Non è stata la prima e forse non sarà l'ultima volta che il Santo Padre omette di benedire i fedeli "in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti".
AC
AC
Francesco e quella singolare “benedizione senza benedizione”
Alcuni lettori mi hanno chiesto un parere circa la singolare “benedizione senza benedizione” di Francesco dopo la preghiera dell’Angelus dalla finestra del palazzo apostolico, nel primo giorno del nuovo anno. Ricordo che, a conclusione della preghiera, il papa ha alzato le mani e ha detto: “Vi benedica il Signore e vi custodisca. Il Signore faccia risplendere per voi il suo volto e vi faccia grazia. Il Signore rivolga a voi il suo volto e vi conceda la pace. Amen”. A quel punto, tutti si aspettavano che aggiungesse: “Et benedictio Dei omnipotentis, Patris et
Filii et Spiritus Sancti descéndat super vos et máneat semper. Amen”. Invece niente.
Di qui la domanda: perché questa scelta del papa?
Ho chiesto ad alcuni esperti e mi hanno spiegato che il papa ha usato una formula di benedizione che riprende quasi alla lettera Num 6,24-28, che nella Liturgia della Parola della solennità del primo gennaio è riportata come prima lettura.
Tale formula era molto amata da San Francesco che l’ha lasciata nella sua chartula come benedizione a frate Leone con una grossa Tau segnata.
Il Messale Romano, almeno nella editio typica III, quella che da più di quindici anni ancora attende un’edizione italiana, riporta appunto questa formula come benedizione finale solenne tra quelle a scelta per certe ricorrenze particolari.
Dunque, la benedizione è di origine biblica ed è contemplata dal Messale. Il fatto che il papa l’abbia recitata a braccia aperte potrebbe essere un modo per sottolineare il suo carattere ebraico: il modo di benedire dei sacerdoti veterotestamentari era, a quanto si sa, quello di levare le mani in alto, come fa Gesù alla fine del Vangelo di Luca: “Et elevatis manibus benedixit eis“.
Fin qui, dunque, niente di strano. Ciò che ha provocato stupore e sconcerto è la mancanza della formula trinitaria finale, che a quella benedizione veterotestamentaria conferisce l’impronta cristiana.
Il Messale propone sì diverse formule per la benedizione finale, tra cui anche quella usata dal papa (e che il primo gennaio è stata sicuramente adoperata in molte chiese cattoliche alla fine della Santa Messa, proprio perché riprende il testo della prima lettura), ma a tutte sempre appone la conclusione fissa di intonazione trinitaria: “Et benedictio Dei onnipotentis, Patris et Filii et Spiritus Sancti” eccetera.
Quale può essere stato, quindi, l’intento di Francesco nel benedire omettendo la formula trinitaria?
Una mia fonte ha bussato a una porta del palazzo apostolico e le è stato risposto, assai riservatamente, che la scelta di “benedire senza benedire” è stata “una decisione estemporanea del Santo Padre”.
Dalla registrazione video si nota che il papa legge la formula dal foglio che ha davanti. Se la decisione è stata sua, allora significa che ha omesso qualcosa che sul foglio c’era.
Ma perché?
Forse dipende dal contesto pacifista ed ecumenista cui si presta la giornata mondiale della pace del primo gennaio. Tra i valdesi, per esempio, la benedizione si effettua ripetendo le parole di Num 6,24-28, proprio come ha fatto il papa, senza alcun segno di croce o aspersione con acqua.
In conclusione, secondo gli esperti da parte del papa non c’è stato nulla di scorretto, ma di certo ci sono state “dissonanze” e “forzature”. E molti fedeli non hanno potuto evitare di notarle.
Aldo Maria Valli
Fonte: il blog di Aldo Maria Valli QUI
Immagine: la statua di Papa Clemente XII benedicente ( part.). Ancona, Piazza del Plebiscito. Opus del berniniano Agostino Cornacchini (Pescia, 26 agosto 1686 – Roma, 1754), la statua arrivò ad Ancona, via mare, nel febbraio del 1738. Venne salvata fortunosamente dalla demolizione da parte dei giacobini nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1797. Il 18 dicembre 1818 la statua di papa Corsini, Clemente XII fu ricollocata nella parte superiore della piazza davanti la Chiesa di San Domenico. Dopo i rovinosi bombardamenti del secondo conflitto mondiale la statua venne restaurata nel 1947 dallo scultore anconetano Vittorio Morelli.