Dagli amici di Romualdica.
Luigi
26-2-20
Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale, visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell’anno. E questo si realizza degnamente, astenendosi da ogni peccato e dedicandosi con impegno alla preghiera accompagnata da lacrime di pentimento, allo studio della parola di Dio, alla compunzione del cuore e al digiuno. Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per esempio, preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio “con la gioia dello Spirito Santo” qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica; si privi cioè di un po’ di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo, e così attenda la santa Pasqua nella gioia del più intenso desiderio spirituale. Ma anche ciò che ciascuno vuole offrire personalmente a Dio dev’essere prima sottoposto umilmente all’abate e poi compiuto con la sua benedizione e approvazione, perché tutto quello che si fa senza il permesso dell’abate sarà considerato come presunzione e vanità, anziché come merito. Perciò si deve far tutto con l’autorizzazione dell’abate.
San Benedetto ha trattato della Quaresima nel capitolo precedente. Si tratta però di un periodo di una tale importanza, che egli ritiene necessario tornarvi lungamente. Adesso conosciamo l’organizzazione materiale della Quaresima; qui si tratta della sua organizzazione spirituale.
“La vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale”, dice san Benedetto. Evidentemente, qui il Nostro Santo Padre non intende dire che le mortificazioni esteriori proprie della Quaresima dovranno esistere in ogni tempo; ancora meno egli intende invitare i monaci a dedicarvisi liberamente al di fuori del periodo prescritto. Il digiuno non costituisce l’elemento necessario della Quaresima, ma si tratta del rinnovamento interiore di cui parla san Paolo quando dice: “In novitate vitae ambulemus”, “camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Durante la Quaresima occorre praticare ciò che si dovrebbe fare sempre: “ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita”. Colui che “vigila” così la propria vita, è distaccato da tutto ciò che lo separa da Dio o lo svia da lui, ovvero dal mondo. Quando un pensiero di amor proprio, d’orgoglio, di sensualità, di rancore penetra nell’anima, essa diventa meno pura; è meno di Dio. Dio ci vuole tutti per lui, ed è questa totale appartenenza, senza tornare indietro, senza agitazione, che dovrebbe caratterizzare tutta la vita. Ma “paucorum est ista virtus”, “questa virtù è soltanto di pochi”; ve ne sono pochi che si mantengono in una tale purezza. I giorni “santi” della Quaresima hanno per fine di condurvici, “per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell’anno”.
Durante la Quaresima, dunque, si compirà un’opera negativa e un’opera positiva. La prima si realizza in linea generale “astenendosi da ogni peccato”; la seconda mantenendosi strettamente uniti a Dio.
San Benedetto non intende tuttavia rimanere su idee generali e vaghe. Egli precisa le opere principali della Quaresima. Anzitutto la preghiera, preghiera piena di fede, di fervore, di tenerezza, che giunge sino a fare sgorgare dal cuore la compunzione e le lacrime dagli occhi. Quindi più ardore per la preghiera comune, maggiore frequenza nelle “orazioni particolari”.
Le sante letture saranno più lunghe e maggiormente meditate. Il santo Patriarca ce ne ha già parlato precedentemente.
Infine, “l’astinenza” sarà più severa. Qui pare tuttavia che il Nostro Santo Padre non riduca l’accezione del termine astinenza alla sola privazione del cibo: “si privi cioè di un po’ di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo”. In tal modo, possiamo fare una distinzione. Ci sono mille piccole privazioni, mille piccole mortificazioni, che ci si possono presentare nel corso della giornata. È bene non lasciare passare il tocco leggero e discreto dello Spirito Santo, che sollecita a questa buona azione o a quella piccola mortificazione. Per questo non è necessario alcun permesso. Altra cosa si dica delle mortificazioni che escono dall’ordinario. Ci sono delle anime che, per questo genere di penitenza, hanno un “dono” di Dio, che vi sono chiamate, e che per quella via fanno opera d’amore e di apostolato. Eppure, come sono frequenti le illusioni su tale punto! La mortificazione esteriore non è sempre un indizio di santità. La si trova talora unita alla non mortificazione dello spirito o della volontà. Il suo carattere straordinario costituisce un pericolo d’orgoglio, tale per cui ci si crede più avanzati degli altri che non ne fanno così tanta – almeno su quel punto – e di conseguenza ci s’illude. Perciò il Nostro Santo Padre ha voluto assumere contro i pericoli di questo genere una sana precauzione. Ogni risoluzione su questo punto dev’essere sottomessa al padre spirituale. La mortificazione rientra così nell’obbedienza. E dove essa diventa veramente meritoria, è quando non avendo più l’attrazione di un fervore entusiasta che rende tutto facile, essa non presenta più che le asperità. Allora essa è una vera croce, che si porta per obbedire, e la realtà della sofferenza fa dimenticare le tentazioni dell’orgoglio.
Infine, c’è un sentimento che deve dominare tutta la Quaresima: la gioia dello Spirito Santo. L’anima che rinuncia, l’anima che si dona, lo deve fare gioiosamente. D’altro canto, a cosa rinuncia? Alla vanità e all’illusione. A chi si dona? A colui che è tutta Bellezza, tutta Bontà, tutta Pace, tutta Gioia. La gioia della Quaresima assume un colore speciale dal fatto che si va verso Pasqua. Occorre, dice san Benedetto, che “così attenda la santa Pasqua nella gioia del più intenso desiderio spirituale”. Pasqua, è il Signore risorto e vivo fra di noi! È il compimento di quel rinnovamento dell’anima che ha infine ritrovato pienamente il suo Salvatore; è la Luce, simboleggiata dal cero pasquale, che illumina gli spiriti e i cuori; è l’Alleluia, che risuona in tutta la Città delle anime. Per il cristiano, non vi è gioia più grande di quella della Pasqua, e il pensiero che si avanza verso questa gioia mette già come un raggio luminoso sulle penitenze e le mortificazioni della Quaresima.
[Canonico Georges-Abel Simon, La Règle de saint Benoît commentée pour les oblats et les amis des monastères, 5a ed., Éditions de Fontenelle & Éditions Sainte-Madeleine, Saint-Wandrille-Rançon & Le Barroux 2019, pp. 361-363, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]