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domenica 10 maggio 2020

Galli della Loggia. Francesco e la politica politicante. “Cattolicesimo solo di sfondo, quasi a svanire”

Una approfondita, obiettiva, e interessante analisi di Galli della Loggia sul Corriere della Sera di ieri.
QUI un commento all'articolo.
Da leggere assolutamente per conoscere le fratture tra il pontificato di Papa Francesco e il magistero petrino precedente. 
Sottolineato nostro.
Luigi


È ormai un luogo comune notare il carattere profondamente politico del pontificato di papa Bergoglio.

In verità, però, più che politico il suo appare un pontificato ideologico, e le due cose non sono affatto la stessa cosa. Fino al punto che, come dirò, esse possono addirittura entrare in contrasto. Fin dall’epoca costantiniana la Chiesa ha sempre fatto politica: oltre ad essere un fatto di enorme rilevanza storica è un dato della sua identità autopercepita come «Società perfetta» del tutto autonoma da ogni potere. Essa cioè ha sempre agito con la piena consapevolezza della propria forza, rappresentata dalla capacità di orientare in modo significativo, spesso determinante, valori e comportamenti di grandi masse di uomini e di donne. Ha sempre fatto politica allo scopo di affermare o difendere i propri interessi e i propri valori (qualunque fossero gli uni e gli altri). Il che tuttavia ha sempre voluto dire anche altro, e cioè cercare di comprendere e interpretare i movimenti generali entro il sistema degli Stati al fine di affermare comunque la propria peculiare presenza.

Questo quadro complessivo tende però a subire con l’avvento di Bergoglio una modifica significativa. L’accusa mossa al Papa da alcuni settori radicali della sua stessa parte di essere virtualmente uscito dal solco del cattolicesimo fa sorridere. È un dato di fatto, invece, che non appena oltrepassa l’ambito delle cerimonie e dei riti, il discorso pubblico di Francesco inclina a perdere ogni specificità di tipo religioso. Certo, l’appello alla giustizia sociale, alla difesa dei deboli e degli oppressi, a una distribuzione più equa fra i popoli delle ricchezze naturali, l’invito a non manomettere irreparabilmente gli assetti naturali, tutto ciò che è la sostanza di quel discorso è in sintonia con la sostanza del messaggio cristiano. Questo messaggio risulta però fortemente modificato nel suo significato complessivo — oltre che dalla suddetta assenza di specificità «forti» di tipo religioso — da alcuni tratti tipici della piega che Bergoglio dà ad esso, e che come dicevo all’inizio portano le sue parole su un terreno che segna una frattura rispetto alla tradizione del magistero papale. Tali fattori sono in particolare due.

Innanzi tutto i destinatari. Anziché genericamente agli «uomini di buona volontà», ai «governanti», alle «autorità responsabili», al mondo, o a gruppi particolari designati dalla loro attività (chessò: le ostetriche, i poliziotti, i manager) — come per antica consuetudine accadeva finora — il Papa attuale ama invece sempre più spesso rivolgersi più o meno direttamente (magari scegliendoli come proprio pubblico) a soggetti vittime di situazioni negative. Ai «popoli», ai «movimenti popolari», o ad altri interlocutori analoghi: ma sempre scelti, direi, in una parte soltanto della società, quella meno favorita. Una scelta tanto più significativa in quanto è evidente che è ai discorsi rivolti ad essa che lo stesso Francesco attribuisce il maggiore significato per definire il carattere del proprio pontificato.

Il secondo elemento di frattura riguarda i contenuti non strettamente confessionali del discorso papale. Ciò che qui colpisce è il sostanziale abbandono di quella «dottrina sociale della Chiesa» che aveva tenuto il campo da Leone XIII fino a Giovanni Paolo II e che si connotava per la sua sempre ribadita posizione di centro tra capitalismo liberale e statalismo socialista. Altrettanto chiaro è l’abbandono sostanziale di un’altra declinazione tipica della pastorale pontificia: vale a dire di quell’universalismo umanistico così centrale nelle principali risoluzioni conciliari. Al posto di tutto ciò dominano viceversa il discorso di Bergoglio, insieme a una marcata noncuranza nei confronti della vicenda culturale dell’Occidente e a un’ostilità sempre allusa ma chiarissima per il capitalismo e per gli Stati Uniti, una forte simpatia per la dimensione dell’iniziativa spontanea dal basso e per l’autoorganizzazione popolare, l’avversione conseguente per tutto ciò che sa di istituzionalizzato, di ufficiale, di formale, nonché la generale condivisione delle aspettative e delle scelte fatte proprie da ogni gruppo marginale, e infine l’auspicio di una sorta di economia natural-comunitaria a base egualitaria, di cui è espressione esemplare la proposta avanzata di recente da Francesco stesso di un non meglio specificato «reddito universale».

Sono tutte cose certamente più che compatibili, in certo senso addirittura connaturate al messaggio evangelico. Le quali però cambiano di segno quando, come avviene nel discorso di Bergoglio, il messaggio evangelico e il relativo richiamo al depositum fidei cattolico tendono ad essere messi sullo sfondo fino a svanire. Come prova la diffusa assenza in quel discorso medesimo, ad esempio, di qualunque esortazione alla necessità del pentimento e della conversione o a scoprire il senso cristiano della vita e della morte, ovvero la verità della trascendenza, elemento costitutivo di ogni religione. È così che alla fine quel discorso, privo di una significativa innervatura religiosa, resta solo un discorso ideologico, di una ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico, non dissimile da altri in circolazione specie nel Sud del mondo.

Il fatto è che è stata proprio quell’innervatura religiosa, quella capacità di confrontare la religione con il mondo, oggi espunta o del tutto marginale, che ha sempre fatto la forza politica della Chiesa. È stato proprio quel particolare intreccio tra religione e prassi mondana che ha indicato all’istituzione ecclesiastica la direzione del suo impegno e insieme i modi concreti per adempiere ad esso. Oggi, viceversa, proprio perché portatrice di un discorso che appare attento a depurare il sociale storico da ogni effettivo richiamo religioso, e che quindi risulta esclusivamente ideologico, la Chiesa trova grande difficoltà a fare politica realmente, a essere presente con un proprio ruolo e il proprio peso nelle situazioni politiche concrete.

Scelgo in proposito due esempi. Il primo: da tempo — e in seguito all’epidemia di Covid 19 più che mai — l’Unione europea è attraversata al proprio interno da una divisione-scontro Sud/Nord. Un gruppo di Paesi del Sud Europa (Italia, Francia, Spagna, Portogallo i principali) si contrappone a un gruppo di Paesi del Nord (Germania, Olanda e Finlandia in testa) su una serie di questioni che alla fine riguardano i valori sociali e politici fondamentali che devono prevalere in una collettività; e si dà il caso (un caso forse non del tutto casuale) che i Paesi del primo gruppo siano quasi tutti di tradizione cattolica. Secondo esempio: non da oggi (ma ancora una volta oggi più che mai) la base degli equilibri mondiali (non solo politici o economici) in vigore da oltre mezzo secolo sta mutando drammaticamente a causa dell’attivismo inedito e spregiudicato di due gigantesche aree politico-culturali: quella russa e quella cinese, entrambe indifferenti ai diritti umani e tanto più alla libertà religiosa. Ebbene, forse mi sarò distratto, ma su ognuno di questi due nodi di questioni, dalle implicazioni innumerevoli e decisive per l’avvenire del mondo, qualcuno ha notizia di una presa di posizione autorevole, di un gesto realmente significativo, di una iniziativa di rilievo, di un qualcosa qualunque da parte della Santa Sede o della Chiesa Cattolica?

3 commenti:

  1. Finalmente ciò che diciamo in tanti da tempo, trova spazio su un giornale laico e solitamente favorevole da chi è favorevole a Bergoglio. Chissà che si cominci a ragionare in merito anche fuori da circoli cattolici tradizionisti.

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    1. “Cattolicesimo solo di sfondo, quasi a svanire”. hai capito che scoperta! Eppure c'è un errore in quel "quasi a svanire". E' meglio "è svanito".

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  2. Come dimostrano mille prove,la politica bergogliana non è al servizio della Chiesa ma di ideologie anticristiane e anticattoliche in particolare, che si travestono di falsa fede per poter camuffarsi meglio. Cosa pensare di diverso quando si intronizzano in S. Pietro idoletti pagani e poi si corre, come folli per via del Corso dal Crocifisso miracoloso, poi portato nella basilica vaticana ove erano stati esposti i simboli anticristiani ? Bergoglio recita con arroganza, anche se in modo psicopatologico, il copione dei guerriglieri sudamericani.

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