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sabato 6 luglio 2019

Eutanasia, il tempo stringe su Vincent Lambert: intervista al cardinal Burke e un appello al S. Padre


Intervista a Burke e un appello al S. Padre su Vincent Lambert.
Luigi

5 LUGLIO 2019


Cardinale Raymond Leo Burke, in Francia è di stretta attualità il caso Lambert, disabile condannato a morte per disidratazione e denutrizione. Poche settimane fa in Olanda la giovanissima Noa, affetta da depressione per le conseguenze di una violenza subita, si è lasciata morire di fame e sete con l’assistenza di una equipe medica che l’ha accompagnata alla fine. E’ il naturale approdo della modernità oppure l’Occidente si sta assuefacendo a una cultura della morte che conduce alla soppressione di ogni fragilità?

Ciò a cui si sta assistendo è un attacco al diritto fondamentale alla vita di chiunque si trovi in una situazione di profonda sofferenza o disagio fisico. Costituisce una gravissima violazione del rispetto incondizionato dovuto ad ogni fratello e sorella, e specialmente a quelli che sono deboli per ragione o di età avanzata o di grave malattia o di qualche disabilità. Tutto questo ingenera in me un profondissimo turbamento, sia a livello personale, sia nell’esercizio del mio servizio di pastore in conformità con il diritto naturale e il magistero della Chiesa, ambedue essenziali punti di riferimento nel ministero dei vescovi. Come infatti Papa San Giovanni Paolo II ha enunciato nella sua Lettera enciclica Evangelium vitae, l’insegnamento sulla vita e sull’eutanasia è fondato “sulla legge naturale e sulla Parola di Dio”. Per rispondere alla domanda, non ritengo categoricamente che siamo di fronte al naturale approdo della modernità. Al contrario, si tratta del frutto di una distorsione e di un profondo disordine in cui la nostra società versa. Tuttavia, noi cattolici e ogni persona di buona volontà abbiamo il preciso obbligo di difendere la massima dignità della vita umana, in ogni suo stadio. In questo momento di grandissima confusione è necessario, inoltre, che la Chiesa faccia fronte unito per lanciare il chiaro messaggio del suo insegnamento. La Chiesa, nella sua saggezza millenaria, non ha mai banalizzato o sminuito la condizione di profondo abbandono e sofferenza in cui versano tali persone, ma, al contrario, ha cercato sempre di evitare che esse si sentano un peso per la società o, peggio, degli scarti ridotti all’inutilità in una società sempre più spinta da, come richiamato dalla Evangelium Vitae, “odierne tendenze di deresponsabilizzazione dell’uomo verso il suo simile, di cui sono sintomi, tra l’altro, il venir meno della solidarietà verso i membri più deboli della società — quali gli anziani, gli ammalati, gli immigrati, i bambini — e l’indifferenza che spesso si registra nei rapporti tra i popoli anche quando sono in gioco beni fondamentali come la sussistenza, la libertà e la pace”. Il compito di ciascuno di noi, in questo momento di vera e propria battaglia in difesa della vita, è quello di promuovere sempre più una quanto mai completa “cultura della vita”.


Quando si parla di eutanasia, solitamente vengono evocate l’autodeterminazione dell’individuo e una concezione della libertà intesa come diritto esigibile a morire, di cui lo Stato deve garantire l’esercizio. E’ ammissibile uno Stato che si faccia dispensatore di morte? Il cristianesimo postula la libertà dell’uomo, ma come conciliare questo principio con l’idea che la libertà individuale possa incontrare un limite?


L’argomento della libertà quale giustificazione per un’autodeterminazione senza alcun limite, specialmente per un cristiano il cui dono massimo proprio in quanto figlio di Dio risiede nella libertà, è senza dubbio suggestivo ma, se non contestualizzato, rischia di svuotarsi completamente di significato, perdendo così ogni valore. La vera libertà non può mai essere scissa dalla realtà umana nella sua dimensione più vera e profonda, la quale si caratterizza in modo particolare dal dono di sé, in un’ottica relazionale. La libertà è sempre in rapporto con la verità. Il Signore ci ha detto: La verità vi farà liberi (Gv 8, 32). L’Evangelium vitae a tal proposito afferma che: “Dio affida l’uomo all’uomo. Ed è anche in vista di tale affidamento che Dio dona a ogni uomo la libertà, che possiede un’essenziale dimensione relazionale. Essa è grande dono del Creatore, posta com’è al servizio della persona e della sua realizzazione mediante il dono di sé e l’accoglienza dell’altro; quando invece viene assolutizzata in chiave individualistica, la libertà è svuotata del suo contenuto originario ed è contraddetta nella sua stessa vocazione e dignità. C’è un aspetto ancora più profondo da sottolineare: la libertà rinnega sé stessa, si autodistrugge e si dispone all’eliminazione dell’altro quando non riconosce e non rispetta più il suo costitutivo legame con la verità”. È in quest’ottica che deve svolgersi un qualunque approfondimento sul ruolo dello Stato verso questi temi. Uno Stato che rinneghi il suo ruolo primario di difensore e promotore della vita, è uno Stato sconfitto in sé stesso. Mettere in discussione il primato della dignità della vita umana porta a non ancorare più il diritto e l’autorità dello Stato all’uomo e alla sua tutela integrale. Si giunge così al nefasto esito di una dittatura del relativismo in cui non vi è più posto per il più debole, il quale, nel migliore dei casi, prima che siano altri a farlo per lui, si rende conto di essere “di troppo” e decide di abbandonarsi all’abbraccio mortifero dello Stato. Uno Stato che, infatti, crei anche solo a livello possibilistico il farsi portatore di morte, camuffandolo da riconoscimento di un diritto a una “morte dignitosa e poco sofferta”, instilla in persone già versanti in una situazione di disagio esistenziale il dubbio di rientrare in una di quelle ipotesi in cui sia meglio per sé stessi e per i propri cari il ricorrere all’omicidio di Stato. Ecco il fallimento della relazione umana e del farsi custodi degli altri come massimo strumento di esercizio della libertà. Quale vescovo e responsabile della cura e della custodia di tutte le anime e specialmente di quelle più sofferenti, esorto coloro che sono preposti a decidere e legiferare su questi temi, a non lasciar prevalere nessun interesse politico a discapito della tutela della vita innocente e di essere concretamente e chiaramente schierati a difesa di essa.


In un suo bel libro, “Un cardinale nel cuore della Chiesa”, Lei ha denunciato un rischio: l’idea che possano essere considerati realmente liberi soltanto coloro che sono forti, facendo coincidere l’idea di libertà con la piena efficienza fisica e mentale, con standard qualitativi al di sotto dei quali una vita non sarebbe più degna di essere vissuta. Difatti, sempre più spesso si verificano casi di eutanasia che prescindono dalla stessa volontà del singolo: persone non capaci di intendere e di volere soppresse in nome di un loro stesso presunto interesse. Si tratta di una forma di progresso che tende a far sparire da questo mondo l’imperfezione e la sofferenza, o siamo di fronte alla Rupe Tarpea del terzo millennio?


Purtroppo, il criterio del “best interest” e del voler commisurare il valore della vita e dunque il senso del continuare a vivere a fattori quali la produttività, l’efficienza, la piena autonomia ed energia, sta disumanizzando la società occidentale. Non sono in gioco né l’autodeterminazione (penso per esempio ai piccoli Charlie Gard o Alphie Evans, o al disabile Vincent Lambert, persone impossibilitate a esprimersi a parole) né, in realtà, il miglior interesse, piuttosto un’ideologia e un’antropologia. Vorrei dunque ribadire, con fermezza, rivolgendomi in modo particolare a coloro che versano in queste condizioni e ai loro familiari, che la vita umana e la sua dignità non varia in base a circostanze fisiche o mentali: l’uomo non cessa di essere tale e dunque meritevole del pieno rispetto in nessuno di questi casi. Spesso si afferma che sia umiliante, per coloro che si trovano in queste gravi condizioni, il continuare a protrarre tali sofferenze e una vita “non degna di essere chiamata tale”. Al contrario, ritengo unicamente e intrinsecamente umiliante arrivare a paragonare la vita umana a quella di un vegetale, arrivare a far percepire a queste persone, già molto provate dalla loro condizione, che l’opinione pubblica maggioritaria, o ancor peggio lo Stato, ritengano che la loro vita non sia più degna di essere vissuta. Ancora una volta, da pastore, vorrei far giungere loro la voce di Cristo e della sua Chiesa, che da sempre annuncia che in qualunque stadio e condizioni si trovi, la vita dell’uomo è sempre preziosa ai Suoi occhi.


In Italia nella scorsa legislatura è stata approvata una legge sul cosiddetto “testamento biologico” che, a detta dei critici, apre all’eutanasia passiva perché, ad esempio, consente la sospensione di idratazione e alimentazione, anche in caso di incapacità di intendere e di volere. Su questa base si è innestato l’intervento Corte Costituzionale che chiede di allargare le maglie fino all’eutanasia attiva e con ogni probabilità, in caso di inerzia del Parlamento, nell’udienza del 24 settembre provvederà d’imperio agendo sulle norme che oggi puniscono l’aiuto al suicidio. E’ opportuno tentare di intervenire per via legislativa per impedire esiti di questo tipo, o è giusto lasciare che gli eventi facciano il loro corso?


E’ la stessa Corte, consapevole della estrema delicatezza del tema, che chiede al Parlamento di intervenire. D’altra parte un’assemblea di eletti, che ha il compito di rappresentare la volontà popolare e di servire e promuovere il bene comune, non può sottrarsi al proprio compito su situazioni che riguardano la vita e la morte, che costituiscono le basi della comunità umana. La politica, in modo consapevole o no, si fonda sempre su principi etici e su un’antropologia. Benedetto XVI, nella Caritas in Veritate, conclude con un’affermazione di fondamentale importanza: “la questione sociale è diventata radicalmente antropologica”, sottolineando il legame che unisce l’etica sociale a quella della vita, e sviluppando, nel nuovo contesto prodotto dalla globalizzazione e dalla postmodernità, concetti già contenuti nell’Evangelium vitae. Credo che oggi, di fronte agli enormi cambiamenti introdotti dalle biotecnologie e accompagnati da mutamenti culturali altrettanto grandi, i politici e i governanti debbano chiarire, davanti ai cittadini, quale sia l’antropologia che li orienta, quali i principi etici irrinunciabili; per fare un esempio concreto e urgente, sarebbe di essenziale importanza sapere quale sia la posizione di ciascun partito di fronte all’idea che la morte possa essere un diritto esigibile, offerto dal sistema sanitario statale.


Siamo di fronte a un tema che investe allo stesso tempo la legislazione civile di uno Stato e princìpi che la tradizione cristiana dovrebbe ritenere primari e non negoziabili. Dato a Cesare quel che è di Cesare, la Chiesa può permettersi di disinteressarsene in nome della laicità dello Stato o è giusto che faccia sentire la propria voce? E i politici che si professano cattolici, possono permettersi di far finta di niente?


Nessuno, credente o no, può accantonare il giudizio etico su temi che interpellano così profondamente le coscienze. Il caso Lambert, in Francia, pone un interrogativo a cui ogni essere umano è chiamato a dare risposta: si può interrompere la vita di una persona perché è disabile, perché è affidata agli altri? Può lo Stato dare la morte agli innocenti e indifesi? Ricordo che qualche anno fa, in Italia, ci fu un caso simile, quello di Eluana Englaro, che giustamente coinvolse l’intero paese, comprese le massime autorità dello Stato e il Parlamento. Una reazione simile ci fu anche in America per il caso di Terri Schiavo. Il Magistero della Chiesa è da sempre netto sulla difesa della vita, in particolare di quella più fragile, più esposta. Un politico cattolico non deve, e non può, fare altro che rifarsi al diritto naturale, come è espresso nell’insegnamento della Chiesa, e agire con energia e coerenza. La Chiesa non ha la necessità di elaborare nuove risposte, ma non può tacere di fronte alla violenza su chi non può difendersi, su chi è fragile e inerme; penso che debba prestare la propria voce a chi non ha voce.

Vincent, appello al Papa: «Non permetta che faccia la fine di mia madre»
La Nuova Bussola 06-07-2019

«Penso che la madre di Vincent vorrebbe che Papa Francesco desse un nuovo messaggio per suo figlio. Una volta l’ha già fatto ma adesso il tempo stringe», dice alla Nuova BQ Marie-Christine Jeannenot, missionaria francese e amica di Viviane Lambert. «Una voce autorevole come quella del Santo Padre aiuterebbe a fare luce su una norma secondo cui idratazione e nutrizione sono trattamenti che al paziente possono essere tolti. E che invece sono un diritto di base per ognuno di noi!», spiega la religiosa, che racconta la grande fede di Viviane. E confida che con la legge Claeys-Leonetti «hanno tolto la vita anche a mia madre», senza che lei potesse fare nulla per impedirlo.

«Viviane mi ha detto che Vincent ha appena ricevuto, da Vannes, le reliquie di un potentissimo taumaturgo, San Vincenzo Ferreri, un domenicano nato in Spagna a metà del XIV secolo. È successo tutto con l’autorizzazione piena e convinta del vescovo!». Così Marie-Christine Jeannenot, francese residente a Roma, Missionaria della Madonna di Schoenstatt. Amica di Viviane Lambert, madre di Vincent, Marie-Christine è da tempo in comunione d’animo e in costante contatto telefonico con lei. «Combattevo per Charlie Gard e Alfie Evans, poi hanno tolto la vita anche a mia madre. Lotterò sempre e testimonierò per la vita». La Nuova Bussola l’ha incontrata.

Com'è nata la sua amicizia con Viviane Lambert?
L’ho conosciuta il 19 maggio 2018 durante la giornata della Marcia per la Vita, a Roma, e da allora siamo rimaste in stretto contatto. Dal palco Viviane parlò della situazione di suo figlio Vincent, sequestrato nella sua stanza. Disse che non era affatto in uno stato vegetativo, che questa dizione era usata soltanto per screditare la famiglia. Raccontò che suo figlio interagiva - e lo fa ancora oggi! – con lei, con suo marito, con suo fratello David e sua sorella Anna. Viviane mi colpì molto quando gridò che suo figlio Vincent non sarebbe diventato la bandiera dell’eutanasia, bensì la bandiera della vita.

Quali sono le ultime confidenze della madre di Vincent?
L’ho sentita ieri e mi ha detto che il dottor Sanchez, il medico che ha in cura  Vincent, non vuole ascoltare nessuno e che continua imperterrito con il protocollo di fine vita. Viviane mi ha anche detto che porteranno questa vicenda dolorosissima in tribunale.

Di suo figlio cosa dice?
Mi dice che Vincent non è certo in fin di vita, anzi. Muove la testa e gli occhi se si glielo si chiede, deglutisce da solo e soprattutto è assolutamente cosciente. Vincent è chiuso a chiave nella sua stanza, non è stato mai curato con la fisioterapia, non ha mai avuto una sedia adatta alla sua condizione di disabile, non è stato mai portato fuori per una passeggiata e che in Francia ci sono altre strutture pronte ad accoglierlo. Questo è ciò che mi  racconta.

Viviane Lambert ha 74 anni e da dieci - dal giorno dell’incidente stradale del figlio - convive con una situazione assolutamente angosciante. Come fa a reggere e contemporaneamente ad essere così lucida? Pensiamo ai suoi discorsi pubblici, alle sue lettere a Macron… 
Oltre ai suoi avvocati, che hanno lavorato giorno e notte combattendo come leoni, Viviane si è sempre affidata alla sua grande e viva fede. Lei ha un grande cuore di madre: si preoccupa per il suo figlio Vincent, certo, ma la sua battaglia è anche per i 1.700 disabili francesi che sono nelle stesse condizioni del figlio. Lotta per tutti loro ed è da loro che attinge la forza.

Da missionaria porti spesso la Madonna pellegrina tra i letti d’ospedale affinché famiglie e malati trovino conforto. Viviane ti chiede preghiere? 
Certo, lei mi ha sempre chiesto di pregare e di far pregare. È un anno che faccio da tramite con i vari gruppi di preghiera e pro-life; per Viviane sapere che non è sola, che intorno a lei c’è una rete spirituale è un grande sollievo. Continua a chiedere preghiere dall’Italia e ringrazia di cuore il nostro paese.

La madre di Vincent si aspetta che Papa Francesco si pronunci ancora per scongiurare la sua morte?
Certamente! Penso che lei vorrebbe che Papa Francesco desse un nuovo messaggio per suo figlio. Una volta l’ha già fatto ma adesso il tempo stringe. Era il 15 aprile 2018 e il Santo Padre chiese preghiere per quelle «persone, come Vincent Lambert, in Francia, il piccolo Alfie Evans, in Inghilterra, e altre in diversi paesi che vivono in stato di grave infermità». Ricordo benissimo che al termine del Regina Coeli il Papa pregò «perché ogni malato sia sempre rispettato nella sua dignità e curato in modo adatto alla sua condizione. Con grande rispetto della vita».

A suo parere, è in atto un’adeguata mobilitazione per Vincent Lambert? 
So che i centralini di Santa Marta sono intasati da tutti coloro che stanno telefonando o scrivendo perché il Santo Padre dica una parola forte affinché per Vincent si fermi l’esecuzione. È una mobilitazione che nasce dal basso, dal semplice passa parola delle persone. Sicuramente Papa Francesco sta già pregando per lui, ma se vorrà tornare a dire qualcosa in difesa di Vincent, spero che lo faccia presto. Molte persone di buona volontà, cattolici, gruppi pro-life si aspettano parole forti dal nostro Santo Padre, sia per Vincent che contro le leggi mortifere delle nostre “democrazie”.

Crede che potrebbero servire ancora le parole del Papa? 
Certo! La “legge Claeys-Leonetti” permette la sedazione profonda del paziente fino a procurargli la morte. Una voce autorevole aiuterebbe comunque a fare luce su una norma secondo cui idratazione e nutrizione sono trattamenti che al paziente possono essere tolti. Ma quelle non sono medicine! È un diritto base per ognuno di noi! Vede, la morte è il passaggio più delicato nel tragitto dell’uomo su questa terra, le persone vanno accompagnate con rispetto e amore. Questi protocolli che tolgono la vita prima - e a volte molto, molto tempo prima - sono una barbarie. Viviane mi parla sempre di un «sistema mostruoso».

Molti cattolici però sembrano tiepidi, disinteressati.
Vorrei anche dire ai cattolici e alle persone di buona volontà che anche noi siamo responsabili e che non possiamo esimerci dall’informare le persone su queste derive. Anche in Italia bisognerebbe dire chiaramente, almeno ai cattolici, che le DAT (Disposizione Anticipate di Trattamento) non vanno assolutamente accettate. Dobbiamo anche lottare contro la proposta sull’eutanasia già in Parlamento. Insomma, Viviane e suo figlio Vincent ci insegnano che non è questo il tempo della tiepidezza.

Anche tu hai dovuto confrontarti con la triste realtà della legge “Claeys-Leonetti” per via della malattia di tua madre.
Purtroppo sì. L’anno scorso, poco tempo dopo aver conosciuto la signora Viviane, sono dovuta tornare in Francia perché mia madre si è ammalata di tumore. Non mi hanno mai fatto incontrare l’oncologo. Malgrado cercassi in ogni modo un contatto con lui, era un continuo sviare. Continuavano a ripetere se fossi io «la persona fiduciaria». Avevo seguito la vicenda di Charlie Gard e di Alfie Evans ma malgrado ciò sono stata ingenua e purtroppo non ho agito in tempo contro il terribile disegno...

Quale?
Mia madre era perfettamente lucida ma loro mi dicevano che era «confusa». Poi ho capito: se una persona non è capace di intendere e di volere, con la legge “Claeys-Leonetti” sono autorizzati a farla fuori. Hanno aspettato che partissi qualche giorno per l’Italia e me l’hanno portata via. Avevo capito le loro intenzioni e stavo cercando un nuovo ospedale per scappare da lì. Purtroppo sono stati velocissimi...

Cosa si può ancora fare per Vincent Lambert?
A questo punto è indispensabile che la gente comprenda l’orrore. Innanzitutto ascoltando i non pochi medici francesi sconvolti dalla scelta di uccidere l’ex infermiere francese. Intervistato dai media francesi, il professor Xavier Ducrocq, capo del Dipartimento di Neurologia del CHR a Metz-Thionville, continua a dire che Vincent «non è assolutamente in una situazione di fine vita». Aggiungendo che uccidere Vincent Lambert significa, ad un tempo «affidare alle cure palliative una missione diametralmente contraria ai suoi principi fondanti; disonorare una medicina che non supporta i suoi fallimenti; e seppellire definitivamente Ippocrate».

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