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mercoledì 18 marzo 2020

Vetus e Novus Ordo: è possibile una Pace Liturgica?

Riceviamo un interessante testo da parte del sacerdote salesiano don Marco Begato  che, partendo da un inquadramento storico della questione liturgica, giunge ad un'analisi della situazione attuale, per proporre un appello ed arrivare ad una “pace liturgica”. 
Luigi


PANORAMICA STORICA


Nel 1984 S. Giovanni Paolo II emanò l’indulto Quattuor abhincannos e donò nuovamente alla Chiesa, per interposta concessione dei Vescovi, la possibilità di celebrare secondo il rito della Tradizione; successivamente il pontificato di Benedetto XVI inaugurava anni vissuti all’insegna di una riscoperta della ritualità liturgica in genere, poi sigillati dal Motu Proprio Summorum Pontificum del 2007, con il quale la forma extraordinaria del rito romano veniva normalizzata; la stagione attuale ha visto tornare in penombra il focus liturgico, mentre le celebrazioni Vetus Ordo procedono il loro cammino lungo la via ormai ben delineata da trentasei anni di fedeltà al Messale Tridentino restituito.

Nonostante ciò, in varie zone di Italia si attestano molteplici episodi di soprusi quotidiani coi quali si avversa il Vetus Ordo, purtroppo supportati da una visione distorta in principio,
indice di una coscienza ecclesiale ancora da purificare. Mi sia concesso di esporre un esempio, tra i tanti: il modo in cui è stata letta in Italia la logica dell’indulto. 

IL CASO DELL’INDULTO

L’indulto è definito come concessione, entra nel novero dell’eccezionalità e non della normalità ed è rimesso all’intervento prudente del giudice, nel nostro caso del Vescovo. L’indulto del 1984 affidava dunque al prudente discernimento dei Vescovi la concessione di celebrazioni in forma tridentina. Tali celebrazioni ottennero più di una resistenza, ma di essa non ci dobbiamo stupire o scandalizzare, perché era secondo l’ordine di giustizia che il preposto vagliasse le disposizioni indultatarie. Lo scandalo ha fatto capolino altrove. Per coglierlo dobbiamo riferirci a un secondo celeberrimo indulto, emanato questa volta dal santo pontefice Paolo VI, si tratta di Memoriale Domini del 1969 con il quale si affidava alla prudenza dei Vescovi la concessione della Comunione eucaristica fatta sulle mani e non in bocca. Ed eccoci al nodo: com’è avvenuto che un indulto (la concessione della Messa tridentina) sia stato interpretato con severità estrema, ancorché legittima, mentre l’altro (la concessione della Comunione eucaristica su mani non consacrate) sia stato liberalizzato senza quasi restrizioni? Di più, com’è che in varie chiese la nobiltà della Comunione in bocca non sia più insegnata e infine in più luoghi sia interdetta e proibita? Non basta, a ciò ora si aggiunga il fatto che la Messa tridentina nel 2007 è passata,appunto, da regime d’eccezione a norma, tale per cui il filtro del Vescovo viene decisamente marginalizzato e la celebrazione in Vetus è affidata direttamente alla responsabilità del singolo sacerdote e dei gruppi stabili di cattolici che la richiedano – a ben definite condizioni. Ebbene, come accade che nonostante l’alto pronunciamento di Benedetto XVI si incontrino ancora opposizioni da parte di sacerdoti, Parroci, ma a volte anche Superiori e Vescovi, contrarie alla logica del Motu Proprio? In nome di cosa? Con quale criterio un indulto è interpretato a titolo di ordinarietà, mentre l’altro indulto – ormai elevato a norma – è osteggiato? 

IL MOMENTO OPPORTUNO PER PARLARE

È forse arrivato il momento opportuno per riprendere pubblicamente la questione. E il momento opportuno è dato dalla sospensione delle S. Messe col popolo, in quanto ci permette disostare e meditare e sentire quanto grande è il valore della Santa Messa, al di là delle differenze rituali, e quindi quanto è ingiusto discriminare le S. Messe, quale che sia la forma rituale in cui sono celebrate.

Il superamento di tali discriminazioni chiede un passo avanti nella fede, ma anche una più esplicita consapevolezza della ragione. Bisogna riconoscere quale motore si trovi all’origine delle discriminazioni, esso è l’ideologia. È l’ideologia che fa leggere strumentalmente i documenti; è l’ideologia che suggeriscel’opposizione alla Tradizione. L’ideologia genera separazione anche attorno al massimo strumento di unità, che è la S. Messa. L’ideologia manipola le parole dei Pastori e dissuade dall’obbedienza. L’ideologia è instrumentum diaboli nella modernità e, se penetra tra noi credenti, induce noi pure ad arroccarci nelle nostre idee ed esperienze soggettive, fino a misconoscere e perdere di vista la realtà delle cose, cioè - in questa sede - il fatto che la grandezza della S. Messa non possaessere posposta a nulla; il fatto che per decenni ci siamo accapigliati su elementi secondari e farne le spese è stata la dignità del Divino Sacrificio. 

Ora a noi sacerdoti e a tutti i fedeli questa pandemia e la relativa sospensione delle cerimonie devono imporre di girare pagina, cominciando col sanare le divisioni che ci hanno visti separare proprio attorno alla celebrazione eucaristica. Certo, non mi illudo di chiudere con un appello decenni di discussioni teologiche, ma, questo sì, di poter auspicare e suggerire uno stile diverso di convivenza, pur nella differenza di vedute, uno stile di reale fraternità e dialogo, di rispetto e affetto, di giustizia e non di prepotenza.

Se nemmeno questa crisi, questo inaudito digiuno eucaristico, potrà farci ravvedere e restituirci uno sguardo libero, di fiducia nel Magistero in quanto continuativo con la Tradizione e con le sante richieste del Popolo di Dio; se nemmeno questa prigionia degli altari saprà sgravarci dai luoghi comuni, dalle prese di posizione, dagli interessi di ufficio e così restituirci a un’autentica, libera, fraterna convivenza delle celebrazioni, Novus e Vetus Ordo, allora mi chiedo cos’altro dovrà accadere perché impariamo. Ma preferirei non dover mai conoscere la risposta a una simile domanda.

L’APPELLO

Questo è l’appello: che la crisi rigeneri la nostra coscienza liturgica e porti a superare definitivamente la contrapposizioni, doppiezze, asprezze tra i due mondi cerimoniali; che decadano le restrizioni e le ingiustizie, parallelamente alle accuse e alle ottusità; che i sacerdoti siano liberi di celebrare con e per il popolo, attingendo senza riserve e senza ricatti a tutto il tesoro liturgico che la Chiesa nei millenni ci ha consegnato. Che si riaffermi così il primato e l’assolutezza della S. Messa oltre ogni barriera e muro cultuale, culturale e ideologico. Lo chiedo nel nome del Signore Gesù, che in ogni Santa Messa si immola alla presenza della SS. Trinità e della intera Corte Celeste.

Voi tutti comprendete bene cosa sia davvero in gioco dietro a questo appello: non la tutela di azioni e consuetudini umane, non la summa di normative e canoni, ma l’innalzamento del cuore ministeriale a un rinnovato livello di libertà e verità, lo sprofondarsi in uno spirito del sacerdozio più radicale e semplice, la rimozione dei limiti culturali nella forma tanto di rivendicazioni quanto di restrizioni.

Condivido volentieri con voi queste mie considerazioni, nonostante qualche rimprovero o pressione che potrei riceverne; d’altra parte reputo parte del mio ministero sacerdotale compromettermi a pro del bene comune spirituale e dei tesori sacramentali cui sono consacrato, quale altro senso potrebbe avere il mio sacerdozio?

La Vergine Santissima, che è madre di tutti noi, oltre ogni confine di lingua, di stirpe e certo di rito, parli al nostro cuore e ci aiuti a trattenere quanto di buono ho potuto additare in questo appello. Vi chiedo preghiere.

don Marco Begato SDB