Dagli amici di Toscana Extra Ordinaria.
L
Riportiamo qui di seguito la trascrizione della conferenza tenuta da mons. Nicola Bux al pellegrinaggio a Montenero il 29 settembre scorso, con il dibattito che ne è seguito. Ringraziamo di cuore mons. Bux per avere celebrato e predicato al nostro pellegrinaggio, per aver tenuto questa bellissima conferenza e per avere concesso licenza di divulgarne la trascrizione, che speriamo dia spunti di riflessione e di conforto a molti.
CONFERENZA DI MONS.NICOLA BUX. MONTENERO(LI) 29 SETTEMBRE 2018
Intanto voglio ringraziarvi dell’invito. Ringrazio innanzitutto il Coordinamento Toscano Benedetto XVI e ringrazio anche i sacerdoti canonici dell’Istituto di Cristo Re e Sommo Sacerdote per il servizio che compiono non solo in Toscana, ma in tante altre parti del mondo.
Tutti noi siamo la prova della resistenza cattolica, credo che ci si possa definire così. Uno dei cardinali “più giovani” di quelli che hanno posto i “dubia” al papa, il cardinal Walter Brandmüller, dice sempre: “Questa è l’ora dei laici”, ed è vero, perché noi possiamo constatare un po’ in tutto il mondo che è il laicato, quel laicato di cui il Concilio Vaticano II ha detto che deve essere “responsabile”, tale laicato, consapevole, a muoversi un po’ dappertutto e a chiedere ai sacerdoti e ai vescovi di celebrare la Messa nella forma tridentina, o tradizionale, o straordinaria. Questo fenomeno è molto interessante, perché il fatto che sia promosso soprattutto dai laici, e non dai chierici, sottolinea che la Chiesa cattolica, pur attraversando da qualche decennio una crisi considerevole, trova sempre al suo interno le forze, le energie per reagire; e questo è importante. La Chiesa non prende le forze dall’esterno per rinnovare se stessa, ma è dall’interno che essa si rigenera, perché la Chiesa è una realtà umano-divina che partecipa della potenza di Colui del quale è Corpo. La Chiesa è il Corpo di Cristo, che è il Capo, e quindi non dobbiamo mai dimenticare questo intimo legame che sussiste tra Capo e Corpo, e non dobbiamo mai fare l’errore di porci all’esterno della Chiesa; stando all’interno della Chiesa infatti, prendiamo parte alla vita cristiana. Per questo motivo, non ha senso mettersi contro la propria madre, anche quando ci sembra che sbagli. Bisogna imparare a convivere, un po’ come avviene tra marito e moglie quando le cose non vanno molto bene, e devono imparare a condividere tutto nella sofferenza, in attesa che le cose cambino. Questo significa resistenza. Se ci chiamano tradizionalisti, voi reagite, come ha detto il cardinal Sarah lo scorso anno, dicendo: “Noi siamo cattolici!”. E sapete perché? Perché la parola cattolico oggi non la usa più nessuno. Se notate bene quando si dice: “Io sono cattolico”, c’è quasi un senso di fastidio, dicono: “Siete divisivi”, cioè “Volete prendere le distanze” (da chi e da cosa?). Definirsi cattolici significa questo: noi abbiamo una identità dentro la realtà del mondo, invece che essere diluiti in esso, dove si vorrebbe che tutto fosse liquido. Dobbiamo riaffermare tale identità: “Noi siamo cattolici!” Non dobbiamo mai cadere nella trappola di coloro che, per metterci subito a tacere, ci definiscono “tradizionalisti”. Noi non siamo tradizionalisti, noi siamo cattolici! Il dramma odierno è che, tra i cattolici, alcuni hanno scelto di conformarsi alle mode del mondo, i modernisti; questi ultimi agiscono secondo le mode, ma la storia ci dice che seguire le mode è molto pericoloso. Esiste un proverbio francese che dice: “Chi sposa la moda oggi, domani rimane vedovo”. Perciò mai sposare le mode! Quindi noi siamo cattolici, cioè, come dice Gesù nel Vangelo, noi siamo come quello scriba “che dal tesoro trae cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). Non siamo amanti dei musei; semplicemente affermiamo che ciò che era sacro fino a qualche decennio fa rimane sacro ancora oggi, nonostante gli adattamenti e gli esperimenti che vediamo attuarsi nei luoghi di culto.
Allora, qual è la crisi odierna della Chiesa cattolica intesa come istituzione umana, non come realtà divina unita a Gesù Cristo? Tale crisi consiste nel voler sposare le mode del tempo presente e quindi alla fine si viene rifiutati, si viene emarginati. Accade questo perché le mode sono passeggere e, mentre noi abbracciamo una moda, ne arriva subito un’altra, quindi già diventiamo obsoleti, sorpassati dai frenetici ritmi mondani. Rimanere invece fedeli alle verità di fede di sempre, è il segreto per rimanere giovani. Ecco spiegato il fenomeno per cui sempre più giovani vogliono vivere la Messa nella forma straordinaria del rito romano. Quando sono andato in San Pietro a celebrare la Messa, i chierichetti che erano lì mi hanno detto: “Padre, potrebbe celebrare la Messa nuova, quella in latino? Non quella che celebrano tutti i preti, in italiano”. Per le nuove generazioni infatti è, non avendola mai conosciuta, la Messa nella forma straordinaria la nuova Messa! Quando Benedetto XVI disse che la crisi odierna della Chiesa dipende, in gran parte, dal crollo della liturgia, voleva dire che la liturgia ha subito un crollo, cioè è collassata su se stessa, perché invece di rappresentare la elevazione dell’uomo verso Dio, è diventata una sorta di intrattenimento a sfondo religioso, dove si fa e si parla di qualunque cosa: di sociologia, di politica, di fenomeni migratori, di ambientalismo etc. Ma così facendo la liturgia crolla su se stessa, perché essa ha la sua ragion d’essere in rapporto al culto divino. E cosa significa culto? Significa curare un rapporto. La parola “culto” deriva dal latino “colere”, che significa coltivare. Lo scopo fondamentale della vita cristiana quindi è quello di coltivare il rapporto con Dio. E qual è la maniera suprema per coltivare il rapporto con Dio? È quella di rendere culto a Lui e a Lui solo. Se tale culto, espresso massimamente nella santa Messa, diventa al contrario un imparaticcio di usi umani (Is 29,13), succede che invece di essere rivolto a Dio, esso è rivolto a noi. Per questo motivo la Messa “versus populum” è in crisi. Il cardinal Sarah l’anno scorso propose ai preti di celebrare la Messa rivolti “ad Deum”, proprio quella col Messale di Paolo VI.
Effettivamente, riprendendo la riflessione di papa Benedetto XVI, il problema della Messa del nuovo rito non è tanto l’uso delle lingue vernacole, ma è l’orientamento verso l’assemblea, è quella la chiave di volta. Sostanzialmente c’è una differenza enorme per la gente che partecipa alla Messa, vedere il prete rivolto verso di loro invece che rivolto a Dio, a Oriente. Facciamo un esempio: in questa conferenza guardate me che sono di fronte a voi, perciò nessuno pensa al crocifisso appeso alla parete dietro di me, perché io occupo la sede, quindi sono un ostacolo per la visione del crocifisso. La stessa cosa è accaduta col nuovo rito della Messa: il prete continuamente rivolto verso l’assemblea ha preso le sembianze di uno “showman” televisivo: va in giro su e giù per la navata, pone domande all’assemblea, interviene su questo o quell’ argomento. Assistendo a tutto questo si finisce col far sparire quello che è il vero protagonista della Messa: Gesù Crocifisso. Se invece il prete celebra la Messa dando le spalle all’assemblea e non al Signore cambia tutta la prospettiva, di conseguenza si comprende anche a Chi è rivolto il rito. E’questo in poche parole il punto cruciale, la causa principale del crollo della liturgia. La crisi risiede nel fatto che la liturgia non è più rivolta a Colui per cui viene celebrata, cioè Gesù Cristo; sia dal punto di vista fisico che spirituale. Questo concetto fa la differenza e incide sulla maniera di intendere la Chiesa e il motivo della sua esistenza: non è più intesa come il Corpo che, legato al Capo, cioè Cristo, è radunato per unire l’offerta dei singoli fedeli a quella suprema del Figlio al Padre, ma come una comunità che si riunisce, si scambia abbracci, quasi fosse una cerimonia o un convivio. Tutto è diventato orizzontale, non c’è più il rapporto verticale, proteso alla divinità; e questo è un elemento di grave crisi nella Chiesa. Cristo ha fondato e voluto la Chiesa perché vuole che nel mondo essa continuamente Lo annunci agli uomini di tutti i tempi, proclami il suo potere di salvare l’uomo: “Convertitevi e credete al Vangelo”, “Andate in tutto il mondo”, “Fate discepole le genti”, “Battezzatele nel mio nome”. Altrimenti perché il Signore avrebbe istituito i Sacramenti? Al loro posto poteva benissimo fondare un grande ospedale o una grande comunità di accoglienza. Ha istituito i Sacramenti perché essi sono il mezzo per salvare l’uomo, primo fra tutti l’Eucaristia, cibo e sacramento di salvezza, nutrimento fondamentale per tutta la vita dell’uomo. Senza questo nutrimento altro non siamo che spiritualmente morti. Dunque deformare la liturgia chiaramente finisce per disorientare e per far abbandonare la Chiesa da parte di tanti fedeli; così facendo la Chiesa viene meno alla sua funzione, cioè alla ragione per cui Cristo l’ha voluta, l’ha istituita: l’annunzio del Vangelo per la salvezza delle anime.
Il secondo motivo della crisi e questo: oggi si dice che bisogna essere più inclusivi: tutti devono essere ammessi in questa chiesa cosiddetta “in uscita”. Ci dobbiamo amare l’un l’altro a prescindere se siamo cristiani, musulmani, buddisti, atei etc. Siamo tutti fratelli, tutti figli di Dio, impugnano le bandiere arcobaleno. Ma davvero Gesù ha voluto questo nel momento in cui ha istituito l’Eucaristia? Non è stato proprio lui a scegliere i dodici e a voler passare la Pasqua con un numero di individui scelti da lui stesso, gli eletti? Questo ci deve far comprendere che l’Eucaristia non è per tutti. L’Eucaristia è il sacramento dei convertiti, di coloro che credono che Gesù Cristo è il figlio di Dio incarnato, e che pertanto hanno il diritto di cibarsi del suo Corpo. Ma se uno non si converte, rimanendo in uno stato di peccato, come può prendere parte al sacrificio di Cristo? Ricordate il discorso di Cafarnao nel sesto capitolo del vangelo di Giovanni, dove Gesù disse: “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue non avete in voi la vita”? E molti discepoli se ne andarono perché dissero: “Queste parole sono dure!”. Questo significa che per arrivare a nutrirsi dell’Eucaristia sono richiesti dei requisiti, primo fra tutti l’essere battezzati. Non chiunque può quindi nutrirsi di questo cibo di vita eterna. L’Eucaristia è come un farmaco speciale, infatti i grandi Padri della Chiesa lo chiamavano così: il farmaco d’immortalità. Alcuni teologi e persino sacerdoti dicono che l’Eucaristia è come banchetto, una cena dove tutti vanno e mangiano, quasi fosse un buffet. State attenti perché è un inganno. L’Eucaristia non è un alimento qualsiasi ma la carne e il sangue di Gesù Cristo, realmente presente nel Sacramento! Per assumere farmaci speciali dobbiamo leggere attentamente le istruzioni, di modo che siamo sicuri di cosa stiamo assumendo, e soprattutto se il nostro corpo è nelle condizioni per assumerli. Non dovremmo quindi prestare molta attenzione nel verificare se siamo nelle condizioni di poterci cibare dell’Eucaristia? Essa non è un nutrimento qualsiasi, un cibo comune da poter assumere sempre e comunque. Molti osservano: “Adesso l’Eucarestia la fanno prendere anche sulla mano”. Rispondiamo: “Gli infermieri non utilizzano i guanti per prendere alcuni farmaci? Questo, perché non si vuole contaminare il farmaco con le proprie mani. Ciò detto, ci riteniamo davvero degni di toccare con le nostre mani l’Eucaristia? Perciò, è giusto riceverla in bocca, e proprio questo gesto sta a significare la particolarità, la specialità di questo nutrimento. Una signora mi ha detto: “Le sembra giusto che dobbiamo prendere l’Eucaristia con mani che hanno toccato i soldi per fare l’offerta?” Quella signora aveva ragione. Prenderemmo mai con le mani sporche i medicinali? Certamente no! Prendere perciò l’Eucaristia con le proprie mani fa passare l’idea che sia un alimento qualsiasi. Ma questo non è vero, e lo dice tutta la Tradizione della Chiesa, che ha sempre prescritto, a partire da Gesù Cristo, che chi non lo mangia, non passa dalla morte alla vita; anzi, questo nutrimento può diventare un veleno se non preso in grazia di Dio. San Paolo lo dice chiaro nella prima lettera ai Corinzi: “Chiunque mangia il corpo e il sangue del Signore senza riconoscerlo, mangia e beve la propria condanna”. La parola “pharmakon” in greco, vuol dire anche veleno, e l’Eucaristia potrebbe essere anche un veleno se la si prendesse in condizioni di peccato. Ecco perché è necessario – e la Chiesa lo ha sempre fatto – precisare tali condizioni. Per esempio quella di cui oggi tutti parlano: la Comunione ai divorziati risposati. Chi ha ripudiato la propria moglie o il proprio marito è in uno stato di controindicazione per ricevere l’Eucaristia, in tal caso sarebbe come assumere un veleno, in quanto la vita morale del soggetto non è consona con quanto richiesto per l’assunzione di questo farmaco di vita eterna. Alcuni, per legittimare la condotta immorale delle persone dicono questo: “Gesù è venuto per salvare i peccatori, e siccome Egli mangiava con i peccatori, si sedeva a mensa con i peccatori, allora l’Eucaristia è per tutti, anche per i peccatori. Attenzione, perché queste sono tesi luterane. Quindi si vorrebbe far passare l’idea che l’Eucaristia coincida con i pasti che Gesù prendeva con i peccatori, ma se leggiamo bene quel che si dice negli Evangeli, Gesù sedeva a mensa con i peccatori, ma per convertirli! Al contrario, nell’ultima cena, durante il sacrificio eucaristico erano presenti solo gli Apostoli. Quindi quello che Gesù condivideva con i peccatori era cibo comune, per aiutarli a riconciliarsi con lui. Per cui l’Eucaristia è il pasto dei peccatori riconciliati, non dei peccatori che restano nella condizione del peccato. Questa è la ragione per cui la Chiesa ha sempre delineato due itinerari distinti per arrivare all’Eucaristia. Il primo itinerario, che comincia col Battesimo, è per coloro che non sono ancora seguaci di Cristo: si parte dal Battesimo per arrivare all’Eucaristia. L’altro itinerario è quello penitenziale: quando abbiamo condotto una vita peccaminosa e, dopo esserci pentiti, ci convertiamo, tramite il sacramento della Penitenza ci riconciliamo col Signore, e quindi possiamo accedere all’Eucaristia. Quindi dire che l’Eucaristia è il cibo dei peccatori è errato; si deve dire piuttosto che è cibo dei peccatori riconciliati con Dio. La conversione richiede necessariamente l’abbandono della vita passata, della vita peccaminosa: solo così essa è veritiera e ci riconcilia col Signore. Quindi, si comprende come la crisi della Chiesa cattolica sia oggi abbastanza dipendente dalla concezione che abbiamo dell’Eucaristia; tale concezione deformata provoca una vera e propria profanazione di essa.
Un altro fenomeno a cui spesso assistiamo è quello dei pranzi nelle chiese. E’ vero che, in antico, san Gregorio Magno al Celio, ha dato da mangiare ai poveri nella chiesa, ma attenzione, perché questi casi singolari non volevano affermare che la chiesa fosse assimilabile a una trattoria: era il tentativo dei Padri – in assenza di altre possibilità – di chiamare i poveri o coloro che erano lontani da Dio, di avvicinarli con le mense, ma il fine primo era catechizzarli e portarli a conoscere Gesù Cristo nell’incontro sacramentale. Non appena si sono create le condizioni, hanno iniziato a costruire accanto agli edifici di culto, degli ambienti adatti a questo scopo. Oggi, quasi tutte le parrocchie hanno un edificio o un salone annessi all’edificio sacro, quindi qual è la ragione per trasformare le chiese in trattorie? Se in una diocesi esistono tanti luoghi di riunione, che senso ha fare ciò? In realtà c’è un senso, ed è questo: profanare l’edificio di culto, perché si pensa che l’Eucaristia sia un pasto comune, annullando di conseguenza l’aspetto sacrificale della Messa. L’Eucaristia viene snaturata, non più il frutto del sacrificio di Cristo, della sua immolazione sulla Croce, rinnovata in ogni Messa, ma una cena qualsiasi. Per questo stiamo vivendo tempi drammatici. Addirittura si è paragonata l’Eucaristia a un “momento di festa”. Ma quale festa? Più che una festa, è consapevolezza di essere stati salvati dalla Croce di Cristo, e la Croce di Cristo è il centro dell’Eucaristia; se non capiamo questo, essa non ha nessun senso. Ecco il motivo per cui nelle chiese, sull’Altare c’era sempre la Croce. Oggi la Croce viene spostata da una parte all’altra, a volte non si riesce nemmeno a individuarla. Il motivo per cui accade questo è che si è perso il rapporto tra l’Altare, la Croce e l’Eucaristia. Ora al posto della Croce c’è il prete in posizione frontale, la sua sedia di spalle, o al posto del tabernacolo, che invece indica il trono dove Egli risiede. L’Altare da essere la pietra che rappresenta il sepolcro, è diventato un banco di conferenze. Ecco spiegato come mai è sparita la dimensione sacrificale della Messa, cruciale per celebrare l’Eucaristia.
Ho voluto sottolineare il rapporto tra il crollo della liturgia e la crisi della Chiesa. Ripeto: questo papa Benedetto XVI lo ha ripetuto più volte: la crisi della Chiesa dipende in gran parte dal crollo della liturgia. La liturgia ha perso la sua natura e molti preti non sanno più che la vera natura della liturgia è rendere culto pubblico a Dio. Pubblico vuol dire che io, prete, non posso fare quello che voglio. Sono come un pubblico funzionario dello Stato che deve amministrare, per esempio, un rito processuale in tribunale. Un giudice o un avvocato che inventasse le procedure in un processo, immediatamente verrebbe accusato di aver viziato la forma del processo, e quindi di averla resa invalida, perché la forma custodisce la sostanza o verità dell’atto. Non è quindi nelle facoltà dei preti e vescovi, persino del papa, né tantomeno dei fedeli, cambiare la liturgia a proprio piacimento. Specialmente il papa, che è il custode massimo della liturgia, deve fare in modo che essa sia salvaguardata secondo la forma apostolica, esattamente quella che – grazie a Dio – oggi sta rinascendo proprio per merito di tanti gruppi, di tanti giovani, anche sacerdoti che comprendono quale sia la posta in gioco: la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Quando la natura della liturgia viene compresa così come essa è, cioè il culto dovuto a Dio, che Dio stesso ha stabilito; quando la liturgia riprende la sua stessa natura, ecco che, pian piano, la Chiesa rinasce alla consapevolezza di appartenere a Cristo, di non essere nel mondo una comunità che si interessa innanzitutto delle questioni sociali e politiche. La CEI ha annunciato di aver commissionato uno studio per capire se i migranti che arrivano in Italia, delinquono o meno; ci saremmo aspettati che la CEI commissionasse uno studio per capire quanta gente ancora va in chiesa o perché non ci va, quanta gente ha fede in Gesù Cristo; è quello che dovrebbe fare.
Dobbiamo resistere a questa apostasia. Dobbiamo resistere con grande calma, senza mai assumere toni violenti, sempre rispettosi, sempre partendo dall’adorazione di Dio che è nei nostri cuori, ma sempre pronti a rendere ragione di ciò in cui noi speriamo, perché così rimangono confusi gli avversari; sempre con dolcezza, rispetto e buona coscienza. Lo dice san Pietro ai cristiani di Roma che, nell’incendio delle persecuzioni, avevano tutte le ragioni per insorgere e fare una rivoluzione. Dobbiamo dimostrare l’attaccamento al Signore, il quale dinanzi al tribunale giudaico (religioso) e al tribunale romano (politico), come sappiamo dal racconto della Passione, non ha mai perso la calma, ma ha sopportato, ha sofferto, ha subito tutti gli oltraggi che conosciamo. E noi non siamo più grandi di Lui; se seguiamo Lui, dobbiamo sopportare anche noi: Egli è il nostro Signore e il nostro Maestro.
Grazie.
DIBATTITO
D.: Papa Francesco che ne pensa di tutto questo?
BUX: Non sono l’interprete di papa Francesco. Probabilmente condivide quel che ho detto, se non tutto almeno in parte, visto che egli ha avallato alcuni dei fenomeni descritti. Ma, non vi preoccupate: se abbiamo il pensiero cattolico, della Chiesa, anche se il papa perdesse la testa, noi continueremmo con rispetto; perché, come dice sant’Agostino, quando i pastori dicono le loro opinioni, “pascono sé stessi”, ma chi pascola il gregge dei fedeli è il Signore. Il Signore è il pastore della Chiesa e non smette mai di pascolare il suo gregge, soprattutto quando i pastori si distraggono e fanno altro.
D.: Don Bux, lei diceva, scherzando, ma anche sul serio, di uno studio della CEI sulla conoscenza di Gesù Cristo fra i cattolici; ma questo per me vale anche, in generale, per i vescovi. Per loro, chi è Gesù Cristo? Che cosa è successo?
BUX: È successa un’apostasia, cioè un distacco dalla ragione della Fede. Ricordate che qualche anno fa Benedetto XVI disse che c’era una crisi della Fede e proclamò l’Anno della Fede. Ma perché lo fece? Perché era consapevole del fatto che, a partire dal Catechismo – che da decenni non insegna più le verità fondamentali della Fede, ma parla di Gesù come un “amico”, che ci vuole bene, che ci mette insieme, non insegna che innanzitutto Gesù è vero Dio e vero uomo, Egli è il Figlio di Dio, è la seconda Persona della SS. Trinità. Andate a chiedere ai bambini queste cose, non sanno nulla. Questa è la crisi della Fede. Salvo che, come ancora accade, ci siano genitori che reagiscono a questa situazione e dicono: “Mio figlio lo educo io, gli faccio il catechismo!” Il bambino capisce molte cose. Quando vogliamo, diciamo che non capiscono nulla. Allora, un bambino che ha cinque anni, già usa il computer, già conosce le lingue, già fa questo e quest’altro. L’importante è che sappia distinguere, come dice san Pio X, che il Corpo di Gesù Cristo non è un alimento qualsiasi. Ma se non gli si insegna anzitutto che Gesù Cristo è la seconda persona della SS. Trinità, non lo potrà mai capire. Ecco che veniamo al problema di prima cioè insegnare la specificità dell’Eucaristia. Ma, se alla prima Comunione, si dà l’ostia sulla mano, il bambino che pensa? “È un cibo qualsiasi”, “Andiamo alla cena”, “Andiamo al banchetto”. Se invece il bambino alla prima Comunione, come veniva insegnato a noi, si mette in ginocchio e apre la bocca, gli viene insegnato a chinare la testa, in raccoglimento, capisce che quello che ha ricevuto è un alimento particolare, non è un pezzo di pane qualsiasi. Questo basta dirlo a un bambino, anche di quattro anni, e lo capisce subito.
D.: Sono convinto che la crisi della Chiesa sia legata all’orientamento della liturgia, in quanto la Messa nuova non soltanto trasforma l’Altare in una mensa, ma deforma anche il Sacerdozio; e inoltre toglie la possibilità a noi laici di offrire al Signore, sulla patena del sacerdote, tutte le nostre azioni quotidiane, perché il nostro fare, trasformato in preghiera, lo offriamo a Dio nel sacrificio della S. Messa. Nella nuova Messa questo non accade e la nostra vita si trasforma in nulla. Grazie.
BUX: Quello che Lei dice è molto prezioso, perché è un elemento fondamentale della liturgia: l’offerta di noi stessi. Uno crede che il cuore della liturgia sia la Comunione; ma, voi sapete che la Comunione non sempre si può fare, chiunque laico si trovi in peccato mortale. Al contrario, l’offerta di noi stessi, sempre! Il cuore della S. Messa è l’offerta di noi stessi. “Offrite i vostri corpi in sacrificio spirituale”, dice san Paolo. Che cosa vuol dire? La nostra adorazione al Signore. A Lui offriamo le nostre pene, i nostri difetti, e il Signore ci trasforma, così come trasforma il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue, in sacrificio a Lui gradito; queste sono parole di san Paolo. Addirittura san Paolo nel testo greco di questo versetto (Rm 12,1) parla di sacrificio “logico”, “razionale”. Perché non è un sacrificio di animali, ma quello di noi stessi nella Messa, sotto la Croce di Gesù. Inoltre, viene chiamato “razionale”, nella traduzione CEI è stato tradotto in “spirituale”, ma nel Canone romano si usa ancora l’espressione “razionale”. Vuol dire “offerta della ragione”, e la ragione è la caratteristica essenziale degli esseri umani, che ci rende simili a Dio, perché Dio è Ragione per definizione, “Logos”, “Verbo”, cioè “ratio”. Ecco perché il sacrificio è “razionale”, è “logico”. “Logiké latreía” dice san Paolo, cioè “sacrificio logico”, che è necessario, giusto; e noi entriamo in rapporto con il Signore offrendo noi stessi, quasi alla stessa maniera, in cui è giusto e logico che un uomo offra se stesso alla sua donna, e viceversa. Questo è il rapporto, il culto, la nostra relazione con Dio. “Dio è amore”, “Dio ci vuole bene”, “Dio è misericordia”, d’accordo. Ma come entri in rapporto con Lui? Offrendo te stesso. Questa offerta di noi stessi è molto impegnativa. Direi che è molto più impegnativa dell’offerta che versavano gli ebrei, quando dovevano comprare un animale che costava parecchio e lo dovevano sacrificare al Signore – perché, da cosa si vede che io sono amico tuo? Se ti faccio un bel regalo. E dal regalo tu dici: “Costui mi vuole bene” – ma il Signore dice: “Io non voglio animali”, varrebbe a dire: “Non ho bisogno di cose materiali. Voglio te!”. Ecco perché il sacerdote prima e i fedeli poi, devono concepire la S. Messa come l’offerta di sé stessi. Quello che Gesù ha fatto sulla Croce: ha offerto sé stesso. Ecco perché la Messa è la rinnovazione del sacrificio della Croce. E la Comunione cos’è? È la consumazione, attenzione! La consumazione dell’offerta che abbiamo fatto, perché noi offriamo il Signore come Vittima, come Agnello immolato. Il Signore durante la Messa non sta facendo una passeggiata o allegramente battendo le mani. Il Signore nella S. Messa è in stato permanente di Mediatore, che offre sé stesso come Sommo Sacerdote al Padre. Vogliamo immaginarci Cristo durante la Messa? Immaginiamocelo così: tra noi e il Padre. Egli è il nostro Sommo Sacerdote, il nostro Mediatore, quindi in stato permanente di Vittima immolata: Egli è in questo stato fino alla fine del mondo. Questo portava padre Pio a dire: Non vorrei mai scendere dall’Altare, perché sono nella condizione, nell’attitudine di Colui che prega il Padre perché salvi il mondo, cioè salvi me. Ecco il valore infinito della Messa. Noi dobbiamo trasmetterlo a questa generazione che non l’ha ricevuto dal catechismo.
DON FEDERICO POZZA: È un’esperienza che potete fare tutti. Fino a qualche anno fa, il bambino che andava a fare la prima Comunione sapeva rispondere con poche, semplici e precise parole alla domanda: Chi è Dio? Oggi, ponete il quesito: “Chi è Dio?”. Risponderanno: “Dio è amore”, “Dio è misericordia”, tutte cose vere, ma è anche questo: è l’Essere perfetto, la Sapienza infinita, Creatore e Signore del cielo e della terra. Se un fedele non sa dare questa risposta c’è qualcosa che non va nella trasmissione della Fede. Che cos’è l’Eucarestia? Di nuovo: “È un Sacramento che sotto la specie apparente del pane, contiene realmente e sostanzialmente etc.” Queste cose, spesso, ai bambini che oggi vanno a fare la prima Comunione, non vengono più insegnate. Quindi, quel di cui mons. Bux parla è un problema reale. Queste sono definizioni che fece un famoso giurista, che era il card. Gasparri, si basavano su quanto dicevano i catechismi precedenti, razionalizzando tutta una serie di proposizioni, perché i sacerdoti facevano questo. Qualcuno riderà, ma uno dei motivi per cui noi siamo sacerdoti è trasmettere la Fede. Lo siamo per questo, per i Sacramenti. Diceva mons. Bux, che se il sacerdote non offre quello per cui esiste, cioè i Sacramenti e la Fede – che sono le due cose per cui le anime si salvano – allora, siamo come il sale che ha perso sapore: non serve più a nulla!
BUX: “Con i Sacramenti non si scherza”. La ragion qual è? Gesù ha istituito i Sacramenti per dare alla Chiesa i mezzi ordinari di salvezza per l’uomo. Il problema è che i Sacramenti, li abbiamo ridotti a dei segni sociali, da capire, da conoscere, ma privati della loro efficacia, cioè della forza che in essi c’è. Perché Gesù ha detto: “Battezzate”? Per quale ragione? Perché ha voluto che un po’ di acqua accompagnata dalla sua parola salvasse l’uomo. Ha voluto dire: se voi non “entrate” nel mio Corpo non c’è salvezza. E così fino all’ultimo Sacramento, che è l’Unzione dei malati e dei moribondi. Perché ungere un malato o un moribondo? Perché Gesù ha voluto dire: se non ricevete la forza dello Spirito, voi rimarrete prigionieri della morte. I Sacramenti sono la cosa più grande che Gesù poteva immaginare per salvare il mondo. Non ha fatto altro. La Parola di Dio è importante, certo, ma la Parola di Dio si è fatta carne, è diventata Sacramento. La Parola di Dio, se non divenisse Sacramento, servirebbe soltanto a suscitare delle buone intenzioni, ma non produrrebbe la Grazia! Questo è il punto! La Grazia di Dio, in modo ordinario, passa soltanto attraverso i Sacramenti.
D.: Gesù, a Giuda Iscariota, dopo averlo comunicato, disse: “Quel che devi fare, fallo adesso”. Ora, l’apostasia in atto, quel che deve fare, lo faccia presto!
BUX: Non è sicuro che Gesù abbia dato la Comunione a Giuda. C’è una discussione tra gli esegeti. C’è chi dice che Giuda sia andato via prima. Non sto qui a fare l’analisi dei testi, ma si può approfondire la diatriba se Giuda abbia o meno fatto la Comunione. Se l’ha fatta, chiaramente è stata indegna; probabilmente non l’ha fatta, è andato via prima. Ora, bisogna avere pazienza. È meglio che [l’apostasia] esca a tutto tondo. Noi non dobbiamo tentare il Signore, perché il Signore conosce, Lui, i tempi e i momenti. Ma possiamo pregare dicendo: “Signore, fa’ presto”.
D.: Io vorrei che don Nicola ci dicesse qualche cosa riguardo a quel che possiamo fare come laici e sull’offrire noi stessi tramite il culto divino; ecco, in tutto questo la SS. Vergine come ci può aiutare e come dobbiamo rivolgerci a Lei per la buona battaglia che ognuno, in ogni tempo che gli è dato da vivere, deve condurre? Come si può fare? Io sono degli anni ‘70, nel catechismo che ho fatto io, non se ne parlava e tanti sacerdoti stentano a parlarne.
BUX: Cos’ha fatto Maria a Cana di Galilea? Ha anticipato l’ora della salvezza. Gesù disse: “Non è ancora venuta la mia ora”, e Maria, con la sua intercessione potente ha detto ai servi: “Fate quel che Lui vi dirà”. Maria è quella che può anticipare l’ora; quindi pregheremo la Madonna perché, siccome Lei può tutto presso il Signore, anticipi l’ora. Però diremo sempre: “Sia fatta la sua volontà!”
D.: Premesso che io penso che il Signore alcuni papi li ha donati, altri li ha inflitti, io vorrei sapere da Lei come si può combattere quello che io ritengo sia un cancro per noi fedeli, specialmente per quelli che sono qui: come si fa a combattere l’antipapismo? Io concepisco tutte le critiche del mondo, ma vedo che molti non concepiscono la figura del papa – non Bergoglio, la figura del papa – come un padre di famiglia. Come si fa a combattere questo?
BUX: I medievali dicevano che il papa ha due corpi: come vicario di Cristo e come uomo. Essi distinguevano questi due corpi; dicevano che il primo corpo va sempre rispettato. Se noi cattolici mettessimo in discussione il Primato petrino, sbaglieremmo, ovviamente. Però, allo stesso tempo, questo non significa che il papa, come uomo, non sia criticabile. Nel senso che tutto quel che dice, sia ritenuto magistero autentico. Questo non è possibile perché, come si sa dalla dottrina, il papa è infallibile solo quando definisce, dichiara e proclama. Il verbo “definire”, significa che il papa fa delle affermazioni ben circoscritte, come le definizioni della matematica che dobbiamo imparare a memoria. E questo avviene in casi molto rari. C’è poi il magistero ordinario, cioè quello che appartiene all’insegnamento, che va, naturalmente, ricevuto con religioso ossequio. Ma le interviste che il papa rilascia sull’aereo, non sono magistero, altrimenti cadremmo nella papolatria, che è idolatrare il papa. Quindi, per vedere se il suo magistero è autentico, bisogna osservare se le affermazioni sono in continuità con la dottrina cattolica di cui egli è custode, altrimenti sono sue opinioni. Noi non siamo tenuti a osservare e a obbedire alle opinioni di nessuno. Il vero problema è se noi abbiamo un giudizio di Fede, per cui sappiamo distinguere ciò che è cattolico da ciò che non è cattolico. Questo è il problema: abbiamo noi il pensiero cattolico? È chiaro che la massa dei fedeli, diciamo, quella parte che ancora frequenta la Messa la domenica, o quelli che non frequentano nemmeno la Messa, sono solo battezzati, come si può pretendere che abbiano il pensiero cattolico? Quindi, penso che questo sia il modo di essere rispettosi dell’autorità del papa, ma nello stesso tempo critici di ciò che non corrisponde ad essa. Perché il papa è il custode del “depositum fidei”, non può inventare nuovi paradigmi.
D.: Io volevo chiedere: perché nelle catechesi e nelle omelie non viene mai citato il demonio? Ripenso anche alla famosa visione di Leone XIII. Io penso che molti non credono più nell’esistenza del demonio, e un sacerdote invece è tenuto a parlarne, specialmente in questi tempi.
BUX: Non è così dappertutto. Lo stesso papa Francesco ha spesso parlato del demonio, anche se in una intervista ha detto che l’Inferno non esiste, per cui non si capisce il demonio dove stia, quando non sta in giro. Però, il Catechismo sappiamo bene come parli dell’Inferno. Il fatto stesso che Lei ne parli vuol dire che nella Chiesa ci sono tante persone che sono consapevoli di queste cose. Poi, sa Lei della visione e dell’esorcismo e della preghiera di Leone XIII! D’altro lato, stiamo attenti a non mescolare la Rivelazione della sacra Scrittura e della Tradizione, con le visioni private. Le visioni private non le derideremo, ma nemmeno ne faremo un assoluto, perché sono visioni private! Anche tutta la storia di Medjugorje: consiglio, en passant, di leggere il libro edito da Cantagalli, “Comprendere Medjugorje. Visioni celesti o inganno religioso?” è documentatissimo a livello bibliografico e sitografico, e aiuta a capire questo fenomeno. Perché avviene questo? Perché c’è un proliferare di apparizioni, sensazionalismo, messaggi. È chiaro che non tutto è falso e bisogna operare una selezione; non è facile perché, dice san Paolo nella 2 Lettera ai Corinzi 11,14-15, che il diavolo si veste da angelo di luce e imita i fenomeni. Dunque, bisogna prima di tutto capire la Rivelazione, che oggi non è conosciuta. Il problema della Chiesa di oggi è che non parla molto della Rivelazione di Gesù Cristo. La parola “rivelazione” vuol dire togliere il velo, squarciare il velo del mistero e spiegare che Colui che è venuto a dirci chi è Dio, che è Padre e Figlio e Spirito Santo, è Gesù. Se non ci fosse stato Gesù, che cosa avremmo saputo noi della vita di Dio? Questa è la Rivelazione, che passa attraverso l’umanità di Gesù Cristo. Se il Verbo non si fosse fatto carne, noi non saremmo salvati! Lo dice anche Dostoevskij nei “Demoni”: la condicio sine qua non perché il mondo si salvi è: “Il Verbo si è fatto carne”, è la fede in queste parole. Se puntassimo su questo nella catechesi, nello studio, nelle omelie, allora le apparizioni, i messaggi non provocherebbero in grandi effetti, perché noi già sappiamo quello che Gesù vuole. Non abbiamo bisogno di sapere cosa vuole la Madonna. Cosa deve dire la Madonna di più di quel che è riportato nei Vangeli, che è detto nel Nuovo Testamento?
Vi ringrazio. Voi qui avete degli ottimi sacerdoti di Cristo Re, ai quali potete fare tutte le domande. Rispondono sempre e sono vicini. Infine, grazie ad Alessandro Giunti. Noi rimaniamo in contatto, attraverso il sito: www.ilpensierocattolico.it, condotto da miei amici molto bravi. Dobbiamo sempre resistere con buona e retta Fede, ma anche con grande Carità.