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lunedì 11 marzo 2019

Perdono senza ritrattazione? Il caso di padre Cardenal

Un'altra dolore che ci procura la new wave ecclesiale. 
Giovanni Paolo II sembra quasi abbia regnato invano.
Oltre che ministro del governo comunista del Nicaragua, la sua nota di merito fu l'onorificenza che gli diede il governo marxista cubano (QUI).
QUI un'analisi di Cascioli sul tema del rapporto tra questo papato e la Teologia della Liberazione.
L

di Julio Loredo

“Piega la tua testa, o fiero Sicambro, brucia ciò che hai adorato e adora ciò che hai bruciato”.

Questa frase, pronunciata la sera del 24 dicembre 496 dal vescovo S. Remigio nell’atto di battezzare Clodoveo, Re dei Franchi, riassume il concetto di conversione: si brucia ciò che si era adorato e si adora ciò che si aveva bruciato.

Non sembra essere questo il caso di Padre Ernesto Cardenal, il sacerdote nicaraguense sospeso a divinis da Papa Giovanni Paolo II nel 1985, e adesso graziato da Papa Francesco, che gli ha pure inviato una benedizione. Nessuna ritrattazione delle idee rivoluzionarie che avevano determinato le sanzioni disciplinare nei suoi confronti, appena una richiesta inviata al Vaticano attraverso il Nunzio apostolico e subito accolta da Papa Francesco.

Il caso, forse poco commentato in Europa, ha invece provocato una tempesta in America
Latina. Il gesto si inserisce infatti nella lunga serie di interventi di Papa Francesco in favore della cosiddetta Teologia della liberazione di stampo marxista, solennemente condannata da Giovanni Paolo II, e adesso invece riabilitata e rimessa in carreggiata. 

L’ultimo atto della serie era stata la nomina di Padre Carlos Castillo a nuovo arcivescovo di Lima, Perù. Seguace della Teologia della liberazione, Padre Castillo è un simpatizzante dell’estrema sinistra, ed è anche tollerante nei confronti dell’aborto e del gender.

Torniamo, però, a Padre Ernesto Cardenal.

Militante comunista sin dalla gioventù, nel 1954 partecipò alla fallita Revolución de abril, un colpo di stato armato contro il presidente Anastasio Somoza García. Senza modificare le sue idee politiche, nel 1956 ebbe una conversione religiosa entrando nel monastero trappista di Kentucky, sotto l’egida del monaco ultra-progressista Thomas Merton, che predicava l’unione fra cattolicesimo e buddismo.

Cardenal completò i suoi studi teologici a Cuernavaca, Messico, sotto l’egida del vescovo mons. Sergio Méndez Arceo, mentore dei Cristianos por el Socialismo, e sostenitore delle varie guerriglie comuniste che, spinte da Cuba, infestavano allora il continente latinoamericano.

Tornato in Nicaragua, egli fondò la comunità catto-comunista di Solentiname, affiliandosi anche al Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN), la guerriglia marxista che lottava militarmente contro il Governo di Somoza Debayle. Scoperta la sua appartenenza al FSLN, egli dovette fuggire, rifugiandosi all’Avana, dove funse da ambasciatore del FSLN.

Dopo la vittoria della rivoluzione, entrò nella capitale Managua insieme alle truppe sandiniste, divenendo quindi Ministro della Cultura del governo marxista.

Ernesto Cardenal è un seguace della versione più estrema della Teologia della liberazione. “La missione della Chiesa è predicare il comunismo. (…) Il comunismo e il Regno di Dio sulla terra sono la stessa cosa”, affermava in un’intervista del 1979.

Tale militanza comunista non passò inosservata in Vaticano. Tutti ricordiamo la tirata di orecchie che gli diede Giovanni Paolo II al suo arrivo a Managua, nel 1983. Il Pontefice invitò pubblicamente padre Cardenal a dimettersi e a conformarsi alle prescrizioni canoniche, promulgate qualche mese dopo con l’Istruzione Pastorale Libertatis Nuntius, nella quale condannava la Teologia della liberazione. Il rifiuto di conformarsi a questa linea provocò la sua sospensione a divinis nel 1985.

Fino a data recentissima, Padre Cardenal si era ostinatamente rifiutato di chiedere perdono. “Non mi interessa che mi levino le sanzioni canoniche”, aveva dichiarato al giornalista argentino Enrique Vázquez nel 2017. Un paio di settimane fa, malato e sofferente, egli invece ha chiesto attraverso il Nunzio apostolico la sospensione della pena, che gli è stata subito accordata.

La condizione di malato forse terminale, cioè in procinto di dover affrontare il giudizio di Dio, impone sempre rispetto e compassione. A prescindere dalla persona. Niente sarebbe più bello della conversione, in estremis, di uno che ha dedicato la vita a promuovere la rivoluzione comunista. Pregare per lui è un dovere di coscienza, sperando che Dio gli conceda la grazia della beatitudine finale.

Desta, invece, preoccupazione che la sospensione delle pene canoniche non sia stata subordinata a una formale ritrattazione dalle dottrine eterodosse e dalle pratiche sbagliate assunte in vita. Chi si è convertito, Padre Cardenal o il Vaticano?

La domanda non è mia. L’ha sollevata El País di Madrid: “Non c’è stata una sua conversione [di Padre Cardenal, ndr]. È stato papa Francesco e la sua Chiesa degli Esclusi che si sono convertiti”.

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