Una bella analisi, tradotta dal Blog di Sabino Paciolla, del brutto film prodotto da Netflix su Benedetto XVI e Francesco.
Luigi
31 Dicembre, 2019
Una recensione del giornalista e scrittore irlandese John Waters del film I due Papi pubblicata su First Thing, nella traduzione di Riccardo Zenobi.
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Mi sono sentito stranamente preso da due pensieri appena ho visto The Two Popes, il nuovo film che si è detto vuole raccontare la relazione tra papa Francesco e il papa emerito Benedetto XVI.
Da una parte – e per la maggior parte della prima ora – non ho sentito se non inquietudine e rabbia per come veniva rappresentato Benedetto. Poi ho notato che, a poco a poco, ero stato attratto dal film: a dispetto di me stesso, mi sono sorpreso a preoccuparmi dello
scontro immaginato di questi due uomini. Il problema era: questi uomini non hanno alcuna somiglianza ai veri uomini che vorrebbero rappresentare. È per questo motivo che fondamentalmente The Two Popes (su Netflix dal 20 dicembre) è un film pericoloso e fuorviante.
scontro immaginato di questi due uomini. Il problema era: questi uomini non hanno alcuna somiglianza ai veri uomini che vorrebbero rappresentare. È per questo motivo che fondamentalmente The Two Popes (su Netflix dal 20 dicembre) è un film pericoloso e fuorviante.
A livello di storia, è la stessa vecchia narrazione di cui siamo stati nutriti dai media fin dal momento dell’elezione del cardinale Joseph Ratzinger come Papa nel 2005. È un “cupo tradizionalista”, “il rottweiler di Dio”, l’uomo che non poteva ridere o danzare. Nell’altro angolo c’è Francesco, il primo Papa non europeo in 1200 anni, allo stesso tempo buttafuori in un tango club, appassionato tifoso calcistico, l’”uomo con il tocco comune”, e durante il pontificato il “Papa simile a Cristo” – in contrasto con tutti i suoi predecessori. Questo film non risparmia nessun cliché mediatico: le consunte scarpe nere del cardinale Jorge Mario Bergoglio sullo scanner di sicurezza dell’aeroporto, Francesco che evita le scarpe rosse papali, Bergoglio che guarda il calcio in un bar e mangia pizza da asporto. Si parla dei mali dei muri e delle virtù dei ponti.
E c’è di peggio. Il film usa clip da vere riprese televisive. Una clip di vox pop mostra un uomo che reagisce all’elezione di Benedetto: “Conosco Ratzinger. Il nazista non doveva essere eletto”. È uno spaghetti western senza pistole o cavalli. Ratzinger/Benedetto è quasi dotato dei baffi cadenti: schietto e introverso, mangia da solo, preferisce il latino ad altre lingue, non ha mai sentito parlare di ABBA e non sa ballare il tango. Più dannatamente, resiste ai tentativi di Bergoglio di abbracciarlo. La sceneggiatura non lascia dubbio agli spettatori su quale Papa dovrebbero schierarsi.
Lo sceneggiatore Anthony McCarten ha affermato che il film è destinato a parlare in un dibattito più ampio. “In un mondo in cui i conservatori e i progressisti sono molto trincerati e si allontanano ulteriormente, e un sacco di vetriolo, rabbia scorre da entrambe le parti, volevamo fare un film sulla ricerca della via di mezzo”. Ma il film non fa nulla del genere. Ripete semplicemente i cliché generati per molti anni da giornalisti pigri e malvagi.
La sceneggiatura è la progenie della commedia di McCarten del 2017, The Pope, in cui ha immaginato conversazioni tra i due uomini. La rappresentazione di Anthony Hopkins di un ossessionato, di cattivo umore Benedetto è in contrasto con l’affabile, benevolo e placido Bergoglio di Jonathan Pryce. Se si conosce qualcosa della verità di questi due uomini, è quasi ridicolo. Bergoglio è interpretato da due attori: Pryce nella versione più anziana, che presto diventerà Papa Francesco; Juan Minujin nel ruolo del giovane, serio, idealista e un po’ bizzarro Bergoglio. Pryce interpreta un personaggio fin troppo amichevole che quelli che (come me) hanno incontrato papa Francesco potranno ben riconoscere
Le cose non sono aiutate del fatto che, in termini di fisico e movimenti, Hopkins è più che a disagio a recitare la parte di Benedetto. Raffigura un uomo con metodi da bullo e sgarbato, con la faccia gonfia, occhi come quelli di un tizio con una bruttasbornia. È tutto sbagliato; ogni qualità aggraziata di Joseph Ratzinger è assente: il portamento, la diffidenza, la passione per le idee. Non c’è né la timidezza né la quieta dignità.
Hopkins è insoddisfacente anche nel fatto che raffigura quest’uomo – uno dei più brillanti europei dello scorso mezzo secolo – come un tenace dottrinalista ossessionato dall’omosessualità e dal celibato clericale. Sembra che non abbia, nel preparare questa parte, preso nemmeno uno degli oltre sessanta libri di Ratzinger o dato un’occhiata ad una delle sue encicliche. Chiunque lo avesse fatto sarebbe stato incapace di aggirare il fatto che i grandi temi del papato di Benedetto XVI erano amore, carità, verità, speranza, fede, ragione, silenzio e bellezza. Hopkins è un attore di straordinaria genialità, che normalmente approccia le sue parti con la più profonda attenzione e cura. Qui, ha scelto di indossare una caricatura disegnata da altri per ragioni di miopia, malevolenza, o entrambe.
McCarten, nato e cresciuto cattolico, ha descritto il film come “un piccolo pezzo umanistico e imparziale. È pensato per essere onesto. Non ha lo scopo di imbiancare nessuno, ma è fatto in un modo sensibile”. Ha torto. Questo film potrebbe essere considerato “onesto” da qualcuno che conosce poco e si preoccupa ancor meno del significato degli eventi e delle personalità della Chiesa dell’ultimo mezzo secolo e della natura della lotta che li definisce.
Il film è stato preceduto da un libro, The Pope: Francis, Benedict, and the Decision That Shook the World, anch’esso scritto da McCarten. La sua descrizione di papa Francesco è un misto tra il cliché e lo strampalato: “Una ventata di aria fresca, con il carisma di una rock star, c’era un tocco di John Lennon in lui (entrambi gli uomini erano stati sulla copertina della rivista Rolling Stone) con una propensione a dichiarazioni strabilianti per far sussultare anche i suoi fan più ardenti”. Bergoglio è un “carismatico, divertente argentino, in superficie un uomo umile, un estroverso, che veste semplice (ha indossato lo stesso paio di scarpe nere per vent’anni). . . È un uomo con il tocco comune. Un uomo del popolo. Una volta aveva persino una ragazza”.
Veramente? Lo stesso paio di scarpe? Venti anni? Mi ricorda l’uomo che aveva avuto la stessa scopa per venticinque anni – che nel frattempo aveva dotato di diciassette nuove teste e quattordici nuovi manici. E la “fidanzata”? Sarebbe Amalia Damonte, alla quale Bergoglio inviò una “lettera d’amore” quando avevano entrambi dodici anni, dicendole che se non lo avesse sposato, sarebbe diventato un prete. I suoi genitori sono intervenuti per porre fine alla loro “relazione”.
Nei suoi scenari principali, il film è quasi interamente immaginario. Nel 2012 Bergoglio non volò in Italia per incontrare papa Benedetto a Castel Gandolfo per chiedere il permesso di ritirarsi. I due uomini non hanno trascorso giorni insieme a conoscersi. Papa Benedetto non ha dato al cardinale Bergoglio una conoscenza anticipata della sua intenzione di dimettersi. Non gli disse che si considerava non più adatto ad essere papa. Non rivelò di aver deciso che Bergoglio sarebbe stata la scelta perfetta per sostituirlo.
Accanto alle sue immaginazioni, il film fa riferimento a eventi reali al di fuori della loro sequenza cronologica: cosa avvenute dopo l’elezione di papa Francesco sono rappresentate come avvenute prima. La sceneggiatura cerca di diminuire papa Benedetto elevando il suo successore anche prima che gli succedette.
“Sei molto popolare”, dice Ratzinger, invidiandolo.
“Provo solo ad essere me stesso”, replica Bergoglio con modestia.
“Quando provo ad essere me stesso, non sembro piacere molto alla gente”, risponde il Papa.
Questo scambio di battute è reso insensato dai fatti. Il pubblico di Benedetto a Piazza San Pietro era molto più grande rispetto a quello di papa Francesco, i cui numeri diminuiscono tutto il tempo.
“Questa tua popolarità, c’è un trucco?”, chiede Benedetto, sembrando fissato sul voler essere Bergoglio. Il problema è che, prima che divenisse Papa, Bergoglio era appena conosciuto nel mondo, mai popolare. Non era amato unanimemente nemmeno in Argentina.
In un’altra scena, nel tardo pomeriggio, papa Benedetto siede al suo piano provando a pensare a qualcosa di appropriato da suonare per il suo ospite. Improvvisamente chiede: “Conosci i Beatles?” “Sì, so chi sono”, risponde Bergoglio. “Eleanor Rigby?” “Chi?” chiede papa Benedetto, “Non la conosco”.
Questo è innocuo a modo suo. Ma per quello che vale (non molto), non è vero che papa Benedetto ignori la musica pop, come sottolineato in diverse occasioni dalla sceneggiatura. In realtà, conosce molto della musica, forse ascoltandola per molti anni in tutti i bar di Roma. Semplicemente non gli piace. Lo preoccupava il fatto che, come ha affermato nel suo discorso al Congresso internazionale sulla musica della Chiesa a Roma nel novembre 1985, tale musica “abbassa le barriere dell’individualità e della personalità”, “abrogando i limiti del quotidiano”, creando l’illusione di “liberazione dall’ego”. Queste non sono le parole di un uomo che non ha mai sentito parlare di ABBA, che non“conosce” Eleanor Rigby.
Le premesse della Chiesa nel campo politico del film sono più che prevedibili: la Chiesa come rappresentata da Ratzinger/Benedettoè “fuori dal mondo moderno” e questa è una cosa negativa; il desiderio professato di Bergoglio di portare la Chiesa “nel 21°secolo” è evidentemente nobile e giusto.
Tutto su The Two Popes è progettato per promuovere un’agenda che non ha nulla a che fare con il cattolicesimo/cristianesimo, e che ha del tutto a che fare con la falsa nozione di libertà nel regno pubblico. La parola “riforme” è usata come se la sua virtù fosse evidente e inattaccabile. “La Chiesa vota per far sì che le riforme in ritardo rimangano in ritardo”, accusa Bergoglio. Il pubblico dovrebbe riconoscere questa proposta e annuire d’accordo. Ma non c’è nulla che possa guidare qualcuno verso una vera comprensione delle implicazioni.
Tutto è essenziale per il programma dell’agenda. Papa Benedetto accusa il suo visitatore argentino: “Hai detto che la Chiesa è narcisista”. Ma Francesco ha detto questo dopo essere diventato Papa, non prima. Può sembrare un problema minore, ma dimostra uno dei problemi di questo film: un’indifferenza ai fatti, non importa la verità, non importa la Verità.
Il film suggerisce che Bergoglio giunse a conoscere di essere un critico della leadership ecclesiastica mentre era arcivescovo di Buenos Aires. “Sei stato uno dei miei più duri critici”, lo rimprovera Benedetto. “Il tuo modo di vivere è una critica…anche le tue scarpe sono una critica” (ancora quelle scarpe). Ma la cosa più interessante sull’elezione di Bergoglio è che sale senza lasciare traccia. Virtualmente nessuno nel mondo aveva un indizio su chi fosse, e quelli che lo conoscevano lo ritenevano almeno “tradizionalista” quanto Ratzinger.
“Tu fai compromessi”, dice Benedetto, mettendolo in guardia su questo tema.
“No”, dice Bergoglio, “io cambio. È diverso”.
Benedetto risponde: “Il cambiamento è un compromesso”. Questo scambio di battute può suonare vero in un certo modo, ma non come è inteso qui, e non nel modo in cui appare. Se Papa Benedetto avesse pronunciato una tale frase, avrebbe voluto comunicare che la Chiesa, essendo l’eterna voce di Dio nel mondo, non ha la possibilità di scendere a compromessi con la moda. Qui, si legge come la tenace resistenza di un uomo che pensa all’ostinazione come una virtù, che è semplicemente bloccato nelle sue vie. “Dio non cambia”, aggiunge, ma invece di sottolineare il suo significato, l’implicazione è che si sta equiparando a Dio.
La sceneggiatura mette certe parole nella bocca di papa Benedetto – non solo parole per trasmettere convinzioni o carattere, ma parole che cercano di cambiare il significato della storia. Annuncia a Bergoglio il suo desiderio di confidare “qualcosa che ti chiedo di accogliere la tua anima e di non dire a nessuno”. Quindi rivela la sua intenzione di rassegnare le dimissioni nella speranza che Bergoglio gli succederà. “I papi non possono dimettersi”, afferma Bergoglio. “Cristo non è disceso dalla croce”, una frase dei diari di Dorothy Day, ripetuta da Giovanni Paolo II, quando gli è stato chiesto se avrebbe potuto prendere in considerazione le dimissioni a causa della sua salute sfavorevole.
“Danneggerai il papato per sempre”, afferma Bergoglio.
“E quale danno farò se rimango?” Queste non sono parole che Benedetto avrebbe mai pronunciato. Sono parole tendenziose sognate da una comprensione pregiudizievole di ciò che Benedetto è ed era, ciò che rappresenta e rappresentava.
“Faccio fatica a fare ciò che deve essere fatto, ma ho perso”, continua papa Benedetto. “Per qualche strana ragione ora posso vedere una ragione per Bergoglio. Sei la persona giusta. La Chiesa ha bisogno di cambiare e tu potresti essere quel cambiamento. . .
“Non posso più svolgere questo ruolo. C’è un detto: ‘Dio corregge sempre un Papa presentando al mondo un altro Papa’. Dovrei. . . Mi piacerebbe vedere la mia correzione”. La sceneggiatura ha quindi papa Benedetto che sembra confessare una perdita di fiducia: “Non riesco a sentire la presenza di Dio. Non riesco a sentire la sua voce”.
Il film passa poi all’ascolto delle confessioni reciproche. Bergoglio parla del suo fallimento di supportare gli altri sacerdoti durante la “sporca guerra” in Argentina, durante il “processo di riorganizzazione nazionale” che ha seguito l’ascesa al potere di una giunta militare negli anni ’70. Papa Benedetto cerca di rassicurarlo su ciò che fece all’epoca.
Bergoglio si autoflagella: “Mio caro amico, dov’ero – dov’era Cristo? – in tutto questo? Stava prendendo il tè nel palazzo presidenziale?” Più tardi ammette: “Sono una figura divisiva in Argentina” una delle poche frasi dalla bocca del personaggio Bergoglio che suona completamente vera.
L’implicazione della trama è che, sottolineando la colpa di Bergoglio per la sua incapacità di opporsi alla oppressiva dittatura argentina, il film offre una sorta di equilibrio: a entrambi i papi vengono mostrate tutte le carenze. Ma no: il resoconto delle azioni/inazione di Bergoglio durante la Guerra Sporca è preso dal registro ufficiale; la rappresentazione di Ratzinger/Benedetto è – in modo schiacciante – inventata.
Segue una sequenza che va oltre i crimini di falsificazione, inganno e frode. Nel corso della sua “confessione”, Benedetto si agita e inizia a mettere in relazione alcuni “peccati” finora non rivelati del suo passato. Mentre lo fa, la sua voce viene soffocata come da una sorta di interferenza. Vediamo muoversi le sue labbra; vediamo la faccia scioccata di Bergoglio. Quando il suono ritorna, sembra che Benedetto stia finendo di raccontare la sua negligenza mentre era Prefetto della Congregazione della Fede. È intimato che non abbia agito contro un prete messicano, il fondatore dei Legionari di Cristo: Marcial Maciel Degollado, un molestatore sessuale di ragazzi. Quando ha finito, Bergoglio fa qualcosa che un prete addestrato non farebbe mai: si alza e inizia a rimostrare con il penitente che si è appena aperto.
Nella misura in cui questa scena cerca di sostenere la calunnia che papa Benedetto ha in qualche modo collaborato alla copertura dell’abuso clericale di bambini, è falso e gravemente diffamatorio. Fu Ratzinger che, come prefetto della Congregazione della Fede, alterò le procedure canoniche per consentire di rimuovere coloro che usano il sacerdozio per depredare – per lo più – i ragazzi adolescenti. Come papa Benedetto, ha espulso dal sacerdozio centinaia di individui, incluso Maciel. In effetti, fu il cardinale Joseph Ratzinger che nel 2001 autorizzò un’indagine sulle accuse contro Maciel. Questa indagine continuò fino al 2006, quando Ratzinger divenne papa Benedetto XVI e il suo successore, il cardinale William Levada, decise – “tenendo conto sia dell’età avanzata di padre Maciel che della sua cattiva salute – di abbandonare il processo canonico e invitare lui a una vita riservata di preghiera e penitenza, rinunciando a tutto il ministero pubblico”. Papa Benedetto ha approvato queste decisioni. Macielè morto nel 2008, il sacerdote di più alto rango che mai sia statocondannato a causa delle accuse di abuso sessuale.
Non vi è alcuna menzione nel film di Julio Grassi, il prete che sta scontando una condanna di 15 anni per aver abusato sessualmente di minori nello scandalo clericale più famoso in Argentina. Il cardinale Jorge Bergoglio fece del suo meglio per proteggere Grassi dalla giustizia secolare, organizzando persino la conferenza episcopale argentina, che era sotto la sua presidenza, per incaricare un importante avvocato di difesa penale argentina di compilare uno “studio forense” che affermava che Grassi era innocente e cercava di screditare le sue vittime. Durante il suo processo, Grassi ha elogiato il cardinale Bergoglio e lo ha ringraziato per il suo sostegno, dicendo che “Bergoglio non mi ha mai lasciato la mano”. Papa Francesco ha costantemente rifiutato di incontrare le vittime argentine di abusi sessuali clericali.
Dopo averlo provato un paio di volte, capisco le difficoltà di convertire una storia della vita reale in una forma di fiction, sia per il palcoscenico che per lo schermo. La vita è troppo dettagliata e complessa per tradurla senza alterazioni in un dramma. Per mettere in moto le energie di una storia di vita reale, è sempre necessario stroncare e infilare, sfuggire, comprimere, trasporre, abbreviare, confondere. Ma nel fare questo, è tanto più vitale che l’essenza di una storia sia protetta e rispettata.
McCarten, parlando del modo di scrivere versioni di personaggi della vita reale, ha detto: “Che siano vivi o morti, devi comunque rendergli giustizia. Non puoi ferire il loro personaggio. Non puoi far loro fare cose terribili quando non hanno fatto cose terribili”. Come può quindi giustificare The Two Popes? Tratta Benedetto XVI come se non fosse umano, come se non fosse vivo, come se non fosse amato, come se non fosse mai esistito. Questo è scandaloso, sì, ma non è anche una buona forma d’arte. La propulsione della storia è una giustificazione insufficiente per i livelli di invenzione, pregiudizio e partigianeria in mostra qui. Il titolo del film è elaborato dalle parole ambigue, “Ispirato da eventi veri”. Sì, ma questa ispirazione ha portato a un gran numero di falsità. McCarten deve delle scuse a Benedetto.
È stato osservato che The Two Popes è in definitiva frivolo: un “film amicone”, una sorta di remake di “La strana coppia”. Quindi, sai, illumina! E questo è il livello su cui ha più successo. Eppure questo è anche l’aspetto più insidioso del film: ti attira in sé stesso. Nel profondo della sua mendacia e superficialità morale, viene raccontata una storia avvincente e commovente di un incontro personale. Ciò significa che, come propaganda, questo film è estremamente efficace ed estremamente pericoloso.
Questo avrebbe potuto essere un film migliore. Anche più divertente. Potrebbe essere iniziato con una scena come questa, basata su una storia – forse apocrifa, forse no, ma nel peggiore dei casi non più fantasiosa del novanta percento di questo film – che circolava nell’interregno tra l’annuncio del pensionamento di papa Benedetto XVI e l’elezione del suo successore (inoltre, se fosse vero, si paga l’idea che papa Benedetto non abbia un senso dell’umorismo).
Mentre la storia veniva raccontata, il Papa veniva intervistato da un giornalista e stava discutendo il processo attraverso il quale sarebbe stato eletto il nuovo Papa. Il giornalista era fissato sul prossimo conclave e sulla politica interna che lo riguardava. Il Papa, impaziente con questa serie di domande, è intervenuto per reindirizzare la conversazione.
“Certo”, ha detto, “è lo Spirito Santo che elegge il Papa”. Qui si dice che abbia fatto una pausa prima di continuare.
“E lo Spirito Santo commette solo occasionalmente un errore”.
Il film è una grossolana satira di un cinematografaro in cerca di espedienti per campare su commissione, magari ben pagato da coloro che vogliono ridicolizzare il successore di Pietro e la Chiesa cattolica per la sua difesa della morale tradizionale. Mi chiedo se sia giusto perder tempo ad analizzare e confutare con documentazione autentica simili volgarità, rischiando di rispettarle, o condannarle solo come diffamatorie. Una cosa è certa : queste oscenità trovano facile motivazione dall'atteggiamento di Bergoglio il quale per primo ha meesso in ridicolo e disprezzando, con affermazioni deliranti a ritmo giornaliero, tutto quello che la Chiesa ha operato nei secoli e le ha fatto perdere credibilità ed immaggine sacrale, riducendo il Vaticano a covo di beche di partito, cacciando via proditoriamente, da dittaorello sudamericano, autorità riconosciuti insigni per cultura e fede, e smantellando istituzioni ecclesiali che insegnavano l'autentica dottrina cattolica. E chi ne ha più ne metta !
RispondiEliminaPensierino della sera : “Somewhere, over the rainbow…”, cantava ieri sera Judy Garland, alias Dorothy dalle scarpette rosse, nel’ennesima, gradevolissima riproposizione natalizia de “Il Mago di Oz”; così ho pensato, bene, anche se quaggiù tutti mi odiassero, papi, cardinali, vescovi, preti bergogliani, saccentoni della sinistra, intellettuali progressisti, politicanti giallorossi e nerazzurri (cioè interisti a targa PD-M5S), oligarchi mondialisti e globalisti, ebbene, a me “nun me po’ fregar de meno”, come dicono a Roma, perché “Lassù Qualcuno mi ama”, tanto per rimanere in tema cinematografico d’essai ("Lassu' qualcuno mi ama" - 1956, con Everett Sloane, Paul Newman, Steve McQueen, Anna Maria Pierangeli), Lassù… over the rainbow
RispondiEliminahttps://www.marcotosatti.com/2020/01/02/scomunicati-tre-eremiti-scozzesi-criticavano-il-papa/
RispondiEliminaUna recensione così lunga ed elaborata per un filmaccio falso e volgare? Non ne valeva la pena .
RispondiEliminaLa solita stucchevole propaganda che ritroviamo in questi giorni sui grandi mezzi di informazione per giustificare lo "schiaffetto" del papa alla fedele orientale in Piazza S. Pietro....
RispondiEliminaI soliti coniglietti di sinistra: chissà perché non gettano fango sugli islamici... paura, eh?
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