il sacerdote si disinfetta le mani prima di dare la Comunione ai fedeli, se pone attenzione a non entrare in contatto con le mani, o con la lingua (e nel caso il contatto avvenga, ponga attenzione a disinfettarsi nuovamente le mani, previa purificazione), non c’è alcuna ragione al mondo per cui si debba preferire la Comunione sulla mano. Preferire: figuriamoci obbligare.
Il Governo italiano, almeno nel protocollo firmato con la CEI non ha imposto alla Chiesa cattolica la Comunione in mano. Né lo potrebbe fare. E la disposizione pubblicata ieri sera ha tutta l'aria di essere stata imbeccata dalla CEI. L’art. 2 § 1 del Concordato stabilisce infatti che «la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica». Tradotto: come dare la Comunione lo decide la Chiesa e non lo Stato. Di fatto, le indicazioni date a suo tempo dal Ministero non dicevano nulla di tale presunto obbligo: esse si limitavano a richiedere di aver cura di non entrare in contatto con i fedeli. Nel protocollo firmato con la Chiesa ortodossa, non c’è neppure quel riferimento "non entrare in contatto con le mani dei fedeli", che è invece presente in quello con la Chiesa cattolica.
La Chiesa Cattolica ha un suo Codice di Diritto Canonico che dev’essere rispettato sia dall’autorità civile, sia, a maggior ragione, da quella ecclesiastica. In questo Codice è espressamente dichiarato che «ogni battezzato, il quale non ne abbia la proibizione dal diritto, può e deve essere ammesso alla sacra comunione» (can. 912). Vengono poi definite con precisione le categorie alle quali è necessario rifiutare la Comunione: «Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l'irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (can. 915). Dunque, chi si presenta al sacro Ministro per ricevere la Comunione direttamente in bocca non può e non deve subire l’umiliazione che gli venga rifiutata.

Per quanto si possa capire la premura per il rispetto delle precauzioni sanitarie, esse non possono essere imposte al punto tale da andare a ledere il diritto ecclesiastico. In modo ancora più esplicito, l’Istruzione Redemptionis Sacramentum, n. 91, richiamando un altro canone fondamentale del Diritto Canonico, ricorda che «nella distribuzione della santa Comunione è da ricordare che “i ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli” (can. 843). Pertanto, ogni cattolico battezzato, che non sia impedito dal diritto, deve essere ammesso alla sacra comunione. Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi».

Qualcuno potrebbe obiettare che le “ragioni sanitarie” possano giustificare una prassi diversa. Al contrario, la Congregazione per il Culto Divino, consultata in occasione della pandemia influenzale 2009-2010, la famosa “suina”, il 24 luglio 2009, con lettera protocollare N. 655/09/L, firmata dall’allora sottosegretario P. Anthony Ward, non fece altro che far presente i testi sopra riportati, aggiungendo anche il n. 92 di Redemptionis Sacramentum, il quale ribadisce ancora una volta che ogni fedele ha «sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca».

Tirando le somme, le attuali disposizioni della Chiesa Cattolica Italiana che vietano di ricevere la Comunione in bocca sono un abuso. Ed un abuso dev’essere rimosso dalle autorità competenti, le quali hanno il dovere di ripristinare il diritto. Punto.

Che fare, dunque? Anzitutto, scrivere. Occorre mostrare alle autorità che c’è un popolo che vive il disagio di questa situazione e che è consapevole di essere vittima di un abuso. Occorre mandare raccomandate, fax, email al proprio Ordinario, al Presidente della CEI, il cardinal Bassetti (segreteria.arcivescovo@diocesi.perugia.it ), alla Congregazione per il Culto Divino (qui i contatti). Bisogna fare come la vedova importuna e non fermarsi fino a quando il diritto dei fedeli non venga ripristinato e le chiese non tornino ad essere luoghi di preghiera, pur con le dovute precauzioni.

E poi, osare. Se non mi può essere rifiutata la Comunione allorché non sono interdetto, né scomunicato, né vivo in peccato pubblico manifesto, allora posso e devo presentarmi a ricevere l’Eucaristia, con le dovute disposizioni, senza chiedere permessi particolari. Un sacerdote, a sua volta, non la può rifiutare. Se il vescovo gli farà delle reprimende, si rivolga alle Congregazioni competenti, perché un vescovo non può andare contro il Diritto della Chiesa. Dobbiamo in qualche modo scardinare questo sistema che sta rendendo normale un abuso bello e buono, e che le "concessioni" di ieri hanno perfino peggiorato.